Ricorso per la regione Emilia-Romagna, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 266 dell'8 febbraio 1994, rappresentata e difesa, come da mandato rogato dal notaio Lucia Anna Maria Maffeo del collegio notarile di Bologna il 10 febbraio 1994, rep. n. 71153 dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova, Franco Mastragostino di Bologna e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo stesso avv. Luigi Manzi, via Confalonieri 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 4 gennaio 1994, n. 20, recante "Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti" (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 10 del 14 gennaio 1994), con riferimento all'art. 3, 4ø, 5ø, 6 e 8 comma, in quanto sottopone la regione Emilia-Romagna, e gli enti da essa dipendenti, a controllo sulla gestione del bilancio e del patrimonio, in relazione agli obbiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma, nonche', in correlazione, a controllo ispettivo della Corte dei conti, in violazione degli art. 118, primo comma, 119, 125, primo comma, 100, primo comma e 130, della Costituzione. F A T T O Conviene ricordare che la vicenda normativa che ha portato alle impugnate disposizioni inizia con il decreto-legge 8 marzo 1993, n. 54, recante "Disposizioni a tutela della legittimita' dell'azione amministrativa". Tale atto provvedeva alla istituzione in tutte le regioni di "sezioni regionali della Corte dei conti" ed alla disciplina delle funzioni di pubblico ministero presso di esse. Accanto a tali disposizioni, il decreto-legge conteneva, all'art. 3, una serie di ulteriori disposizioni, che in sostanza organizzavano un generale sistema di sindacato di legittimita' degli atti amministrativi anche della regione, per un verso e degli enti locali, per un altro verso, parallelo rispetto al sindacato previsto dagli art. 125 e 130 della Costituzione: un controllo esercitato non mediante la misura del diretto annullamento, ma mediante la possibilita', data al procuratore regionale presso la Corte dei conti, di proporre in via autonoma ricorso innanzi al tribunale amministrativo regionale avverso atti e provvedimenti di pubbliche amministrazioni, ed anche dell'amministrazione regionale. In relazione a cio' si obbligavano le pubbliche amministrazioni a trasmettere alla stessa procura determinati atti e provvedimenti, e si assegnava ad essa un generale potere di acquisizione di atti e documenti amministrativi. La palese illegittimita' costituzionale di tale ulteriore forma di controllo di legittimita' sugli atti della regione, e le reazioni delle regioni stesse, hanno portato alla scomparsa di tali disposizioni nei successivi decreti-legge che, decaduto il primo, hanno via via disciplinato la materia, come pure nella disciplina della legge n. 20 qui impugnata. Ma il precedente puo' essere utilmente ricordato, anche per la ragione che, pur venuta meno l'anomala "azione di impugnazione", e' rimasto tuttavia, inquadrato nel nuovo (ma non meno lesivo) contesto di cui si dira', il potere generale di acquisizione di atti e documenti, aggravato da un non meno generale potere di disporre ispezioni ed accertamenti diretti. Con le disposizioni qui impugnate della legge n. 20/1994 l'attenzione si sposta dal tema del controllo di sola legittimita' al tema del controllo c.d. "successivo" (ma in realta' "anche in corso di esercizio", secondo quanto dispone l'art. 3, quinto comma) "sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonche' sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, verificando la legittimita' e la regolarita' delle gestioni, nonche' il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione", accertando poi "anche in base all'esito di altri controlli", la rispondenza dei risultati dell'attivita' amministrativa agli obbiettivi stabiliti dalla legge. Sulla base del controllo effettuato, la Corte dei conti invia relazioni almeno annuali al Parlamento e, per quanto attiene alla regione, anche al consiglio regionale. Ma la Corte dei conti ha altresi' un potere di interlocuzione diretta con l'apparato amministrativo, al quale puo' comunicare "in qualsiasi altro momento, le proprie osservazioni" (sesto comma): dalle quali sorge per l'amministrazione il preciso dovere di comunicare "alla Corte ed agli organi elettivi le misure conseguenzialmente adottate". L'8 comma completa il quadro assegnando alla corte dei conti il potere di (richiedere alle amministrazioni pubbliche ed agli organi di controllo interno qualsiasi atto o notizia), ed inoltre di "effettuare e disporre ispezioni e accertamenti diretti". Ora, in quanto riferite alle regioni, ed in particolare alla ricorrente, le disposizioni sopra riportate sono lesive, ed altresi' costituzionalmente illegittime per le seguenti ragioni di D I R I T T O 1. - Illegittimita' costituzionale dell'estensione alle Regioni ordinarie del controllo sulla gestione del bilancio e del patrimonio sia quanto al principio sia quanto alle concrete modalita' operative. Come esposto in narrativa, il quarto comma dell'art. 3 della legge qui contestata assegna alla Corte dei conti il controllo "sulla gestione e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonche' sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, verificando la legittimita' e la regolarita' delle gestioni, nonche' il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione", con l'ulteriore compito di accertare poi "anche in base all'esito di altri controlli", la "rispondenza dei risultati dell'attivita' amministrativa agli obbiettivi stabiliti dalla legge". In sostanza, si tratta di una nuova disciplina attuativa dell'art. 100, secondo comma della Costituzione, in relazione al controllo successivo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Tale disciplina viene ad integrare, e ad integrarsi, con quella dettata dalla legge n. 259 del 1958. Si tratta, come e' ben noto, di un controllo nell'interesse del bilancio dello Stato. Tale controllo non ha mai riguardato le regioni. Testualmente, l'art. 13 della citata legge n. 259 disponeva che le proprie disposizioni non si applicassero "alle regioni, alle province, ai comuni", oltre che alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza regolate dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972, ed agli istituti di credito sottoposti a vigilanza dell'Ispettorato del credito. Per quanto riguarda le regioni (nonche', in misura diversa, le province ed i comuni) l'esclusione non era certo dovuta a mere ragioni di opportunita' legislativa, ma alla precisa consapevolezza che il rapporto tra lo Stato e le regioni era, sotto questo profilo come sotto altri profili, disciplinato dalla Costituzione in termini radicalmente diversi da quelli dell'art. 100, nella parte considerata. Le regioni infatti non sono enti cui lo Stato "contribuisce in via ordinaria", ma sono istituzioni comunitarie dotate di autonomia finanziaria fondata su "tributi propri e quote di tributi erariali" e su "proprio demanio e patrimonio". Esse hanno dunque finanza propria, ovviamente collegata, ma non certo legata a quella dello Stato da un rapporto di "contribuzione". Inoltre, le relazioni di controllo tra Stato e regioni sono esaustivamente definite dall'art. 125, primo comma, della Costituzione, sia per quanto attiene al controllo di legittimita' che a quello di merito. Ed e' pure da ritenersi pacifico che la Costituzione implicitamente esclude ogni altra forma di controllo generale sull'attivita' amministrativa regionale. Sia consentito qui di richiamarsi soltanto, per brevita', alla riflessione di Nigro, proprio sullo specifico tema dei poteri di controllo "gestionale" della Corte dei conti: "a me pare certo" - scriveva Nigro - "che questo controllo la Corte non puo' esplicarlo nei confronti degli enti locali, perche' lo vieta l'art. 130 della Costituzione": sicche' "non c'e' nessuna possibilita' ne' teorica, ne' legata a capacita' generali istituzionali o ad idoneita' tecniche che possa aiutare a superare questa precisa volonta' normativa" (cosi' in regioni e governo locale, 1984, p. 234). Cio' che Nigro osservava in relazione agli enti locali vale, a maggior ragione, in relazione alle regioni, tutelate nella loro autonomia amministrativa e finanziaria non solo dall'art. 125, primo comma ma anche dagli artt. 118 e 119 della Costituzione. Si noti che il controllo previsto dal quarto comma, benche' possa alla lontana richiamare il c.d. "controllo di gestione", e' invece nella sua sostanza sempre il ben noto controllo attraverso valutazione globale giuridica e contabile, come e' ad abundantiam mostrato, tra l'altro, dalla precisazione che nel farlo la Corte dei conti dovra' verificare "la legittimita' e la regolarita' delle gestioni". E se e' vero che il controllo sembra (dal proseguo dello stesso quarto comma) finalizzato anche a verifiche di efficacia e di efficienza (come apparirebbe tipico del controllo di gestione), e' evidente che tale aspetto costituisce una mera propaggine di un controllo che, anche data la natura dell'organo controllante, e' e rimane fondamentalmente un controllo di legalita' giuridica e contabile: tanto e' vero che il controllo di efficacia e di efficienza, nella misura in cui avverra', presupporra' comunque, a dire dello stesso quarto comma, "altri controlli" non meglio identificati, la cui generica indicazione costituisce comunque ulteriore illegittima lesione. In ogni modo, anche per gli aspetti che possano apparire come mero controllo di gestione in senso tecnico, la loro attribuzione ad un organo intrinsecamente autoritativo" come la Corte dei conti rappresenta una lesione dell'autonomia costituzionale delle regioni. Un conto infatti e' che il controllo di gestione, anche quando non sia un controllo interno, sia affidato ad agenzie di consulenza indipendenti, che forniscano un sindacato anche molto critico ma di tipo collaborativo e nell'interesse della stessa organizzazione che ne fruisce, un conto e' che esso sia affidato ad un organo che si trova istituzionalmente in una posizione fondamentalmente sovraordinata, in quanto titolare costituzionale - ma non verso le regioni - di una funzione di controllo, ed inoltre di una funzione giurisdizionale nella stessa materia. Si vuol dire che la posizione della Corte dei conti e' comunque quella di una "autorita'", e non quella di un collaboratore: come mostra fin troppo eloquentemente il vero e proprio potere della Corte di fare osservazioni in relazione alle quali le amministrazioni devono comunicare le misure consequenzialmente assunte (come disposto dal sesto comma), e come mostrano ancor piu' i penetranti poteri di ingerenza previsti dall'ottavo comma, ove sono statuiti i doveri delle amministrazioni di inviare qualunque atto richiesto, ed ove e' statuito il potere della Corte dei conti di effettare e disporre ispezioni e accertamenti diretti: ove si vede chiaramente che l'organo di controllo non presta una sua attivita' a favore dell'ente, ma svolge un controllo sull'ente stesso. Per non dire poi che la Corte dei conti e', per disposizione costituzionale, il giudice della giurisdizione contabile: e se con questa fondamentale figura ben si puo' conciliare la ulteriore funzione di controllore delle gestioni statali e derivate dallo Stato, nell'interesse della regolarita' ed equilibrio della spesa statale, certamente non si concilierebbe invece affatto la figura del controllo di gestione nel senso della consulenza e della collaborazione e quasi "partecipazione" alla gestione, cui fanno insormontabile ostacolo proprio il ruolo tipico ed indefettibile della Corte dei conti quale garante del bilancio statale e giudice contabile. In questa situazione, ben poco importa che l'ottavo comma esoneri le amministrazioni territoriali dal potere - altrimenti esercitato dalla Corte dei conti - di richiedere "il riesame di atti ritenuti non conformi a legge", con ulteriore obbligo di trasmissione degli atti riadottati. Infatti, se la sottoposizione della regione persino a questo potere avrebbe reso davvero troppo evidente la sovrapposizione e duplicazione rispetto al controllo costituzionalmente previsto dall'art. 125 della Costituzione, non e' certo la sua soppressione a modificare il quadro complessivo dell'azione di controllo coinvolgente anche le regioni. Nella prospettiva della nuova legge, anzi, si vede chiaramente che quello globale, relativo alla legittimita' e regolarita' della gestione, esercitato dalla Corte dei Conti, risulta il vero controllo generale, mentre quelli previsti istituzionalmente dalla Costituzione si riducono a singoli frammenti compositivi. Ne' la lesione risulta attenuata o sminuita dalla circostanza che il quinto comma dell'art. 3 della legge n. 20 dispone che "nei confronti delle amministrazioni regionali, il controllo della gestione concerne il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma". Sotto un primo profilo, anzi, tale comma rappresenta proprio il centro della lesione, dato che senza di esso (e senza i corrispondenti cenni nei successivi commi) potrebbe ritenersi ancora vigente la clausola di esclusione delle regioni operata, come sopra detto, dall'art. 13 della legge n. 259/1968. Inoltre, la specificazione cosi' operata rappresenta forse una specifica finalizzazione del controllo, ma non certamente un mutamento del suo oggetto, meno ancora delle modalita' intrinsecamente lesive del suo esercizio. In ogni modo, anche se il controllo si dovesse ritenere esercitato sulle regioni solo sulla corrispondenza della attivita' amministrativa agli obbiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma (e non dunque sulla complessiva gestione del bilancio e del patrimonio), la lesione sussisterebbe egualmente, sia pure in piu' limitata estensione. 2. - Illegittimita' costituzionale dell'estensione del controllo sulla gestione del bilancio e del patrimonio, sia quanto al principio sia quanto alle concrete modalita' operative, agli enti dipendenti della regione ed agli enti locali. Considerazioni analoghe a quelle esposte valgono in relazione agli enti dipendenti dalla regione. In questo caso, ad essere vulnerata e' proprio la titolarita' regionale delle funzioni amministrative, ivi compresa ogni forma di controllo, secondo quanto statuito, in attuazione della Costituzione, anche dall'art. 13, primo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977. Sul punto, sia consentito anche ricordare il precedente specifico sancito da codesta ecc.ma Corte costituzionale con la sentenza n. 114 del 24 aprile 1986, resa in sede di conflitto avversa la pretesa della Corte dei conti di sottoporre a controllo un ente dipendente dalla Regione Sicilia. Inoltre, la stessa normativa qui impugnata viola anche le preroga- tive regionali in materia di controllo sugli enti locali, quali stabilite dall'art. 130 della Costituzione. Infatti, come esposto, la nuova normativa fa della Corte dei conti il vero controllore anche degli enti locali, proporzionalmente riducendo il ruolo regionale - l'unico riconosciuto dalla Costituzione - a quello di mero controllore formale della legittimita' di singoli atti. Si osservi che la nuova disciplina comporta una diretta ingerenza della Corte dei conti in tutta l'attivita' amministrativa degli enti locali, ben diversa ed ulteriore rispetto a quella semplice richiesta di adempimenti istruttori, rivolta proprio agli organi regionali di controllo, in vista dell'adempimento di specifiche funzioni assegnate dalla legge alla Corte dei conti, che e' stata riconosciuta legittima da codesta ecc.ma Corte costituzionale con la sentenza n. 422 del 1988. Con la nuova disciplina, la Corte dei conti si affianca praticamente alle regioni come "vero" organo controllore con compiti e poteri, anche se non di annullamento, ben piu' generali: il che contraddice, ad avviso della regione, il senso obbiettivo e complessivo dell'art. 130 della Costituzione. 3. - Rilievi sull'art. 6. Rilievi a parte merita l'art. 6, secondo il quale le disposizioni della legge "costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione". Allo stato attuale, tale formulazione, che come e' ben noto si riferisce al rapporto tra la legislazione statale e quella regionale nelle materie assegnate alle regioni dall'art. 117, primo comma, della Costituzione, non sembra avere alcun significato: dato che le regioni non sembrano dovere o potere approvare alcuna legge relativa ai controlli esercitati dalla Corte dei conti, unico oggetto della legge statale. Diversamente potrebbe pensarsi proprio nella prospettiva sostenuta nel presente ricorso: se infatti, come qui si ritiene di aver mostrato, le regioni devono essere escluse dalla sottoposizione al controllo della Corte dei conti, allora puo' acquistare significato la prospettiva di una legge regionale che crei, per la regione e per il sistema degli enti regionali, forme analoghe di controllo.