ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 13, secondo
 comma, della legge della Regione Piemonte  riapprovata  il  6  luglio
 1993  dal  Consiglio  regionale,  avente per oggetto: "Ricerca, uso e
 tutela delle acque sotterranee" promosso con ricorso  del  Presidente
 del  Consiglio dei ministri, notificato il 26 luglio 1993, depositato
 in cancelleria il 5 agosto  successivo  ed  iscritto  al  n.  32  del
 registro ricorsi 1993;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Piemonte;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  14  dicembre  1993  il Giudice
 relatore Massimo Vari;
    Udito l'avvocato Gustavo Romanelli per la Regione;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ricorso notificato il 26 luglio 1993, il  Presidente  del
 Consiglio   dei  ministri  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 13, secondo comma, della legge della Regione
 Piemonte riapprovata  dal  Consiglio  regionale  il  6  luglio  1993,
 (Ricerca, uso e tutela delle acque sotterranee), per violazione degli
 artt.  5,  114,  117  e  128  della Costituzione, nonche' delle norme
 interposte contenute nell'art. 2 del d.P.R. 24 luglio 1977,  n.  616,
 negli  artt. 3, 5, 12, 14, 17 e 18 della legge 18 maggio 1989, n. 183
 e nella legge 8 giugno 1990, n. 142.
    Secondo il ricorso, la norma  impugnata  porrebbe  in  essere  una
 illegittima    compressione   dell'autonomia   comunale,   la'   dove
 attribuisce alla Giunta regionale il potere  di  stabilire,  ai  fini
 della  protezione delle aree da riservare alle esigenze idropotabili,
 in relazione a quanto previsto dagli artt. 7 e 9 del d.P.R.  236  del
 1988,  vincoli  e limitazioni d'uso del territorio che "costituiscono
 ad ogni effetto variante agli strumenti urbanistici locali".
    Tutte le "destinazioni" del territorio previste da tali  strumenti
 sarebbero  infatti  modificabili  dalla  Giunta regionale sentiti gli
 enti locali, ma senza il concorso nel procedimento  di  deliberazioni
 (ad esempio di "adozione") dei Consigli comunali interessati (art. 32
 secondo  comma,  lettera  b  della  legge  n. 142 del 1990). A questo
 proposito, si rammenta che la Corte costituzionale ha  ravvisato  una
 "compressione  illegittima  dell'autonomia  comunale", ogni qualvolta
 poteri decisionali, attribuiti agli organi comunali da leggi  statali
 recanti  principi,  sono "trasformati in semplici poteri consultivi e
 di proposta", mentre la Regione "assume in proprio una competenza  di
 natura  provvedimentale"  (sentenza  n.  157 del 1990), anche perche'
 dall'art.  3  della  legge  n.  142  del  1990   "non   puo'   trarsi
 l'attribuzione  alla  Regione  del potere di disporre del contenuto e
 dell'estensione delle funzioni dei Comuni, per di piu'  senza  tenere
 conto  del  modo in cui esse si atteggiano nella legislazione statale
 gia' vigente" (sentenza n. 212 del 1991).
    In secondo luogo - osserva sempre il ricorrente -  l'utilizzazione
 delle  acque  per  esigenze  idropotabili  si inquadra nel piu' vasto
 ambito delle attivita' per la difesa del  suolo,  disciplinate  dalla
 legge n. 183 del 1989. In particolare, poiche' il bacino del fiume Po
 e'  qualificato  "di  rilievo  nazionale", il potere attribuito dalla
 norma impugnata alla Giunta di una delle piu' Regioni interessate non
 appare compatibile con  "l'ordinamento  coordinato  delle  molteplici
 funzioni finalizzate alla difesa del suolo e riferite non soltanto al
 territorio (art. 17, primo comma, della legge n. 183 del 1989)".
    2.  - La Regione Piemonte si e' costituita nel giudizio, chiedendo
 il rigetto del ricorso.
    Riguardo alla prima censura,  la  resistente  rileva:  a)  che  il
 potere  della  Regione  di  individuare  caso  per  caso  le  aree di
 salvaguardia, con effetti,  ove  necessario,  anche  sugli  strumenti
 urbanistici  vigenti,  discende  direttamente  dalle disposizioni del
 d.P.R. n. 236 del 1988, norma speciale che attribuisce  alla  Regione
 una funzione propria, in nome dell'interesse alla tutela della salute
 pubblica  e  al  miglioramento  delle  condizioni  di vita; b) che il
 superamento  degli  strumenti  urbanistici,  disposto  dall'art.  13,
 secondo  comma  della  legge regionale, giustificato dalla prevalenza
 dell'interesse tutelato  rispetto  a  quello  proprio  della  materia
 urbanistica, non comporta lesione dell'autonomia comunale che risulta
 gia'  compressa per espressa volonta' del legislatore statale; c) che
 la giurisprudenza costituzionale invocata nel  gravame  (sentenze  n.
 157  del  1990  e  n. 212 del 1991) non risulta pertinente al caso in
 esame,  riferendosi  alla  diversa  fattispecie  di  un  procedimento
 speciale  in deroga alla ordinaria disciplina urbanistica, mentre qui
 si  tratta  di  una  competenza  afferente  ad  un  interesse diverso
 (ambientale e sanitario), sovraordinato al potere comunale di assetto
 del territorio; d) che la stessa Corte costituzionale,  con  sentenza
 n.  499  del  1988, si e' pronunciata a favore di una legge regionale
 che  imponeva  ai  Comuni  di  adottare  varianti  ai  propri   piani
 regolatori, ai fini di salvaguardia delle risorse estrattive.
    Quanto  alla  seconda  censura, relativa alla compatibilita' fra i
 poteri attribuiti alla Giunta regionale e le previsioni  della  legge
 n.  183  del  1989,  recante  norme  per il riassetto organizzativo e
 funzionale della difesa del suolo, la Regione Piemonte deduce: a) che
 i poteri dell'Autorita' di bacino si limitano all'adozione del  piano
 di  cui  agli  artt. 17 e 18 della legge, ma non incidono sul riparto
 delle competenze previsto  dalle  vigenti  disposizioni;  b)  che  le
 disposizioni  del piano hanno carattere immediatamente vincolante per
 le amministrazioni e gli enti pubblici, solo se  dichiarate  di  tale
 efficacia dal piano stesso; c) che, d'altra parte, il piano di bacino
 del  fiume  Po  non  e' stato ancora adottato, sicche' non si possono
 ritenere paralizzate,  nel  frattempo,  le  funzioni  assegnate  alle
 Regioni dalla normativa vigente.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l'art. 13,
 secondo comma, della legge della Regione Piemonte  riapprovata  il  6
 luglio 1993, nella parte in cui dispone che, ai fini della protezione
 delle   aree   da   riservare   al   soddisfacimento  delle  esigenze
 idropotabili,  "la  Giunta  definisce,  sentiti   gli   enti   locali
 territorialmente  competenti,  i  vincoli  e le limitazioni d'uso del
 territorio, a  norma  dell'art.  7  del  d.P.R.  n.  236  del  1988",
 precisando  che  "tali  vincoli  e  limitazioni costituiscono ad ogni
 effetto variante agli strumenti urbanistici locali".
    2.  -  Prima  di  passare  al  merito  dell'impugnativa,  conviene
 accennare  brevemente  al  quadro  normativo  nel quale si colloca la
 disposizione denunciata, tenendo conto del rinvio da  essa  fatto  al
 d.P.R.   n.  236  del  1988.  Quest'ultimo  provvedimento,  nel  dare
 attuazione alla Direttiva C.E.E. n. 80/778, concernente  la  qualita'
 delle   acque  destinate  al  consumo  umano,  ha  previsto  aree  di
 salvaguardia delle risorse idriche, suddistinte  in  zone  di  tutela
 assoluta,   zone   di   rispetto  e  zone  di  protezione  (art.  4),
 specificando, nel contempo,  che,  in  queste  ultime  zone,  possono
 essere  adottate  misure  relative  alla  destinazione del territorio
 interessato, limitazioni per gli  insediamenti,  civili,  produttivi,
 turistici,   agroforestali  e  zootecnici  (art.  7).  Ai  sensi  del
 successivo art. 9, spetta alla Regione l'individuazione delle aree di
 salvaguardia  e  la  disciplina  delle   attivita'   e   destinazioni
 ammissibili, fatte salve le previsioni di cui agli artt. 4, 5, 6, e 7
 dello stesso d.P.R. n. 236.
    Dal  canto  suo,  la Regione Piemonte, con la legge della quale fa
 parte la norma  impugnata,  ha  inteso,  come  risulta  dall'art.  1,
 disciplinare  e  coordinare  "l'organizzazione  e  l'esecuzione delle
 funzioni avute in delega dallo Stato, a norma dell'art. 90 del d.P.R.
 24 luglio 1977,  n.  616,  riguardanti  la  ricerca,  l'estrazione  e
 l'utilizzazione  delle  acque  sotterranee, escluse le acque termali,
 minerali e  radioattive  o  comunque  regolate  da  leggi  speciali".
 Nell'ambito   dell'articolata   disciplina   recata  dalla  legge  in
 questione  si  colloca  l'art.  13  che,  regolando,  per  l'appunto,
 l'esercizio  delle competenze affidate dall'art. 9 del d.P.R. n. 236,
 abilita la Giunta regionale a definire i  vincoli  e  le  limitazioni
 d'uso del territorio, a norma dell'art. 7 del menzionato decreto, sia
 pure  sentiti  gli  enti  locali,  ma  stabilendo che "tali vincoli e
 limitazioni costituiscono ad ogni  effetto  variante  agli  strumenti
 urbanistici locali".
    3.  -  Avverso quest'ultima disposizione si rivolgono le doglianze
 del Presidente del Consiglio, che - lamentando  la  violazione  degli
 artt.  5, 114, 117 e 128 della Costituzione, e delle norme interposte
 contenute nell'art. 2 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, negli  artt.
 3,  5,  12,  14,  17  e 18 della legge 18 maggio 1989, n. 183 e nella
 legge 8 giugno 1990, n. 142 - prospetta, fondamentalmente, due motivi
 di censura, attinenti: a) l'uno, alla lesione delle competenze  degli
 enti  locali  in  materia  urbanistica,  a  causa del mutamento delle
 destinazioni del territorio cosi' come gia' previste dagli  strumenti
 urbanistici,  senza il concorso nel procedimento di deliberazioni dei
 Consigli comunali interessati; b) l'altro,  alla  non  compatibilita'
 del separato potere a valenza territoriale ed urbanistica, attribuito
 dalla  norma  impugnata  alla  Giunta  regionale,  con le norme sulla
 difesa del suolo di cui alla gia' citata legge n. 183 del 1989.
    4. - Il primo motivo di ricorso e' fondato.
    Come la Corte ha gia' avuto occasione di affermare, l'ordine delle
 competenze fra Regioni e Comuni in materia urbanistica e'  quello  da
 tempo  delineato  dalla legislazione statale in materia. Tale ordine,
 fatto salvo dall'art. 2 del d.P.R. 24 luglio 1977,  n.  616,  non  e'
 suscettibile di modifica da parte della legge regionale, senza che ne
 risulti leso l'art. 128 della Costituzione, che, nel predetto art. 2,
 riceve  attuazione  per  quanto  si riferisce alla salvaguardia delle
 funzioni  gia'  spettanti  ai  Comuni   in   base   alla   precedente
 legislazione (sentenza n. 157 del 1990).
    La  norma  impugnata  -  nell'attribuire  all'atto con il quale la
 Giunta regionale  individua  le  zone  di  protezione  delle  risorse
 idriche,   l'effetto   di  incidere  immediatamente  sugli  strumenti
 urbanistici  dell'ente  locale,  senza   necessita'   di   ulteriori,
 autonomi,  interventi deliberativi dell'organo comunale - comporta la
 sottrazione al Consiglio comunale delle competenze ad esso  spettanti
 nella  specifica materia delle varianti (art. 10, ultimo comma e art.
 16, ultimo comma, della legge 17 agosto 1942, n.  1150),  estendendo,
 nel  contempo, l'ambito delle attribuzioni di carattere piu' generale
 che, in detta materia, risultano spettare alla Regione, in base  agli
 artt.  80  e segg. del gia' citato d.P.R. n. 616 del 1977. Obietta la
 difesa della resistente  che  il  richiamo  fatto  dal  ricorso  alle
 precedenti  pronunzie  di  questa  Corte  non  sarebbe pertinente, in
 quanto queste  si  riferirebbero  a  casi  di  procedimenti  speciali
 circoscritti  nell'ambito  della  materia  urbanistica, mentre qui la
 Giunta regionale agirebbe per la tutela di  interessi  d'altro  tipo,
 che  si collocano in un livello superiore rispetto a quello comunale.
 Senonche', la circostanza che la Giunta, nello stabilire i vincoli  e
 le  limitazioni  di cui all'art. 7 del d.P.R. n. 236 del 1988, agisca
 in via  primaria  per  la  tutela  di  interessi  diversi  da  quello
 urbanistico non sembra al Collegio argomento decisivo per legittimare
 la  configurazione  di  poteri provvedimentali, quali quelli previsti
 nella norma  denunciata,  le  cui  modalita'  di  esercizio  abbiano,
 comunque,  l'effetto  di  comprimere le competenze costituzionalmente
 spettanti all'ente locale, sia pure nella differente materia dell'uso
 del territorio.
    Puo'  soggiungersi  che  la  lesione  delle competenze affidate al
 Comune, mediante il declassamento del suo potere deliberativo a  mera
 competenza  consultiva, appare ancor piu' grave, ove si consideri che
 la Regione opera nei limiti di una materia ad essa delegata, quale e'
 da considerare quella dell'art. 9 del d.P.R. n. 236 del 1988.
    5. - La  Regione  Piemonte,  nel  resistere  al  ricorso,  deduce,
 ulteriormente,   che   in  realta'  le  competenze  dell'ente  locale
 risulterebbero gia' compresse dalla legge statale, e cioe' dal d.P.R.
 n. 236 del 1988, nell'autorizzare la Regione  ad  apporre  vincoli  e
 limiti  attinenti  al  perseguimento  di  un  interesse  ambientale e
 sanitario da ritenere, comunque, sovraordinato al potere comunale  di
 assetto del territorio.
    La Corte ritiene, invece, che l'art. 9 del d.P.R. n. 236 del 1988,
 nell'affidare  alla Regione la determinazione di detti vincoli, lasci
 alla discrezionalita' del legislatore regionale l'individuazione  dei
 modelli  procedimentali  nell'ambito  dei  quali  convogliare  i vari
 interessi e le varie competenze che vengono in rilievo.
    Come si e' gia' avuto occasione di affermare, proprio in una delle
 sentenze richiamate dalla  Regione  resistente,  la  convergenza  sul
 territorio   di  rilevanti  e  diversificati  interessi,  affidati  a
 specifiche competenze,  mentre  giustifica  l'ampliarsi  dell'istanza
 partecipativa   o  di  intesa  o  di  locale  subordinazione  o  piu'
 semplicemente  di   coordinamento,   esige   che   venga   assicurato
 "l'armonico  confluire"  degli  interessi  stessi (sentenza 21 aprile
 1988,  n.  499).  Resta  percio'  ferma,  a  garanzia  del  principio
 autonomistico  previsto  dagli  artt.  5 e 128 della Costituzione, la
 necessita' che il procedimento che  incide  sull'approvazione  ovvero
 sulla  modifica  degli  strumenti  urbanistici si articoli in maniera
 tale da assicurare la sostanziale partecipazione, allo stesso,  degli
 enti  il  cui  assetto  territoriale  e'  determinato  proprio  dagli
 strumenti in questione (sentenza 26 ottobre 1988, n. 1010).
    Quanto, poi, al  modo  in  cui  gli  interessi  concorrenti  nella
 specifica  materia  siano  da armonizzare, non e' questo problema che
 sia venuto a riguardare  la  sola  Regione  Piemonte,  come  e'  dato
 desumere dalla legislazione regionale esistente in materia, che offre
 una  casistica nella quale si rinvengono diversificate soluzioni, non
 esclusa quella di una fase di adozione della  variante  demandata  al
 Consiglio comunale, accompagnata, per il caso di inottemperanza entro
 un certo termine, dall'esercizio di poteri sostitutivi da parte della
 Regione.  Va  da  se',  comunque,  che  non spetta alla Corte fornire
 indicazioni, in quanto la ricerca dei  modi  attraverso  i  quali  il
 coinvolgimento  dei diversi interessi puo' essere realizzato non puo'
 che rimettersi alla discrezionalita' del legislatore  regionale,  nei
 limiti, ovviamente, del principio di ragionevolezza.
    6. - A seguito dell'accoglimento del ricorso per le considerazioni
 sopra  svolte,  e'  da  ritenere assorbito l'altro motivo di gravame,
 attinente, secondo il ricorrente, alla illegittima configurazione  di
 un  separato  potere  a  valenza territoriale, che non terrebbe conto
 delle molteplici funzioni finalizzate alla difesa del  suolo,  giusta
 le previsioni dell'art. 17, primo comma, della legge n. 183 del 1989.