IL PRETORE Esaminati gli atti di causa; Rilevato che in pendenza del presente procedimento e' stato emanato il decreto-legge 15 novembre 1993 n. 454 avente ad oggetto "Modifiche alla disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature e degli insediamenti civili che non recapitano in pubbliche fognature" contenente disposizioni modificative ed integrative della legge 10 maggio 1976, n. 319 e succ. mod. pubblicato in Gazzetta Ufficiale 15 novembre 1933, n. 268 ed entrato in vigore il successivo 16 novembre 1993; Ritenuto che il contenuto del suddetto decreto-legge appare essere in contrasto con disposizioni costituzionali sotto il profilo della violazione degli artt. 3, 25 e 117 della Costituzione e influente sulla decisione del presente giudizio; Ritenuta, pertanto, l'opportunita' di sottoporre, di ufficio, al giudizio della Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 454 per violazione delle norme costituzionali appena richiamate; R I L E V A Gli odierni imputati, Ferrari Giorgio e Battaglioli Luciano sottoposti a giudizio di questo pretore, nelle loro rispettive qualita' di direttore tecnico e di legale rappresentante della societa' "Consorzio Aquarno S.p.a." che gestisce l'impianto centralizzato di depurazione posto nel comune di S. Croce S/A, perche' ritenuti responsabili di piu' violazioni dell'art. 21, terzo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319 accertate in diverse circostanze di tempo e con riferimento a diversi parametri, tra cui i cloruri, di cui alla tabella A) annessa alla stessa legge. L'impianto centralizzato di depurazione gestito dai prevenuti, asservito al sistema fognario, riceve scarichi di natura mista (civili ed industriali) che, per loro composizione, presentano caratteristiche qualitative sostanzialmente diverse da quelle degli scarichi provenienti da soli insediamenti civili. Orbene, in base a quanto stabilito al punto B) del documento unito alla delibera del comitato interministeriale per la tutela delle acque dall'inquinamento 30 dicembre 1980 adottata ai sensi dell'art. 14 della legge n. 319/1976 come modificato dall'art. 17 della legge n. 650/1979, per gli scarichi di tali fognature non e' consentito alle amministrazioni regionali di fissare limiti di accettabilita' meno restrittivi rispetto a quelli tabellari. Questo criterio e' stato, invece, disatteso dalla regione Toscana. Questa inizialmente, ritenuti gli impianti centralizzati di depurazione come parte terminale del sistema integrato di fognatura-depurazione, nella predisposizione del piano regionale di risanamento delle acque adottato con la delibera n. 332 del 15 aprile 1980 e con la successiva legge regionale 23 gennaio 1986, n. 5, non ha previsto deroghe di sorta rispetto ai limiti di accettabilita' fissati dalla legge Merli. Al contrario la legge regionale n. 5/1986 all'art. 8 considerava gli scarichi delle pubbliche fognature a natura mista "come scarichi provenienti da insediamenti produttivi e come tali soggetti alla legge n. 319/1976 e successive modificazioni" imponendo l'obbligo di conseguire i limiti della tabella A) nei termini previsti dalla medesima legge (1 marzo 1986). Solo con la legge della regione Toscana 23 ottobre 1989, n. 67 veniva prevista la proroga dei termini della tabella A) per alcuni parametri, mentre veniva delegata ad una delibera del consiglio regionale (che sarebbe dovuta intervenire entro il novembre 1989) la fissazione: 1) per ciascun parametro della legge n. 319/76 di criteri e prescrizioni, anche di ordine temporale, per l'allineamento progressivo degli scarichi alla tabella A) entro il termine della sua entrata in vigore; 2) di limiti di accettabilita' per ciascun parametro piu' restrittivi della tabella A) della legge n. 319/1976 nonche' i termini per il loro raggiungimento. La delibera del consiglio regionale intervenne il 27 dicembre 1989 con il n. 558, ma si limito' a prorogare l'osservanza della tabella C) fino al 13 giugno 1991 senza prevedere alcuna deroga per i limiti di accettabilita'. Pertanto fino al dicembre 1989, a parte il regime delle proroghe, nulla era mutato rispetto alla disciplina statale. Solo successivamente, con la delibera del consiglio regionale del 17 luglio 1991, n. 225, fu prevista l'entrata in vigore della tabella A) a partire dal 1 marzo 1992 e furono modificati, in via definitiva ed in senso meno restrittivo rispetto ai limiti di concentrazione previsti dalla legge Merli, per gli impianti centralizzati di Santa Croce sull'Arno, Ponte a Egola e Castelfranco di Sotto, i parametri dei cloruri e dei solfati. In particolare la delibera n. 225/1991 modificava i parametri dei cloruri e dei solfati e non in via provvisoria, al fine del raggiungimento dell'obbiettivo dell'osservanza della legge nazionale entro il termine pur prorogato, bensi' in via definitiva. Per di piu' cio' veniva fatto completamente disattendendo la norma che aveva conferito il potere di intervento amministrativo del consiglio regionale (legge regionale 23 ottobre 1989, n. 67) la quale prevedeva la possibilita' di fissare limiti di accettabilita' solo piu' restrittivi di quelli previsti dalla tabella A) della legge n. 319/1976 e non certamente piu' ampliativi. Tale delibera regionale non avrebbe potuto spiegare alcuna efficacia nel giudizio in corso, ed avrebbe dovuto essere disapplicata, per la sua palese illeggittimita', sia perche' atto amministrativo in aperta violazione della legge che ne prevedeva l'adozione ed i limiti di contenuto, sia per il contenuto eminentemente depenalizzante di fattispecie contravvenzionali previste in norme statali e, quindi, in violazione del principio della riserva di legge in materia penale. Senonche' il decreto-legge 15 novembre 1993, n. 454, all'art. 1, nel modificare il secondo comma dell'art. 14 della legge 10 maggio 1976 n. 319, dopo aver demandato alle regioni con i rispettivi piani di risanamento delle acque la disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature, servite o meno da impianti pubblici di depurazione, prevede che "Le regioni, nel definire tale disciplina, tengono conto dei limiti di accettabilita' fissati dalle tabelle allegate alla presente legge, cui possono derogare, anche in senso meno restrittivo, nei casi ed alle condizioni stabiliti . . . . . con apposite direttive del Ministro dell'ambiente, in funzione delle situazioni locali e degli obiettivi dei piani di risanamento. Restano ferme le prescrizioni adottate, anteriormente alla data di entrata in vigore delle disposizioni contenute nel presente comma, in materia di scarichi civili che non recapitano in pubbliche fognature e di scarichi delle pubbliche fognature ed in particolare quelle di cui alla delibera in data 30 dicembre 1980 del comitato interministeriale previsto dall'art. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 9 del 10 gennaio 1981". La norma, nella sua formulazionie, presenta sicuri aspetti di incostituzionalita' se letta in relazione alla disposizione dell'art. 2 dello stesso decreto-legge il quale, aggiungendo alla legge 10 maggio 1976, n. 319 l'art. 2-ter, prevede che "l'inosservanza dei limiti di accettabilita' fissati dalle regioni, ai sensi dell'art. 14, secondo comma, nei rispettivi limiti e modi di applicazione, e' punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire due milioni a lire dodici milioni". Il sistema che viene a delinearsi a seguito della introduzione delle suddette modifiche ed integrazioni comporta non solo la possibilita' di depenalizzare - con disciplina regionale che stabilisca parametri meno restrittivi di quelli previsti dalle tabelle annesse alla legge Merli - ipotesi di superamento di limiti di accettabilita' sottraendoli alla previsione sanzionatoria dell'art. 21, comma terzo, della legge n. 319/1976, ma anche, per quello che nella specie piu' ancora interessa, l'estensione retroattiva di tale effetto attraverso la salvezza delle prescrizioni adottate dalle regioni in data anteriore a quella di entrata in vigore di quelle disposizioni. Poiche' nessuna norma prevede la forma con la quale le regioni debbano adottare i loro piani di risanamento e poiche' l'art. 14 della legge Merli, cosi' come modificato, fa' generico riferimento alle pure e semplici "prescrizioni", deve conseguenzialmente ritenersi che esso abbia voluto far salve tutte le prescrizioni, comunque adottate dalle regioni nell'ambito dei piani di risanamento delle acque aventi ad oggetto la materia degli scarichi delle pubbliche fognature. Per la verita' la previsione normativa introdotta non appare immediatamente chiara: quello che in particolare non si comprende e' quale sia il senso e la necessita' di ribadire, con una modifica della legge Merli, l'efficacia delle prescrizioni regionali gia' emanate nella materia sulla base della delega contenuta nella vecchia formulazione della stessa disposizione normativa oggi modificata. Si osserva, infatti, che quelle norme regionali ben avrebbero potuto mantenere inalterata la loro efficacia in quanto compatibili con i principi fondamentali dello Stato, con gli interessi nazionali e delle altre regioni a norma dell'art. 117 della Costituzione. Un piu' attento esame della norma, pero', effettuato alla luce della vera novita' introdotta con la modifica dell'art. 14 della legge n. 319/1976, e consistente nella possibilita' per le regioni di derogare in senso meno restrittivo ai parametri di cui alle tabelle della legge Merli, induce a ritenere che la reale finalita' della disposizione normativa sia proprio quella di consentire il "ripescaggio" di quelle prescrizioni che, adottate in epoca anteriore alla norma che consente l'intervento ampliativo regionale, fossero anticipatorie di quegli effetti derogatori dei limiti di accettabilita' degli scarichi: e senza che cio' fosse consentito dalla normativa statale e dal principio costituzionale della riserva di legge penale. Tra le prescrizioni "ripescate" dovrebbe essere ricompresa proprio la delibera n. 225/1991 del consiglio regionale toscano che, di per se' illegittima ab origine per superamento dei limiti della delega prevista dalla legge regionale, troverebbe nuovo ed autonomo titolo di legittimazione nella norma statale introdotta con il decreto-legge n. 454/1993. Da queste considerazioni risultano palesemente i motivi che rendono rilevante nel presente giudizio la questione di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 1 del decreto-legge che con il presente atto si intende, di ufficio, sottoporre all'esame della Corte costituzionale. Infatti, l'eventuale affermazione della sua costituzionalita' comporterebbe, a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., l'immediato proscioglimento dei prevenuti in ordine ai reati loro contestati in relazione al superamento dei parametri dei cloruri e dei solfati. Peraltro la questione non appare manifestamente infondata alla luce dei principi costituzionali di cui agli artt. 3, 25 e 117 della Carta costituzionale. Viola certamente il principio di uguaglianza la possibilita', solo per i cittadini delle regioni che derogassero in senso meno restrittivo ad alcuni dei parametri di cui alle tabelle annesse alla legge Merli, o che anche per il passato avessero adottato una qualunque prescrizione in questo senso, di essere sottoposti a sola sanzione amministrativa pecuniaria anziche' alla sanzione penale irrogabile, in via ordinaria, a tutti gli altri. Di tutta evidenza risulta essere la contraddittorieta' delle norme del decreto-legge al principio costituzionale di cui all'art. 25 della Costituzione per cui sono riservate in modo assoluto ed esclusivo alle leggi dello Stato le previsioni di fatti aventi rilevanza penale: la parte sanzionatoria della legge Merli, la quale ha come parametri di riferimento i valori limite di concentrazione degli scarichi indicati nelle tabelle alla stessa legge annesse, verrebbe, infatti, ad essere inficiata nella sua applicazione dell'intervento regionale che, modificando dei parametri, potrebbe determinare o aver gia' determinato una depenalizzazione "di fatto" di determinate violazioni afferenti a singoli valori limite derogati in senso meno restrittivo (per il futuro nei casi ed alle condizioni determinate dal Ministro dell'ambiente, sentita la conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e le province autonome). Peraltro il riferimento alle situazioni locali da considerarsi per l'eventuale deroga regionale non appare ancorata a sicuri criteri che possano indirizzare l'esercizio dell'attivita' discrezionale della regione nella materia. La violazione dell'art. 117 della Costituzione della Repubblica discende in modo automatico dalla considerazione per cui la materia ambientale resta esclusa da quelle per le quali e' previsto un potere legislativo regionale. Ad abundantiam non appare del tutto inopportuno far rilevare come, nella specie, non risultassero sussistenti altre esigenze di necessita' e di urgenza, che a norma dell'art. 77 della Costituzione legittimano il ricorso alla legislazione governativa per decreto, al di fuori della pendenza del presente procedimetno penale.