LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 889813 del registro di segreteria, proposto da Papini Teresa avverso il decreto del Ministro del tesoro n. 13271 RI-GE in data 1 febbraio 1984. Udito, alla pubblica udienza del giorno 23 marzo 1993, il relatore, nella persona del consigliere Remo Ripoli; vista la nota con la quale, a seguito dell'entrata in vigore del d.l. 8 marzo 1993, n. 54, che, tra l'altro, ha abolito l'intervento del pubblico ministero nel processo pensionistico, il Ministero del tesoro, direzione generale dei servizi vari e delle pensioni di guerra, ha comunicato, in relazione ai ricorsi iscritti a ruolo all'odierna udienza, di rimettersi alle conclusioni rassegnate, a suo tempo, dal procuratore generale ed alle decisioni del collegio; Esaminati gli atti; F A T T O Papini Teresa, quale vedova dell' ex militare Baldi Antimo (deceduto il 4 dicembre 1945, a causa di guerra), ha fruito di pensione indiretta di guerra dal 5 dicembre 1945 al 21 maggio 1965 ed essendo passata a nuove nozze con Rossi Giovanni il 22 maggio 1965, da tale data ha perso l'anzidetto diritto, per effetto dell'art. 59, primo comma, della legge 10 agosto 1950, n. 648 (disposizione riprodotta dall'art. 47, primo comma, della legge 18 marzo 1968, n. 313). Le citate disposizioni sono state dichiarate incostituzionali con sentenza della Corte costituzionale n. 184/1975. Pertanto, e' venuta meno la rilevanza dello stato vedovile ai fini dell'acquisizione o conservazione del diritto a pensione indiretta di guerra, in quanto la vedova, passando a nuove nozze, non e' privata, per cio' solo, del diritto, ma, al pari del vedovo, soltanto se ed in quanto il nuovo coniuge sia titolare di reddito superiore od un determinato limite. Conseguentemente, con istanza del 10 agosto 1976, la Papini ha chiesto il ripristino del trattamento pensionistico, che, con l'impugnato decreto, decisorio di ricorso gerarchico contro la pronuncia negativa del direttore generale delle pensioni di guerra (determinazione n. 2640852-Z, del 16 giugno 1979), le e' stato riconosciuto dal 1 settembre 1976 (primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della relativa domanda) al 31 dicembre 1977 e non oltre, in considerazione delle condizioni economiche del secondo marito, risultando questi in possesso, nell'anno 1978, di un reddito superiore al limite di legge allora vigente (L. 960.000 o L. 1.320.000, a seconda che alla formazione del reddito concorressero o non redditi di lavoro). Tanto, per effetto dell'art. 42, primo comma, del testo unico approvato con d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, il quale dispone, appunto, che la vedova del militare o del civile deceduto per causa di guerra, che contragga nuove nozze, perde il diritto a pensione se il congiuge fruisca, o venga a fruire successivamente al matrimonio, di un reddito complessivo annuo superiore al limite di legge. La ricorrente, con memoria depositata il 1 marzo 1993, ha comunicato che il suo secondo marito e' deceduto il 26 ottobre 1992. Pertanto, essendo venuto a cessare il cespite reddituale, sono tornate a sussistere, dalla predetta data, le condizioni economiche di legge necessarie per il ripristino della pensione indiretta di guerra della vedova. Ne consegue che la limitazione del diritto a pensione della vedova risposata imposta dal citato art. 42, primo comma, del d.P.R. n. 915/1978 risulta operante nella fattispecie relativamente al periodo di tempo (1 gennaio 1978-26 ottobre 1992) durante il quale il reddito del secondo marito della ricorrente ha avuto effetto ostativo della conservazione della pensione indiretta di guerra da parte della medesima. In ordine alla predetta disposizione (ed a quella correlativa di cui all'art. 55 dello stesso d.P.R. concernente il vedovo risposato) questa Sezione, in sede di precedente esame dello stesso ricorso in epigrafe, ha gia' prospettato alla Corte costituzionale questione di legittimita' in riferimento agli artt. 29, secondo comma, e 30, primo comma, della Costituzione (ordinanza n. 131 del 13 dicembre 1991). La Corte costituzionale, con ordinanza n. 325, in data 29 giugno-8 luglio 1992, ha dichiarato, in relazione ai prospettati motivi, la sollevata questione manifestamente infondata a motivo della estraneita' e prospettazioni di ordine pensionistico delle invocate norme costituzionali, essendo l'una diretta a salvaguardare "essenzialmente i contenuti e gli scopi etico-sociali della famiglia come societa' naturale fondata sul matrimonio e senza riflessi immediati sulle pensioni, le quali ineriscono a momenti strettamente economici"; l'altra avendo per oggetto "i doveri e i diritti dei genitori e dei figli, ... non tocca il tema delle situazioni giuridiche a contenuto patrimoniale". D I R I T T O La sezione, preso atto dei rilievi espressi dalla Corte costituzionale nella ordinanza n. 325, in data 29 giugno8 luglio 1992, ravvisa, dopo ulteriore, piu' approfondito esame del caso evidenziato dal ricorso in epigrafe, di poter riproporre la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 42, primo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, sotto piu' ampio profilo e con diversa motivazione. L'art. 42 anzidetto (ugualmente l'art. 55 del medesimo d.P.R., per il vedovo) stabilisce che la vedova di militare (o di civile) deceduto per causa bellica perde il diritto a pensione (indiretta) di guerra se contrae nuove nozze con chi fruisca, o venga a fruire successivamente al matrimonio, di un reddito annuo complessivo superiore al limite di legge (piu' volte aggiornato, ma sempre di esigua misura). Al riguardo, la Sezione ravvisa di dover preliminarmente considerare quanto appresso: il testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra emanato con d.P.R. n. 915/1978, all'art. 1, enuncia, in via di principio, che "La pensione, assegno o indennita' di guerra ( .. ..) costituiscono atto risarcitorio, di doveroso riconoscimento e di solidarieta' nei confronti di coloro che, a causa della guerra, abbiano subito menomazioni nell'integrita' fisica o la perdita di un congiunto"; la vedova di caduto a causa di guerra acquista il diritto a pensione indiretta in via autonoma (e non derivata come la pensione di riversibilita') e quindi iure proprio (sent. Corte costituzionale n. 379/1989); inoltre, a tal fine, non ha rilevanza alcuna il suo status economico; a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 184/1975, e' venuta meno la rilevanza dello stato vedovile ai fini dell'acquisizione (o conservazione del diritto a pensione indiretta di guerra in quanto la vedova, passando a nuove nozze, non e' privata, per cio' solo, dell'anzidetto diritto (ma, al pari di quanto e' stabilito per il vedovo, soltanto se e in quanto il nuovo coniuge sia titolare di un certo reddito); la legge 8 agosto 1991, n. 261, all'art. 5, che ha sostituito l'art. 77 del testo unico approvato con d.P.R. n. 915/1978, stabilisce che: "Le somme corrisposte a titolo di pensione, assegno o indennita' di cui al presente decreto, per la loro natura risarcitoria, non costituiscono reddito. Tali somme sono, pertanto, irrilevanti ai fini fiscali, previdenziali, sanitari ed assistenziali, ed in nessun caso possono essere computate, a carico dei soggetti che le percepiscono e del loro nucleo familiare, nel reddito richiesto per la corresponsione di altri trattamenti pensionistici, per la concessione di esoneri ovvero di benefici economici e assistenziali"; con norma di principio, l'art. 28 del citato d.P.R. n. 915/1978 stabilisce la cumulabilita' del trattamento pensionistico di guerra con i redditi di lavoro e con altri trattamenti pensionistici. Alla stregua del suindicato quadro normativo, la perdita della pensione da parte della vedova di guerra come stabilita dall'art. 42, secondo comma, del ripetuto d.P.R. n. 915/1978, in considerazione della condizione reddituale del secondo marito, appare irrazionale, in quanto non coerente sia con la natura risarcitoria, espressamente riconosciuta dal legislatore, del trattamento pensionistico di guerra sia con l'enunciato fine di solidarieta' da parte dello Stato nei confronti di coloro che, a causa della guerra, abbiano subi'to (menomazioni nella integrita' fisica o) la perdita di un congiunto. Gia' per tale duplice profilo, la citata disposizione di cui all'art. 42 del d.P.R. n. 915/1978, pone in essere una ingiustificata disparita' di trattamento a danno della vedova di guerra passata a nuove nozze. E cio' non soltanto nel confronto con le vedove di guerra "benestanti", in proprio, che non perdono il diritto a pensione, ma anche rispetto a tutte le situazioni in cui il trattamento pensionistico di guerra non e' influenzato dalla misura del reddito personale e di quello familiare del beneficiario. Siffatta svantaggiosa conseguenza per la vedova risposata ingenera fondatamente il dubbio che il secondo comma del predetto art. 42, oltre a contrastare con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, sia anche irriguardoso del principio di tutela dei diritti dei soggetti che compongono la famiglia intesa come "formazione sociale" fondata sul matrimonio (art. 2 della Costituzione) e, nel contempo, del principio di solidarieta', di cui allo stesso art. 2 della Costituzione, peraltro espressamente posto dal legislatore a fondamento delle provvidenze dello Stato a favore dei soggetti destinatari della normativa in materia di trattamento pensionistico di guerra. Ove, poi, si consideri che il reddito complessivo annuo del secondo coniuge, al suo limite minimo ostativo alla conservazione del reddito a pensione da parte della vedova risposata, e' stabilito in misura appena indispensabile per la sopravvivenza di una persona singola, non appare razionalmente sostenibile che la perdita della pensione a carico della vedova trovi giustificazione in considerazione di carattere economico. In realta', la comminata perdita della pensione si risolve non solo in una ingiustificata discriminazione a danno della vedova, ma viene anche ad incidere nella sua sfera personale perche' suscettibile di ostacolarne la libera determinazione alle nozze. La situazione conseguente alla norma in questione, pertanto, si discosta anche dalla prescrizione dell'art. 31, primo comma, della Costituzione, in quanto certamente non agevola la formazione della famiglia legittima e l'adempimento dei compiti relativi. Per tutto quanto sopra, detta norma appare discriminatoria ed irragionevole in quanto i suoi effetti vulnerano la sfera di chi siasi risolto a contrarre il vincolo familiare al quale si riconnettono valori costituzionalmente protetti (artt. 2, 29, secondo comma, 30, primo comma, 31, primo comma, della Costituzione). Per gli addotti motivi, la sezione ritiene non manifestamente infondata e rilevante ai fini del giudizio introdotto con il ricorso in epigrafe la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 42, primo comma, del testo unico approvato con d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, in relazione agli artt. 2, 3, 29, secondo comma, 30, primo comma, e 31, primo comma, della Costituzione.