IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Ha  pronunciato la seguente ordinanza a scioglimento della riserva
 espressa nell'udienza del 17 novembre 1993;
    Visti ed esaminati gli atti della  procedura  di  sorveglianza  in
 materia  di  semiliberta' nei confronti di Misso Giovanni, nato il 14
 ottobre 1954 a Genova, domiciliato detenuto nella  casa  recl.  Porto
 Azzurro;
    Verificata la regolarita' degli atti sotto il profilo processuale;
                             O S S E R V A
                       Svolgimento del processo
    Misso  Giovanni  si trova ristretto con una condanna all'ergastolo
 dal  26  gennaio  1979  ed  ha  sinoggi  conseguito  585  giorni   di
 liberazione anticipata maturandone altresi' ulteriori 135 da ritenere
 logicamente  concedibili  stante  l'ottimo comportamento del soggetto
 che da anni ha aderito attivamente al trattamento penitenziario  come
 dimostra anche la fruizione dell'estate del 1990 di permessi premio.
    Avanza  oggi  istanza  di  semiliberta'  sul  presupposto  di aver
 maturato il termine di legge (venti anni): egli  assume  infatti  che
 oltre   alla   pena   effettivamente  sofferta  ed  alla  liberazione
 anticipata, dovrebbe essergli riconosciuta anche una quota di condono
 pari ad almeno anni tre  e  mesi  sei  in  virtu'  dei  provvedimenti
 sanciti con d.P.R. n. 744/1981, n. 865/1985 e n. 394/1990.
    La  somma  delle varie voci effettivamente condurrebbe ad una pena
 complessivamente valutabile come superiore ad anni venti,  integrando
 cosi' il requisito temporale sancito dall'art. 50 ord. pen.
    Il  ragionamento  dell'istante  si scontra pero' irrimediabilmente
 contro l'assetto normativo e la conseguente  costante  giurisprudenza
 secondo   cui   il   condono  e'  istituto  inapplicabile  alla  pena
 dell'ergastolo.
    Ritiene  il  tribunale  che  tale  inapplicabilita'   totale   che
 coinvolge   anche   i  termini  di  ammissibilita'  alle  due  misure
 alternative rappresentate  dalla  semiliberta'  e  dalla  liberazione
 condizionale  -  al  pari  della  prima  prevista  per  i  condannati
 all'ergastolo -, lungi dal rendere immediatamente e irrimediabilmente
 inaccoglibile l'istanza del Misso, apra necessariamente la strada del
 vaglio costituzionale.
                        Motivi della decisione
    La  domanda  che  l'istanza  del  Misso solleva e' la seguente: e'
 compatibile con la Costituzione il  dato  incontestabile  che  emerge
 dalla legge e dalla giurisprudenza che in nessun modo il condono puo'
 incidere sulla condanna all'ergastolo?
    Il   dubbio   e'   fondato   e  meritevole  di  essere  sottoposto
 all'attenzione del supremo giudice delle leggi.
    E' dato acquisito che la pena  dell'ergastolo  e'  stata  ritenuta
 compatibile  con  l'ordinamento  costituzionale ed in particolare con
 l'art.  27,  terzo  comma,  della  Costituzione  soltanto  in  virtu'
 dell'esistenza di meccanismi alternativi di espiazione che conducono,
 in  caso  di  esito  positivo,  all'estinzione  della  pena  ed  alla
 restituzione del condannato alla piena liberta'.
    Ne consegue che e' improprio parlare dell'ergastolo in termini  di
 pena  "non  a  termine",  laddove  invece  dovrebbe,  ed a parere del
 Tribunale deve, parlarsi di  pena  "solo  potenzialmente  a  termine"
 ovvero pena "a termine incerto".
    Gli   istituti   giuridici   che   rendono   terminabile  la  pena
 dell'ergastolo   sono   all'evidenza,   nella    loro    progressione
 trattamentale  e  penitenziaria,  la  semiliberta'  e  la liberazione
 condizionale.  Tali istituti risultano ammissibili nei confronti  del
 condannato    all'ergastolo    allorche'    siano    stati    espiati
 rispettivamente venti e ventisei anni di restrizione. Tale meccanismo
 diverge da quello indicato dalla legge per  le  pene  propriamente  a
 termine  laddove per esse il requisito di ammissibilita' temporale e'
 soddisfatto  una  volta  espiata  una  quota  della  pena   inflitta,
 determinata  secondo  frazioni  di essa (con l'ulteriore dato, per la
 liberazione  condizionale,  della  sussistenza  di  un  residuo  pena
 inferiore  ad  anni  cinque:  si noti in tal senso che la liberazione
 condizionale  dell'ergastolano   deve   protrarsi   obbligatoriamente
 proprio per anni cinque).
    E'  altresi'  noto che nell'espletare i calcoli numerici necessari
 per stabilire se un condannato a pena a termine possa o  meno  essere
 ammesso  ad una delle due misure suindicate, occorre depurare la pena
 stessa sia degli effetti del condono sia di quelli dell'amnistia:  e'
 sulla  base  della pena risultante infatti che si valuta se sia stata
 espiata effettivamente la quota di detenzione richiesta  dalla  legge
 per fruire di semiliberta' o liberazione condizionale.
    E'  quindi  il  caso  di  sottolineare ora come alla diversita' di
 regime vigente per le pene a termine e per la pena solo eventualmente
 a termine in relazione alla riduzione o eliminazione di una parte  di
 esse  a  seguito  di  provvedimento clemenziale generale, corrisponda
 invece un regime identico per quanto concerne la riduzione della pena
 a seguito di riconoscimento individuale della liberazione  anticipata
 di cui all'art. 54 ord. pen.
    Testualmente  infatti  tale  norma recita al quarto comma, seconda
 parte: "La presente  disposizione  si  applica  anche  ai  condannati
 all'ergastolo",  con  cio'  quindi  rendendo riducibili anche per gli
 ergastolani i termini di ammissibilita' della  semiliberta'  e  della
 liberazione condizionale (oltre che dei permessi premio).
    Ne'  puo'  dirsi  che il meccanismo giuridico ora ricordato assuma
 connotati puramente virtuali non comportando alcuna  reale  riduzione
 di una pena che riducibile per sua natura non e'.
    Infatti  la  riduzione  dei termini di ammissibilita' delle misure
 alternative   si   traduce   oggettivamente   e   concretamente   nel
 raggiungimento   anticipato   della   semiliberta',  e  quindi  della
 liberazione condizionale, fasi successive attraverso cui si  realizza
 l'effettivo  fine  pena  e  la sua estinzione che conseguentemente ne
 risultano anticipati.
    Vi e' dunque da  domandarsi  se  vi  sia  una  ragione  logica,  e
 costituzionalmente tale, per l'esistenza di un meccanismo diverso per
 quanto  concerne  il condono.  Pare incontestabile che il condono sia
 un istituto che trova una sua  rilevanza  costituzionale  laddove  di
 esso (rectius: di indulto) si parla esplicitamente nell'art. 79 della
 Costituzione.    Da  tale  norma  peraltro  si evince direttamente ed
 esclusivamente  che  l'unico  limite  per  esso   riguarda   la   sua
 applicabilita' in relazione alla data del commesso reato cui potrebbe
 astrattamente  riferirsi.    Ne'  in  essa  ne'  altrove si trova una
 distinzione che faccia riferimento alla qualita' o alla durata  della
 pena.
    Se  dunque la Costituzione non pone distinzione tra le pene, sotto
 il profilo della loro qualita' o  durata,  vi  e'  da  domandarsi  se
 legittimamente il legislatore ordinario puo' operarne alcuna.
    Certo,  se  non esisterebbero meccanismi giuridici volti a rendere
 conseguibile anche l'estinzione dell'ergastolo, ovvero se l'ergastolo
 fosse  veramente  una  pena  senza  termine,  sarebbe   quanto   meno
 irrilevante  un  qualsiasi  discorso  inerente  l'applicabilita'  del
 condono ad esso.
    Ma  dato  che  l'ergastolo  pena  senza  termine  non  e'  -  che'
 altrimenti sarebbe gia' incorso in una pronuncia di illegittimita' ex
 art.  27,  terzo  comma,  della  Costituzione  -  occorre trovare una
 ragione in piu' per dire che il condono non gli e' applicabile  negli
 stessi  modi che alle pene a termine; ovvero dire che non puo' essere
 computato neppure al fine di  raggiungere  anticipatamente  i  limiti
 previsti  dalla  legge per l'ammissibilita' delle misure alternative,
 di quelle stesse misure  che  progressivamente  conducono  proprio  a
 quella  estinguibilita'  gia'  ritenuta  requisito  irrinunciabile di
 qualsivoglia pena detentiva.
    Tale ragione in piu' a parere del Tribunale e' poco visibile.
    E' pacifico che nella realta' processuale vi sono reati che, nella
 loro materiale manifestazione, possono venire puniti alternativamente
 con pena a termine o con l'ergastolo nel giuoco  logico  e  giuridico
 delle circostanze attenuanti e aggravanti.
    Ne consegue che vi sono detenuti ristretti con la reclusione o con
 l'ergastolo per aver commesso lo stesso reato - o gli stessi reati -:
 la  differenza che intercorre tra loro e' soltanto nella durata della
 pena  e  non  altra  se  manteniamo  vera  l'affermazione  che  anche
 l'ergastolo  e'  pena  a  termine  (sia  pur  qualificata): per quale
 ragione dunque deve esservi tra di essi una differenza rispetto  alla
 possibilita'    di    raggiungere   anticipatamente   i   limiti   di
 ammissibilita' delle misure alternative - e dunque il fine pena reale
 -, limiti previamente e generalmente previsti per tutti?
    La risposta a tale domanda coinvolge il senso dell'art. 3, primo e
 secondo comma, della Costituzione.
    Non puo' oltretutto in merito a tale problematica, dimenticarsi il
 senso  dell'art.  73,   secondo   comma,   c.p.   che   sancisce   la
 trasformazione  in  ergastolo  della sommatoria di due pene a termine
 non inferiori a ventiquattro anni: laddove la specialita' della norma
 rispetto  al  criterio limitatore dell'art. 78 del c.p., non soltanto
 trasporta il  condannato  dalla  categoria  di  coloro  che  comunque
 dovevano  ad  un  certo punto essere liberati, a quella di coloro che
 solo eventualmente  lo  saranno;  ma  oltretutto  travolge  anche  la
 possibilita'   di   fruire   in  futuro  di  eventuali  provvedimenti
 clemenziali di cui avrebbe potuto godere in caso di  semplice  cumulo
 di pene concorrenti.
    Per  altro  verso  la  non  computabilita'  del  condono  per  gli
 ergastolani si presenta oggi, alla luce del  complesso  delle  scelte
 succedutesi  nel  tempo in materia di diritto penitenziario, come una
 scelta irragionevole rispetto ad esse.
    Se infatti si e' sancito definitivamente che anche l'ergastolo  e'
 una  pena  a  termine e' se esistono dei meccanismi di riduzione pena
 che valgono e incidono sensibilmente  anche  su  di  essa,  priva  di
 ragionevolezza  -  per  cosi'  dire  sopravvenuta  -,  risulta essere
 l'esclusione degli ergastolani dal provvedimento generale di  condono
 (altro  e diverso problema e' poi quello della esclusione generale di
 un dato reato dal beneficio clemenziale: fatto questo  che  coinvolge
 tutti  gli  autori di quel reato, quale che sia stato il tipo di pena
 loro irrogata).
    Anche sotto tale profilo, che l'insegnamento  della  stessa  Corte
 costituzionale  ha  indicato  ai giudici di merito come rilevante nel
 giudizio  di  costituzionalita'  delle  leggi,  pare  sussistere   un
 cotrasto con l'art. 3, primo e secondo comma, citato.
    Infine  vi  e'  da  domandarsi  se, ancora una volta nel quadro di
 complessivo  riferimento  normativo,  il  diniego  del   condono   al
 portatore  di  condanna  all'ergastolo non costituisce una violazione
 del principio sancito dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
    Se  infatti  puo'  ritenersi  che  una  pena  deve  tendere   alla
 rieducazione  del reo, laddove avesse raggiunto questo scopo potrebbe
 considerarsi contraria al senso di  umanita'  -  il  che'  ovviamente
 oltre  che  nel caso della liberazione condizionale (che porta in se'
 il requisito del sicuro ravvedimento) puo' realizzarsi anche nel caso
 della semiliberta', laddove si dovesse riscontrare che il trattamento
 intramurario ha raggiunto risultati tali da rendere  a  questo  punto
 praticabile  il  regime restrittivo part-time -, sorge inevitabile il
 dubbio che quella pena che potrebbe estinguersi con il  provvedimento
 clemenziale  di  cui la generalita' dei detenuti e' beneficiario e da
 cui gli ergastolani invece sono esclusi, per essi possa rappresentare
 oggettivamente,  ed  altrettanto  inevitabilmente,   una   sofferenza
 gratuita  e  dunque  in  cotrasto  con il principio di umanita' della
 pena.
    In tal senso altro e' che, pur maturato il tempo di ammissibilita'
 della misura alternativa, il tribunale di  sorveglianza  ritenga  non
 raggiunti   quei   risultati   trattamentali   che  ad  esso  debbono
 necessariamente affiancarsi nel quadro  complessivo  della  decisione
 (con  tutto  quanto  ne  consegue  in  termini  di diritto di difesa,
 impugnabilita' delle decisioni, riproponibilita' dell'istanza); altro
 e' che il tribunale di sorveglianza non possa pronunciarsi nel merito
 di una progressione nel trattamento  -  sino  all'atto  ultimo  della
 estinzione  della  pena  -  perche'  la  pena dell'ergastolo, pur non
 qualificabile  come  non  a  termine   in   ossequio   proprio   alla
 Costituzione,  tuttavia  quanto all'istituto del condono proprio tale
 veste  assume:  con  ulteriore  risvolto di illogicita', interno alla
 problematica della raggiunta rieducazione.
    In virtu' delle suesposte ragioni si  ritiene  doveroso  rimettere
 gli  atti  alla  Corte  costituzionale  per  le determinazioni di Sua
 competenza.