IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA In merito al procedimento di conversione o rateizzazione della pena pecuniaria di L. 1.150.000 di multa, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 102 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e 660 del c.p.p., irrogata con decreto penale n. 883/91 dec. pen. in data 20 novembre 1991 dal g.i.p. presso la pretura circondariale di Viterbo nei confronti di Ercoli Giuseppe, nato il 15 maggio 1935 a Massa Fermata (Ascoli Piceno), residente in Servigliano (Ascoli Piceno), via Romolo Governatori n. 4, riconosciuto penalmente responsabile del reato di emissione di assegni privi di copertura; (organo dell'esecuzione: procura della Repubblica presso la pretura circondariale di Viterbo); Vista la nota n. 112/92 r. mod. 36 pervenuta presso la cancelleria dell'intestato ufficio in data 26 maggio 1992 con cui la procura della Repubblica presso la pretura circondariale di Viterbo chiedeva la conversione della citata pena pecuniaria in liberta' controllata al magistrato di sorveglianza di Macerata; In esito all'odierna udienza, svoltasi nel rispetto delle formalita' di rito, ed a scioglimento della riserva nel corso della stessa formulata; Ascoltati l'interessato, personalmente comparso, il p.m. in sede ed il difensore del condannato, che concludevano come da separato verbale; OSSERVA IN FATTO Con decreto penale emesso in data 20 novembre 1991 dal g.i.p. presso la pretura circondariale di Viterbo, Ercoli Giuseppe veniva condannato alla pena pecuniaria di L. 1.150.000 di multa perche' riconosciuto penalmente responsabile del reato di emissione di assegni privi di copertura. Il debito erariale derivante dalla condanna (rectius: dalla irrogazione della sanzione penale) rimaneva insoluto, sicche', in seguito alla constatazione dell'esito negativo del tentativo di recupero della somma attraverso le consuete procedure esecutive, ed in particolare attraverso la richiesta di pignoramento ex artt. 491 e ss. del c.p.c., la procura della Repubblica presso la pretura circondariale di Viterbo trasmetteva gli atti, ai sensi dell'art. 660 del c.p.p., al magistrato di sorveglianza di Macerata per l'eventuale conversione della pena pecuniaria, ai sensi del disposto dell'art. 102 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella sanzione della liberta' controllata per la durata corrispondente secondo i criteri di ragguaglio indicati nella norma. Si instaurava pertanto a carico del condannato procedimento di conversione o rateizzazione della pena pecuniaria; nel corso della istruttoria, espletata per l'accertamento dell'effettiva insolvibilita' del condannato, emergeva il fatto che l'Ercoli era stato dichiarato fallito con sentenza n. 34 fall. emessa in data 27 febbraio 1992 dal tribunale di Fermo. Pertanto il magistrato di sorveglianza di Macerata concedeva un primo differimento in data 16 settembre 1992 ed un secondo in data 31 marzo 1993, ai sensi dell'art. 660 del c.p.p., terzo comma. La reiterata decisione di differire la conversione era stata presa sulla base dell'assunto della ricorrenza, nel caso del condannato a pena pecuniaria dichiarato fallito, di una situazione di semplice insolvenza, sussistendo una sorta di impossibilita' giuridica al pagamento derivante dal tipico effetto di spossessamento prodotto dalla sentenza dichiarativa di fallimento. Nel corso dell'odierna udienza, verificata la ritualita' delle notificazioni degli avvisi di procedimento di sorveglianza, in esito all'esposizione compiuta dal magistrato di sorveglianza - che ha rilevato che la procedura concorsuale a carico dell'Ercoli risulta essere ancora in corso (v. certificato redatto in data 19 marzo 1993 dalla cancelleria del tribunale di Fermo, in atti) -, p.m. e difensore dell'interessato concludevano come da separato verbale. Il magistrato di sorveglianza si riservava. CONSIDERATO IN DIRITTO Tranne che per la mancata riproduzione, nel corso della motivazione, subito dopo il riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 108/1987, della considerazione che "nel caso oggetto dell'odierno giudizio, il credito dello Stato inerente al pagamento della pena pecuniaria non puo' essere qualificato come credito concorsuale per essere insinuato nel passivo fallimentare, perche' sorto in epoca posteriore alla declaratoria di fallimento", In conclusione la sussistenza dell'effettiva insolvibilita' del condannato, presupposto il cui accertamento e' necessario per la conversione della pena pecuniaria in liberta' controllata, puo' essere verificata solo alla chiusura della procedura concorsuale, per attendere la quale il disposto dell'art. 660 del c.p.p. consente al magistrato di sorveglianza, una volta che si sia instaurato il procedimento a seguito di trasmissione degli atti da parte dell'organo dell'esecuzione, di differire per due volte la conversione. Quid iuris nel caso in cui allo scadere del secondo differimento la procedura fallimentare sia ancora in corso e lo stato di insolvenza perduri? Invero, il tenore del terzo comma dell'art. 660 del c.p.p. non sembra consentire ulteriori differimenti successivi al secondo, prevedendo solo "un nuovo differimento" alla scadenza del termine fissato per il primo differimento e disponendo che "altrimenti e' ordinata la conversione". Sicche', appare inevitabile, dopo il secondo differimento, procedere alla conversione della pena pecuniaria insoluta pur nei confronti di chi e' giuridicamente impossibilitato a pagare. Rebua sic stantibus, tale situazione, imposta dalla norma censurata, si pone in inevitabile contrasto con l'art. 3 della Costituzione, che consacra il principio di uguaglianza sostanziale. Si impone infatti come ineludibile l'applicazione di una sanzione sostitutiva che ha un rilevante contenuto restrittivo sul piano delle liberta' personali (incidendo ad esempio sulla liberta' di circolazione e soggiorno, comportando una compressione del diritto all'espatrio, importando alcuni obblighi) nei confronti di chi si trova in una situazione incolpevole di insolvenza perdurando la procedura concorsuale, con una discriminazione di fatto rispetto a coloro che hanno visto gia' esaurito il fallimento ed hanno avuto quanto meno l'opportunita' di pagare la pena pecuniaria, sia pure in forma rateale, per evitare cosi' la conversione e l'esecuzione della liberta' controllata. Si consideri del resto che il perdurare dello stato di insolvenza puo' non dipendere dal condannato ma dalle lungaggini delle procedura concorsuale, situazione che puo' variare da caso a caso a seconda dei carichi di lavoro delle sezioni fallimentari, delle complessita' procedurali incontrate, ecc. Non a caso la Corte costituzionale, prima della emanazione della legge 24 novembre 1981, n. 689, ed in relazione ad una situazione naloga, rilevo' l'illegittimita' costituzionale dell'art. 136, primo comma, del c.p. nella parte in cui ammetteva la conversione della pena pecuniaria in pena detentiva prima della chiusura della procedura fallimentare, limitando la portata del proprio dictum ai casi di reati commessi in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, e cio' allo scopo di non fornire un incentivo alla violazione della legge penale. Quanto appena esposto porta all'apprezzamento di un fumus di incostituzionalita' della normativa esaminata, sicche' deve ritenersi non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 660, terzo comma, nella parte in cui non prevede la possibilita' di differire la conversione della pena pecuniaria, nei confronti dei condannati dichiarati falliti, successivamente alla chiusura della procedura concorsuale, con riferimento al principio di uguaglianza sostanziale. Cio' detto in relazione alla non manifesta infondatezza delle sollevate questioni di legittimita' costituzionale, non appare opportuno dilungarsi oltre misura circa la rilevanza delle stesse nell'ambito del presente giudizio, essendo di palmare evidenza che dalla previa risoluzione delle stesse dipende in maniera conseguenzialmente logica l'esito del procedimento di conversione instaurato a carico di Braconi Maurizio nel senso della conversione della pena pecuniaria o di un definitivo differimento che consenta di attendere l'esito del fallimento ancora in corso.