ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 22, numero 10,
 della legge 31 maggio 1975, n. 191 (Nuove norme per  il  servizio  di
 leva),  nel  testo  integrato  dalla  legge  11  agosto  1991, n. 269
 (Modiche ed integrazioni agli artt. 21 e 22  della  legge  31  maggio
 1975,   n.  191,  all'art.  100  del  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica 14 febbraio 1964, n.  237,  come  sostituito  dall'art.  7
 della  legge  24  dicembre  1986, n. 958, in materia di dispensa e di
 rinvio del servizio di leva), promosso con l'ordinanza  emessa  il  5
 febbraio  1993  dal  Tribunale  amministrativo  regionale  del Lazio,
 Sezione distaccata di Latina, sul ricorso proposto da Di Russo  Marco
 contro  il  Ministero  della  difesa, iscritta al n. 474 del registro
 ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Udito nella camera di consiglio del 1  dicembre  1993  il  Giudice
 relatore Massimo Vari;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio, Sezione
 distaccata di Latina - nel corso di un giudizio proposto da Marco  Di
 Russo   nei   confronti   del  Ministero  della  difesa,  avverso  un
 provvedimento di diniego del beneficio della dispensa dagli  obblighi
 militari  di  leva - ha sollevato, in riferimento agli artt. 1, 3, 4,
 41 e 52 della Costituzione, questione di legittimita'  dell'art.  22,
 numero  10,  della  legge  31  maggio  1975,  n.  191 (come integrato
 dall'art. 9, secondo comma, della legge  11  agosto  1991,  n.  269),
 nella  parte  in cui non contempla nel beneficio in questione i figli
 dei lavoratori deceduti nello  svolgimento  di  attivita'  di  lavoro
 autonomo.
    Secondo   il   giudice   a  quo,  la  norma  impugnata,  limitando
 l'applicazione  del  beneficio  stesso  agli  orfani  di   lavoratori
 dipendenti   pubblici  o  privati,  genera  gravi  ed  ingiustificate
 discriminazioni  fra  cittadini   chiamati   all'assolvimento   degli
 obblighi militari e che versino in particolare situazione familiare.
    2.  -  Dinanzi a questa Corte non ci sono stati ne' intervento del
 Presidente del Consiglio  dei  ministri  ne'  costituzione  di  parti
 private,  per  cui la causa e' stata fissata per l'esame in camera di
 consiglio, ai sensi dell'art. 26, secondo comma, della legge 11 marzo
 1953, n. 87 e 9, primo comma, delle Norme integrative per  i  giudizi
 davanti alla Corte Costituzionale.
                        Considerato in diritto
   1.   -   La   Corte  e'  chiamata  a  decidere  della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 22,  numero  10  (rectius:  art.  22,  primo
 comma,  numero 10) della legge 31 maggio 1975, n. 191, come integrato
 dall'art. 9, secondo comma, della legge 11 agosto 1991, n. 269, nella
 parte in cui prevede il beneficio della dispensa dalla ferma di  leva
 per  gli  orfani  dei  lavoratori dipendenti pubblici e privati e non
 anche  per  gli  orfani  dei  lavoratori  autonomi   deceduti   nello
 svolgimento della loro attivita'.
    2. - Va precisato che la questione e' stata sollevata nel corso di
 un  giudizio  di  impugnazione  di  una deliberazione con la quale il
 Consiglio di leva di mare di La Spezia aveva respinto  un'istanza  di
 dispensa  dal  servizio  militare di leva, non avendo ritenuto che ad
 essa  potesse dar titolo la qualita' di orfano di lavoratore autonomo
 sia pure deceduto per  causa  inerente  allo  svolgimento  della  sua
 attivita'.  Sussiste,  pertanto,  la  rilevanza  della  questione  in
 relazione al giudizio a quo.
    3. - Secondo l'ordinanza di rimessione, la norma impugnata darebbe
 luogo ad una ingiustificata discriminazione  tra  cittadini  chiamati
 all'assolvimento  degli obblighi militari, perche' porrebbe il lavoro
 autonomo in  posizione  deteriore  rispetto  al  lavoro  subordinato,
 venendo  cosi'  a collidere con diversi principi della Costituzione e
 in particolare: con il principio affermato nell'art. 1,  secondo  cui
 l'Italia  e'  una  Repubblica fondata sul lavoro; con il principio di
 uguaglianza di cui all'art. 3 e con l'art. 52, essendo  inaccettabile
 che  i  limiti all'obbligatorieta' del servizio militare valgano solo
 per  alcune  categorie  di  orfani  del  lavoro.  Inoltre,  la  norma
 denunciata  penalizzerebbe  la  scelta  di esercitare un'attivita' di
 lavoro  autonomo,  pur  enfaticamente  tutelata  dall'art.  4   della
 Costituzione,  e  comprimerebbe  l'effettivita'  del  principio della
 liberta' d'iniziativa economica privata, affermato dall'art. 41.
    Il giudice remittente sostiene,  infine,  che  la  esclusione  dal
 beneficio  della  dispensa  del  primo  o  di altro figlio maschio di
 lavoratore autonomo, deceduto per causa di  servizio  e'  tanto  piu'
 illogica  e irrazionale ove si consideri che la dispensa e' accordata
 - come risulta dal numero 11 della stessa norma impugnata - al  primo
 o  altro  figlio  maschio  di  genitore  invalido  per servizio o del
 lavoro, senza distinguere se esso sia autonomo o subordinato.
    4. - La questione e' fondata.
    E' da premettere che la norma denunciata, vale a  dire  l'art.  22
 della  legge 31 maggio 1975, n. 191, cosi' come integrato dall'art. 9
 della legge 11 agosto 1991, n. 269, nel disciplinare le varie ipotesi
 che, in tempo di pace, danno titolo al  beneficio  di  cui  trattasi,
 prevede,  al  numero  10  del primo comma, l'ipotesi di primo o altro
 figlio maschio di genitore caduto in servizio o nello svolgimento  di
 altra  attivita'  di  lavoro  subordinato o deceduto per l'aggravarsi
 delle infermita' contratte per tali cause.
    Risulta percio' evidente che, per gli orfani, il  beneficio  della
 dispensa  dalla  ferma  di  leva viene ad essere limitato ai figli di
 genitori deceduti per fatti connessi allo svolgimento di attivita' di
 lavoro dipendente. A  tanto  conduce  il  tenore  della  disposizione
 teste' citata che fa riferimento, da una parte, ai caduti in servizio
 da  intendersi  -  alla  stregua  della  vigente  legislazione,  e in
 particolare di quella sul  c.d.  equo  indennizzo  e  sulle  pensioni
 privilegiate  -  come coloro che erano, in vita, titolari di rapporti
 annoverabili fra quelli  del  pubblico  impiego,  e,  dall'altra,  ai
 deceduti nello svolgimento di altre attivita' di lavoro subordinato.
    La restrizione del beneficio agli orfani di lavoratori dipendenti,
 con  correlativa esclusione degli orfani dei lavoratori autonomi, non
 pare alla Corte rispondente a  principi  di  ragionevolezza,  per  il
 fondamentale  motivo,  posto  in risalto anche dal giudice a quo, del
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in connessione con  l'art.
 52,  non  essendo  ammissibile  che  i limiti all'obbligatorieta' del
 servizio militare valgano solo per alcune categorie di orfani  e  non
 anche   per  altre,  quando  queste  appaiono  meritevoli  di  essere
 analogamente tutelate.
    A  conferma  dell'illogicita'  della discriminazione operata dalla
 disposizione impugnata sta la previsione di cui al  numero  11  dello
 stesso  art.  22,  primo comma, della legge n. 191 del 1975, la' dove
 accorda il beneficio della dispensa al primo o altro  figlio  maschio
 di genitore invalido del lavoro senza distinguere fra lavoro autonomo
 o subordinato.
    Piu' in generale non puo' non rilevarsi, poi, la dissonanza fra la
 disposizione  denunciata  e  talune discipline di protezione sociale,
 quali quella sull'assicurazione  contro  gli  infortuni  sul  lavoro,
 nella   quale   risultano  comprese,  in  specifiche  ipotesi,  anche
 categorie di lavoratori autonomi, come  si  evince  dall'art.  4  del
 d.P.R.  30  giugno  1965,  n.  1124,  nonche' quella sul collocamento
 obbligatorio (legge 2 aprile 1968, n. 482), nei limiti  in  cui  essa
 recepisce,  nell'individuare  i  soggetti  destinatari  dei  benefici
 apprestati, le definizioni proprie dalla predetta normativa  d'ordine
 assicurativo.  Non  e'  senza  significato,  infine, che, proprio per
 porre  rimedio  alla  esclusione  ingiustificatamente  operata  dalla
 norma,  sia  stata  presentata,  nel  corso della XI legislatura, una
 proposta di legge (Atti Camera, n. 1242) volta all'eliminazione della
 lamentata discrasia.
    L'accoglimento della questione, sotto il profilo della  violazione
 degli  artt. 3 e 52 della Costituzione, esime la Corte dall'esaminare
 gli  altri  profili  di  incostituzionalita'  dedotti,  che  restano,
 pertanto, assorbiti.