ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 39 del d.P.R.
 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento  della  docenza  universitaria,
 relativa fascia di formazione nonche' sperimentazione organizzativa e
 didattica),  promosso  con  ordinanza  emessa  il  19  marzo 1992 dal
 Tribunale amministrativo regionale della Liguria sul ricorso proposto
 da Acaccia Gabriella ed altri contro il Ministero dell'Universita'  e
 Ricerca  Scientifica  e  Tecnologica  ed  Universita'  degli studi di
 Genova, iscritta al n. 393 del registro ordinanze 1993  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  29,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1993;
    Visto l'atto di costituzione di Acaccia Gabriella ed altri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  gennaio  1994  il  Giudice
 relatore Francesco Guizzi;
    Udito l'avv. Carlo Raggi per Acaccia Gabriella ed altri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Tribunale amministrativo regionale della Liguria, prima
 sezione, ha sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  38  della
 Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 39
 del d.P.R. 11  luglio  1980,  n.  382  (Riordinamento  della  docenza
 universitaria,  relativa fascia di formazione nonche' sperimentazione
 organizzativa   e   didattica),  nella  parte  in  cui  dichiara  non
 pensionabile  l'assegno   aggiuntivo   riconosciuto   ai   professori
 universitari che hanno optato per il regime di impegno a tempo pieno.
    Il  giudice a quo osserva che l'emolumento, istituito dall'art. 39
 del citato d.P.R. n. 382, ha subito una radicale  modifica  ad  opera
 del   decreto-legge   11   gennaio   1985,   n.  2,  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 8 marzo 1985, n. 72. L'assegno  in  parola
 ha  le  caratteristiche  di un emolumento fisso e continuativo, ed e'
 parte  significativa  della  retribuzione  complessiva  dei   docenti
 universitari  che  hanno  optato  per il regime a tempo pieno; non e'
 stata pero'  modificata  la  norma,  presente  nel  testo  originario
 dell'art.  39,  che  lo  configura  come non pensionabile. Al caso in
 esame si dovrebbe applicare il principio enunciato  da  questa  Corte
 nella  sentenza  n.  126  del 1981, che ha dichiarato, per violazione
 dell'art. 38 della Costituzione, l'illegittimita' delle norme che non
 prevedevano la computabilita', a fini previdenziali e  assistenziali,
 dell'indennita'  attribuita  al  personale  medico  universitario con
 funzioni di assistenza sanitaria:   anche  per  l'assegno  aggiuntivo
 percepito  dai  professori  universitari  a  tempo  pieno vi sarebbe,
 dunque, quel carattere di "corrispettivita'"  che  e'  proprio  degli
 elementi  costitutivi  della  retribuzione,  si' che l'esclusione dal
 computo della pensione sarebbe in contrasto con la  menzionata  norma
 costituzionale.
    Il   collegio  rimettente  ricorda,  poi,  che  la  giurisprudenza
 amministrativa ha riconosciuto la computabilita'  dell'indennita'  di
 tempo  pieno  prevista per il personale medico degli enti ospedalieri
 (e,  successivamente,  delle  unita'  sanitarie  locali).  La   norma
 denunziata risulterebbe percio' in contrasto anche con l'art. 3 della
 Costituzione  per  l'ingiustificata  disparita'  di trattamento tra i
 professori universitari a tempo pieno e i dipendenti  pubblici  prima
 indicati,  ai  quali  e'  data  la  possibilita'  di optare tra i due
 regimi.
    2. - Sono intervenute in  giudizio  le  parti  private,  adducendo
 argomenti  in  adesione  a  quelli  dell'ordinanza  di  rimessione  e
 sottolineando, in particolare, come  il  rapporto  a  tempo  pieno  -
 incompatibile  con  lo  svolgimento  di  attivita' professionali e di
 consulenza  esterna  e  con  l'assunzione   di   qualsiasi   incarico
 retribuito, secondo quanto previsto dall'art. 11, quinto comma, lett.
 a),  del  d.P.R.  n. 382 del 1980 - comporti una prestazione diversa,
 sotto il profilo qualitativo, rispetto al rapporto a tempo  definito;
 cio'  per l'impegno esclusivo richiesto ai docenti a tempo pieno, che
 giustifica  la  riserva,  a  loro  favore,  di  determinate  funzioni
 universitarie (art. 11, quarto comma, lett. a) del d.P.R. n. 382). Si
 rileva,  infine,  come  la  sostanziale differenza fra le prestazioni
 connesse ai due regimi di servizio  sia  stata  gia'  considerata  da
 questa Corte nella sent. n. 1019 del 1988.
    3.  -  In  una  memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, le
 parti  private  hanno  ribadito  il  carattere  di   corrispettivita'
 dell'assegno   aggiuntivo   (che   avrebbe   una   funzione   analoga
 all'indennita'  di  tempo  pieno  attribuita  al   personale   medico
 ospedaliero), richiamando altresi' la sentenza di questa Corte n. 302
 del  1983,  che  ha  dichiarato,  per  violazione  dell'art. 36 della
 Costituzione,   l'illegittimita'costituzionale   del   primo    comma
 dell'art.  18  della  legge  5  dicembre  1959,  n.  1077,  in quanto
 consentiva   alla   C.p.d.e.l.  di  valutare  solo  in  parte,  nella
 determinazione  della  base  pensionabile,  l'"indennita'  di   toga"
 corrisposta agli avvocati del comune.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Tribunale amministrativo regionale della Liguria, prima
 sezione, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione,
 della legittimita' costituzionale dell'art. 39 del d.P.R.  11  luglio
 1980,  n. 382, nella parte in cui dichiara non pensionabile l'assegno
 aggiuntivo riconosciuto ai professori  universitari  a  tempo  pieno:
 costoro  sarebbero  discriminati rispetto a pubblici dipendenti per i
 quali  analoga  indennita'  e'  pensionabile;  l'assegno   aggiuntivo
 previsto  dall'art.  39 del d.P.R. n. 382 del 1980 e', infatti, parte
 del complessivo trattamento economico dei professori universitari che
 optano per il tempo pieno e come tale - conclude il rimettente - deve
 essere valutato ai fini del trattamento  di  quiescenza,  secondo  il
 principio  che  questa Corte avrebbe enunciato nella sent. n. 126 del
 1981, desumendolo dall'art. 38 della Costituzione.
    2. - Conviene, preliminarmente, ricostruire la storia dell'assegno
 aggiuntivo in esame.
    Il decreto-legge 1  ottobre  1973,  n.  580  (Misure  urgenti  per
 l'universita'),   convertito,   con  modificazioni,  nella  legge  30
 novembre 1973,  n.  766,  all'art.  12  disciplinava  il  trattamento
 economico  del  personale  docente universitario, al quale attribuiva
 due assegni.
    Il primo, regolato dai primi tre commi dell'art. 12, consisteva in
 un "assegno annuo pensionabile"  corrisposto  a  tutto  il  personale
 insegnante   delle   universita',   compreso  quello  fuori  ruolo  e
 incaricato, che sostituiva l'"indennita' di ricerca scientifica" gia'
 prevista  dall'art.  22  della  legge  26  gennaio  1962,  n.  16,  e
 successive  modificazioni.  Il  secondo  - regolato dai commi quarto,
 quinto, sesto e settimo  del  medesimo  art.  12  -  veniva  definito
 "assegno  speciale": non era pensionabile; non spettava ai professori
 che   intendevano    svolgere    privatamente    "libera    attivita'
 professionale";  ed  era,  dunque,  un incentivo ante litteram per il
 "tempo pieno".
    Il riordinamento della docenza universitaria operato dal d.P.R. n.
 382,  nell'istituire  le  due  fasce  dei  professori,   ordinari   e
 associati,  ha  previsto  per  entrambi un incremento del trattamento
 economico, pari al 40 per cento, nel caso di opzione per il regime di
 impegno a tempo pieno (secondo quanto disposto  dall'art.  36,  sesto
 comma,  del  d.P.R. n. 382, e gia' dall'art. 4, lett. c), della legge
 delega  21  febbraio  1980,  n.  28).  Tale  maggiore  emolumento  e'
 pensionabile  nelle  modalita' di cui all'art. 40 dello stesso d.P.R.
 n. 382.
    L'art. 39 piu' volte richiamato,  nell'innovare  quanto  stabilito
 dai  commi  quarto,  quinto, sesto, settimo e ottavo dell'art. 12 del
 decreto-legge n. 580 del 1973, sostituiva  l'"assegno  speciale"  non
 pensionabile,  di  cui  si  e' detto, con l'"assegno aggiuntivo", che
 rappresenta un'ulteriore incentivazione dell'opzione per il regime di
 tempo pieno. Nella stesura originaria dell'art. 39 del d.P.R. n. 382,
 l'assegno aggiuntivo spettava anche ai professori a  tempo  definito,
 ma  ridotto  del  50  per  cento,  e  se  ne  prevedeva  comunque  il
 riassorbimento, con  i  futuri  miglioramenti  economici,  in  misura
 differenziata  per  i  due regimi (ultimo capoverso dell'art. 39, nel
 testo originario).
    3.  -  Il  decreto-legge n. 2 del 1985 ha abrogato il terzultimo e
 l'ultimo capoverso dell'art. 39 del d.P.R.  n.  382:  l'ordinanza  di
 rimessione  e  le parti private insistono quindi sull'abrogazione del
 penultimo capoverso, che prevedeva la corresponsione  dell'  assegno,
 sia  pur  ridotto  del  50  per  cento,  anche  ai professori a tempo
 definito; e il fatto che esso spetti, ora, soltanto ai  professori  a
 tempo  pieno  dimostrerebbe  che  l'assegno  assolve  la funzione - e
 rivela la natura - di componente  essenziale  della  retribuzione  in
 forme  del tutto analoghe, si potrebbe aggiungere, alla maggiorazione
 stipendiale del 40 per cento, pensionabile, ai sensi dell'art. 36 del
 d.P.R. n. 382. Di  qui,  la  denunciata  illegittimita'  della  norma
 ancora presente nell'art. 39 del d.P.R. n. 382.
    Questa Corte ha tuttavia chiarito che non basta addurre la "natura
 retributiva"  e,  piu'  esattamente,  il carattere di "componente del
 normale trattamento economico" di un'indennita'  per  stabilirne,  in
 via  di principio, la pensionabilita': occorre infatti provare che la
 non  computabilita'  dell'indennita'  ai   fini   pensionistici   sia
 "manifestamente  incongrua  o irragionevole" (sent. n. 119 del 1991).
 Il che deve escludersi, in questo caso, alla luce di quanto segue.
    4.  -  Gia'  l'assegno  speciale   previsto   dall'art.   12   del
 decreto-legge  n.  580  del 1973 non era pensionabile; ed e' un dato,
 questo,  che  dimostra  come  il  legislatore,  confermando  siffatta
 caratteristica  con riguardo al nuovo "assegno aggiuntivo", non abbia
 agito arbitrariamente. Ne' vale  obiettare  che  e',  cosi',  offerta
 scarsa  tutela  all'opzione  per il tempo pieno in contraddizione con
 l'esigenza, apprezzata da questa Corte, di "privilegiare sempre  piu'
 tale  scelta"  (sent.  n.  1019 del 1988): una differenziazione assai
 rilevante fra i professori a tempo pieno e quelli a tempo definito e'
 invero assicurata, anche ai fini pensionistici, dal d.P.R. n. 382,  e
 in  particolare  dal  combinato disposto dell'art. 36, sesto comma, e
 dell'art.  40,  giacche'  nel  trattamento  di  quiescenza  e'   gia'
 computata la maggiorazione del 40 per cento.
    Non sussiste, dunque, il vulnus all'art. 38 della Costituzione nei
 termini  prospettati  dal  giudice  a  quo,  ne'  si palesa motivo di
 irrazionalita'   conseguente   alle   modificazioni   apportate   dal
 decreto-legge  n.  2  del 1985, come convertito nella legge n. 72 del
 1985, dal  momento  che  il  risultato  finale  di  detta  disciplina
 fornisce,  pure  ai  fini  del  trattamento di quiescenza, una tutela
 sufficiente - anche se perfettibile - dell'opzione per il  regime  di
 impegno  a tempo pieno:  l'art. 38 della Costituzione non garantisce,
 d'altronde, una integrale corrispondenza tra retribuzione e  pensione
 (v.,  nella  giurisprudenza piu' recente di questa Corte, la sent. n.
 449 del 1993).
    5. - Neppure ha pregio la censura mossa con riguardo alla presunta
 disparita' di trattamento che si sarebbe determinata a seguito di  un
 indirizzo  giurisprudenziale che, in assenza di contraria statuizione
 legislativa,  ha  disposto  il  computo,  ai  fini   di   quiescenza,
 dell'indennita'  del  personale sanitario ospedaliero. Tale indirizzo
 non esprime un  principio,  generale,  di  necessario  computo  delle
 indennita'  ai fini di quiescenza, che abbia fondamento in specifiche
 disposizioni e, comunque, in valori tutelati dalla Costituzione.
    Anche  a  voler  superare, in ipotesi, le obiezioni sull'idoneita'
 del  termine  di  raffronto  evocato,  va  infine   considerato   che
 l'intervento  della  Corte, richiesto dal giudice a quo, risulterebbe
 invasivo della sfera riservata  alle  valutazioni  discrezionali  del
 legislatore,  al  quale spetta, eventualmente, una nuova ponderazione
 della materia.