IL PRETORE Il processo penale in oggetto torna all'esame dibattimentale di questo magistrato che, in esito a precedente istruttoria dibattimentale quando agli imputati era stato contestato il delitto di furto aggravato in concorso, come risulta dal verbale dell'udienza dell'11 gennaio 1993 aveva applicato l'art. 521.2 del c.p.p. disponendo con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero "ritenuto che dall'istruttoria dibattimentale e' emerso il diverso fatto di ricettazione". Ed in effetti e' oggi contestato agli stessi imputati per quel fatto il delitto di ricettazione. Si pone la questione della compatibilita' di questo magistrato a giudicare ora in questo giudizio. L'art. 34 del c.p.p. non la disciplina espressamente. Nessuna delle pur numerose previsioni in esso contenute ha per oggetto la situazione del giudice che, avendo in esito alla compiuta istruttoria dibattimentale - e quindi con piena e adeguata valutazione delle prove acquisite - affermato sussistere un fatto diverso rispetto a quello originariamente contestato - anche indicandone la per lui corretta qualificazione giuridica - e disposto la restituzione degli atti al p.m., venga nuovamente investito di quel processo, con la nuova contestazione ora corrispondente al giudizio gia' espresso. Questo aspetto, l'aver gia' esaminato gli atti e l'aver espresso valutazioni che quantomeno possono apparire pregiudizievoli per gli imputati, non puo' trovare sussunzione normativa ne' nell'art. 36.1, lett. c), in quanto il giudizio/parere e' stato formulato nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, ne' nell'art. 37.1, lett. b), del c.p.p., in quanto il convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione e' stato nella precedente udienza espresso nella doverosa motivazione dell'ordinanza prevista dall'art. 521.2 del c.p.p. Non pare richiamabile il motivo delle "gravi ragioni di convenienza", di cui all'art. 36, lett. h); o tali gravi ragioni comprendono ogni situazione di inopportunita' anche, sia consentito il termine, "estetica", oppure nella fattispecie non puo' essere lasciato alla discrezionalita' del singolo magistrato la autovalutazione della propria capacita' professionale di non lasciarsi influenzare da giudizi gia' espressi ritualmente, e questo per la necessita' di salvaguardare il principio del giudice naturale. E' in sostanza il legislatore che dovrebbe dire se, in un caso come quello esposto e presente in questo momento processuale, vi sia o meno incompatibilita' a giudicare. Occorre verificare se il legislatore si sia espresso. Si e' detto che la lettera dell'art. 34 del c.p.p. nella sua originaria stesura non contempla l'ipotesi. Ma tale articolo di legge, a seguito dei ripetuti interventi della Corte costituzionale, ha ora previsioni di incompatibilita' piu' ampie (si abbiano presenti le sentenze nn. 496/1990, 502/1991, 124, 186, 313 e 399 del 1992; ma ha anche rilievo la sentenza n. 292/1992 che ha respinto la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34.3 del c.p.p. laddove ritenuto comprensivo anche della situazione procedimentale di cui all'art. 331 del c.p.p.). Alla luce di questi interventi integrativi deve ritenersi che il legislatore ha positivamente affermato il principio della incompatibilita' a giudicare in casi nei quali l'attivita' del giudice, ancorche' esercitata legittimamente, di fatto supera la necessaria distinzione tra funzioni requirenti e giudicanti e diviene oggettivamente sostitutiva di quella rientrante nel potere-dovere di iniziativa del pubblico ministero. A giudizio di questo pretore si manifesta indubbio che il caso di specie sia del tutto simile a quelli: basti considerare che in effetti ogniqualvolta il giudice applica, in esito all'istruttoria dibattimentale, l'art. 521.2 del c.p.p., in realta' esercita i poteri che dovrebbero spettare innanzitutto al pubblico ministero in attuazione dei poteri processuali a questa parte pubblica attribuiti dagli artt. 516-518 del c.p.p. Sotto tale profilo la norma di cui all'art. 521.2 del c.p.p. si presenta come norma di "chiusura" per consentire che, se il pubblico ministero non si attiva, sia salvaguardato il principio di correlazione tra sentenza e imputazione adeguatamente contestata. Altro principio ora contenuto nella legislazione positiva e' quello per cui l'incompatibilita' e' radicata da una (ogni?) valutazione di merito circa l'idoneita' delle risultanze probatorie (con riferimento alle indagini preliminari e quindi, a maggiore ragione, all'istruttoria dibattimentale) a fondare un giudizio di responsabilita' degli imputati (arg. ex sentenze n. 124, 186 e 313 del 1992). Anche sotto tale aspetto nel caso di specie si e' in presenza di una previa valutazione di responsabilita', per le ragioni indicate nella parte introduttiva. Si pone pertanto una nuova questione, non manifestamente infondata a giudizio di questo pretore, di legittimita' costituzionale dell'art. 34.2 del c.p.p. con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, per la mancata previsione normativa della incompatibilita' a giudicare del giudice che abbia ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero, ex art. 521.2 del c.p.p., ritenendo il fatto diverso da quello contestato. In particolare questa situazione normativa si presenta contrastante sia con il principio di parita' di trattamento normativo di situazioni simili, in assenza di ragionevoli motivi che giustifichino la differenza di statuizioni, sia con il diritto di difesa. La questione e' rilevante nel presente giudizio perche', ove fosse accolta, questo magistrato non potrebbe procedere alla nuova trattazione dibattimentale del processo. Vanno adottati i provvedimenti conseguenziali, come da dispositivo.