L'imputato e' tratto a giudizio per il delitto di oltraggio, ex art. 341 del c.p. In esito all'istruttoria dibattimentale deve ritenersi sufficientemente provato che lo stesso abbia effettivamente pronunciato le espressioni di cui al capo di imputazione, in particolare "lasciami perdere, ti ammazzo, non mi rompere i coglioni", dirette inequivocabilmente nei confronti dell'agente di custodia che, insieme ad altri colleghi, stava compiendo doverosamente la giornaliera perquisizione della cella. Compito del magistrato penale quindi, una volta che il p.m. ha deciso che la vicenda venisse trattata dibattimentalmente e che l'imputato non si e' avvalso di definizioni alternative, e' di decidere se la condotta, contestata e sussistente, abbia rilevanza penale, in particolare leda il bene giuridico tutelato dall'art. 341 del c.p., e, se cio' e', applicare la pena prevista dallo stesso art. 341 del c.p. Le espressioni per cui si procede appaiono oggettivamente offensive. Se oggetto della tutela penale e' "l'interesse concernente il normale funzionamento e il prestigio della pubblica amministrazione in senso lato, in quanto conviene garantire il rispetto dovuto alle persone fisiche che rappresentano la pubblica amministrazione stessa, contro le offese morali loro dirette, che trovino causa nell'esercizio funzionale o che vengono commesse durante l'esercizio medesimo", appare non dubbio che tale frase sia idonea a ledere quel rispetto, di fatto manifestando intolleranza irriguardose nei confronti di un pubblico ufficiale che pone in essere una condotta dovuta, pur se ripetitiva e nella specie improduttiva di efficaci risultati. Ritenuta quindi la rilevanza penale della condotta contestata, ed e' apprezzamento di merito, questo pretore dovrebbe applicare una pena minima di sei mesi di reclusione, eventualmente riducibili a quattro nel caso di riconoscimento delle attenuanti generiche. Questo perche' l'art. 341 del c.p. pone un limite minimo edittale di sei mesi di reclusione. Ritiene questo magistrato che non sia manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 341 del c.p. nella parte in cui prevede il limite minimo edittale di sei mesi di reclusione. Punto di partenza della riflessione e' l'affermazione che tale pena minima appare oggi, dopo oltre cinquantanni dall'entrata in vigore del codice penale, dopo la Costituzione repubblicana e in presenza di un mutamento rilevantissimo dei valori morali e giuridici - o meglio della loro scala gerarchica - assolutamente sproporzionata in eccesso. E', paradossalmente, tanto piu' difficile dar conto in una motivazione di questo genere delle ragioni a sostengo dell'assunto, quanto piu' quell'assunto e' per se' evidente. Si puo' tentare allora di comprovare l'assunto evidenziando le anomalie procedurali e comportamentali che caratterizzano l'odierna trattazione processuale di questo reato: reati considerati dalla coscienza sociale ben piu' gravi (si pensi a talune specie di furti) ricevono frequentemente pene meno severe; quasi tutti i processi dibattimentali per oltraggio hanno trattazioni "da corte d'assise" (con numerosi testi spesso falsi o reticenti, e conseguenti tensioni dell'istruttoria); spesso l'eccessivo minimo della pena edittale, in relazione alla estrema modestia del fatto, conduce a motivazioni assolutorie del tutto creative (specialmente orientate ad attribuire all'elemento psicologico confuse commistioni tra consapevolezza di fatti, significati e disvalore giuridico), che di fatto nascondono la disapplicazione di legge nel tentativo di coniugare equita' e giustizia, privilegiando la prima con determinazione di prassi metodologica di evidente pericolosita'. In definitiva, mentre mantiene oggi tutto il proprio valore, anche nel comune sentire, la necessita' di una tutela penale dell'onore e del prestigio (che altro non e' che "quella particolare essenza che assume il decoro quando l'offeso e' rivestito di pubbliche funzioni") del pubblico ufficiale, presente, quando la loro lesione si realizzi a causa o nell'esercizio delle loro funzioni (del resto si potrebbe ritenere costituzionalizzata tale necessita', stante il disposto dell'art. 97 della Costituzione), la qualita' della sanzione confligge con la coscienza sociale, laddove impedisce al giudice di dare una risposta sanzionatoria effettivamente proporzionata all'entita' della lesione e idonea ad essere meglio accettata dal condannato e dalla maggioranza dei consociati, nei casi, come quello che ci occupa (dove il fatto indubbiamente sussiste ma e' stato descritto dallo stesso superiore dell'agente operante, anch'egli presente, come di modestissima rilevanza, proveniente anche da soggetto che, durante lunga detenzione, non aveva mai prima dato causa ad evenienze similari). L'eliminazione del minimo edittale, sicche' l'oltraggio rimarrebbe punito con la reclusione "fino a" due o tre anni (secondo le fattispecie previste dall'art. 341 del c.p.), permetterebbe di risolvere ogni questione: consentendo la possibilita' di accedere alla sanzione sostitutiva della pena della multa, per i fatti meno gravi per i quali la pena detentiva possa essere contenuta - eventualmente previa concessione delle attenuanti e con le riduzioni per i riti alternativi - entro il mese di reclusione, certamente si definirebbero fuori del dibattimento la maggior parte dei casi, evitandosi le istruttorie dibattimentali "da assise"; il giudice potrebbe piu' adeguatamente graduare la sanzione, riservando le pene dai sei mesi ai due/tre anni di reclusione ai casi gravi, che pur esistono e debbono essere adeguatamente repressi; gli stessi pubblici ufficiali persone offese riceverebbero maggiore e doverosa tutela, evitandosi il fenomeno delle "assoluzioni fantasiose" (si puo' essere certi che vi sarebbe un maggior numero di sentenze di condanna); in definitiva il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione risulterebbe certo piu' corrispndente al disegno costituzionale. Si consideri ancora, a sostegno delle valutazioni espresse relativamente al minimo edittale, che l'oltraggio ex art. 341 del c.p. e', di fatto, un'ingiuria aggravata ai sensi dell'art. 61, n. 10, del c.p.; com'e' noto, la differenza tra le due ipotesi e' nell'oggetto giuridico: tutela diretta alla persona, nell'ingiuria ancorche' aggravata, tutela alla pubblica amministrazione e solo in via indiretta alla persona sua rappresentante, nell'oltraggio. Si deve allora constatare che vi e' una evidente disparita' tra la pena che il fatto qualificato ex artt. 594 e 61, n. 10, del c.p. comporterebbe (alternativa tra la multa fino a L. 1.335.000 o L. 2.670.000 e la reclusione fino a 8 o 16 mesi - secondo le fattispecie - e la pena prevista per il reato ex art. 341 del c.p. Quest'ultimo deve applicarsi, in virtu' del generale principio posto dall'art. 15 del c.p., essendovi anche la tutela della pubblica amministrazione. Si noti pero' che gia' la diversa oggettivita' giuridica comporta una differenza, giustificata, rilevantissima: la procedibilita' d'ufficio. E' evidente l'obiezione: queste valutazioni spettano al legislatore. Rilevato che, in effetti, un legislatore attento alla realta' delle aule giudiziarie avrebbe gia' riflettuto sulla questione, tuttavia, a giudizio di questo pretore, e' possibile un intervento doverosamente correttivo della Corte che si adisce. La pena prevista per l'art. 341 del c.p., nella parte in cui prevede un minimo edittale di sei mesi di reclusione, appare infatti oggi, per le ragioni esposte, non piu' corrispondente ad un'attuale consapevole discrezionale volonta' del legislatore e si manifesta contrastare innanzitutto l'art. 27.3 della Costituzione: senza voler entrare nel merito del dibattito sulla finalita' della pena (prevenzione generale, prevenzione speciale, retribuzione, risocializzazione) fatta propria dal Costituente, e' evidente che una pena inadeguata in eccesso - secondo la coscienza sociale del momento storico in cui quella pena deve essere concretamente applicata (e che il richiamo alla coscienza sociale ed a cio' che essa considera equo sia lecito in questa sede puo' evincersi dalla recentissima sentenza n. 54 dell'8-16 febbraio 1993) - viola l'obbligo di tendere alla rieducazione, generando reazioni di antisocialita' e momenti di contrasto sociale gratuito, in quanto non giustificato dalla necessita' di salvaguardare esigenze pubbliche effettivamente sussistenti. Vi e' poi, pur secondario, un contrasto con lo stesso art. 97.1 della Costituzione: quando l'irrazionale inadeguatezza in eccesso di una sanzione penale determina costi processuali rilevanti, l'inutile "occupazione" di una struttura delicatissima gia' per se' quasi moribonda (qual e' oggi l'apparato processuale) viola il principio di buon andamento ed imparzialita' dei pubblici uffici; Ultimo parametro invocabile e' l'art. 3 della Costituzione, apparendo irrazionale e non giustificata la differenza di pena che consegue alla sussunzione dell'oltraggio nell'art. 341 del c.p. rispetto agli artt. 594 e 61, n. 10, del c.p., tenuto anche conto che gia' la tutela della pubblica amministrazione trova positiva considerazione nella previsione della procedibilita' d'ufficio. La soluzione dei problemi esposti, come gia' anticipato, si avrebbe con la eliminazione del minimo edittale. Mentre la sostituzione a quello attualmente esistente di un altro (uno, due, tre mesi?) o la parificazione alla pena ricavabile dal combinato disposto degli artt. 594 e 61, n. 10, del c.p. determinerebbe il compimento di scelte che senza dubbio competono al legislatore, l'abolizione del minimo edittale consente al sistema medesimo di individuare, per via generale e non discrezionale, il nuovo limite (quindici giorni di reclusione ex art. 23.1 del c.p.; esso tra l'altro appare comunque, oggettivamente, piu' adeguato all'altra qualificazione giuridica che il sistema offre della stessa fattispecie, quella ex artt. 594 e 61, n. 10, del c.p.), lasciando al legislatore la possibilita' di intervenire ove ne ritenesse opportuno altro diverso. La rilevanza della questione nel presente processo e' evidente: ove la stessa fosse accolta, questo pretore potrebbe applicare una pena inferiore ai sei o quattro mesi di reclusione, pena inferiore certamente unica adeguata a quello che, con apprezzamento di stretto merito che e' di competenza di questo giudice, va qualificato modesto disvalore del fatto per cui si procede ed alle peculiarita' delle sue connotazioni, in parte prima evidenziate. Sono conseguenziali i provvedimenti ordinatori di cui al dispositivo.