IL PRETORE Letti gli atti del procedimento n. 35/1993 r.g. pretura circondariale di Modena, sezione distrettuale di Mirandola, pendente nei confronti di Giacobazzi William; Considerato che all'udienza del 22 ottobre 1993 il difensore dell'imputato ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 53 e 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, modificati dalla legge n. 296/1993 in relazione agli artt. 21 e 22 della legge n. 319/1976 e con riferimento al disposto degli artt. 3, primo comma e 27, primo e terzo comma della Costituzione; O S S E R V A Giacobazzi William e' imputato dei reati previsti dall'art. 21 primo e terzo comma della legge n. 319/1976 per avere, quale legale rappresentante dall'azienda agricola S. Pietro S.r.l., effettuato scarichi di liquami nelle acque superficiali della Fossa San Pietro in difetto della prescritta autorizzazione e superando i limiti tabellari di accettabilita'. Come e' noto, la legge n. 689/1981 ha introdotto nel nostro ordinamento la categoria delle sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, disciplinandola agli artt. 53, e seguenti, come modificati dall'art. 5 della legge n. 296/1993. L'art. 60 della legge n. 689 esclude l'applicazione delle sanzioni sostitutive per alcuni reati specificamente elencati. Tra questi, il secondo comma dell'art. 60 annovera "i reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319 (norme per la tutela delle acque dall'inquinamento)". Il raffronto tra la normativa generale (art. 53 e segg.), che consente l'applicazione delle sanzioni sostitutive per tutti i reati, compresi quella per la tutela dall'inquinamento non inclusi nel secondo comma dell'art. 60, nonche' i reati di competenza del tribunale e la disposizione derogativa di cui all'art. 60, che esclude dette sanzioni per i reati in materia di inquinamento idrico previsti dagli artt. 21 e 22 della legge n. 319/1976 (oltre che per una serie di reati di cui alla legge n. 615/1966), fa emergere un'ingiustificata differenziazione normativa contraria al principio di uguaglianza e al principio di coerenza dell'ordinamento giuridico. L'esame comparativo deve essere svolto tra quel settore soggetto alla normativa generale dell'art. 53 che abbia carattere di maggiore omogeneita' rispetto alla disposizione derogativa in esame. Il termine normativo di riferimento, il c.d. tertium comparationis, e' rappresentato dalle fattispecie contravvenzionali introdotte dal d.P.R. n. 915/1982 e, piu' precisamente, da quelle contemplate dagli artt. 25, 26 e 27. L'applicabilita' delle sanzioni sostitutive a queste contravvenzioni e non a quelle di cui agli artt. 21 e 22 della legge Merli e' priva di qualsiasi giustificazione razionale. Entrambi i gruppi normativi tutelano il medesimo bene giuridico, cioe' l'ambiente. Non pare possano esservi dubbi sulla considerazione dell'ambiente, nel nostro ordinamento, come bene unitario. E' sufficiente, al riguardo, richiamare la sentenza della Corte costituzionale n. 641 del 30 dicembre 1987 secondo cui "il fatto che l'ambiente possa essere fruibile in varie forme e differenti modi, cosi' come possa essere oggetto di varie norme che assicurano la tutela dei vari profili in cui si estrinseca, non fa venir meno e non intacca la sua natura e la sua sostanza di bene unitario che l'ordinamento prende in considerazione" e protegge come elemento determinativo della qualita' della vita. La legge n. 319/1976 e il d.P.R. n. 915/1982 costituiscono espressione di una identica strategia di tutela dell'ambiente attuata mediante la previsione di reati contravvenzionali, formali e di pericolo. Proprio perche' destinati alla tutela di diverse componenti di un bene giuridico comunque unitario, i due blocchi normativi si sovrappongono in piu' punti. L'art. 1, lett. a), della legge n. 319/1976 nel descrivere l'oggetto della legge si riferisce alla disciplina degli scarichi anche sul suolo e nel sottosuolo e l'art. 1 del d.P.R. n. 915/1982 prevede che nell'attivita' di smaltimento dei rifiuti debba essere evitato ogni rischio di inquinamento dell'acqua. L'art. 2 della legge n. 319/1976 attribuisce allo Stato il compito di determinare le norme tecniche generali per la regolamentazione dello smaltimento dei liquiami sul suolo e nel sottosuolo e dei fanghi residuati dai cicli di lavorazione e dai processi di depurazione. Laddove pero' si tratti di rifiuti tossici o nocivi, diventa applicabile la normativa del d.P.R. n. 915/1982, secondo quanto stabilito dal penultimo comma dell'art. 2 del decreto. Il rischio di un concorso apparente di norme ha indotto il legislatore ad escludere espressamente l'applicabilita' delle disposizioni sullo smaltimento dei rifiuti agli scarichi regolati dalla legge n. 319/1976 (vedi art. 2, ultimo comma, del d.P.R. n. 915/1982). L'inapplicabilita' delle sanzioni sostitutive ai reati in materia di inquinamento idrico non trova giustificazione neanche nella maggiore gravita' di questi rispetto agli altri illeciti ambientali. E' sufficiente al riguardo rilevare come le contravvenzioni di cui agli artt. 21 primo comma, e 22 della legge Merli siano punite con la pena alternativa, detentiva o pecunaria, che invece si applicano congiuntamente ai reati di cui agli artt. 25, 26 e 27, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1992. Peraltro, il legislatore, in tutti gli altri settori dell'ordinamento riserva ai gruppi di reati rispettivamente previsti dalla legge n. 319/1976 e dal d.P.R. n. 915/1982 un identico trattamento, ad esempio, escludendosi entrambi dall'applicazione dell'amnistia. Il trattamento differenziato previsto per i reati di cui agli artt. 21 e 22 della legge n. 319/1976 non puo' neanche giustificarsi in virtu' dei fini perseguiti dalla norma impugnata. Il legislatore del 1981 ha escluso dal beneficio delle sanzioni sostitutive tutti i reati ambientali previsti dalle leggi all'epoca vigenti, ritenendo che cio' fosse opportuno per le esigenze di prevenzione generale e per la particolare importanza del bene tutelato, appartenente alla collettivita' (il legislatore ha, addirittura, incluso nell'art. 60 le contravvenzioni previste dalla legge n. 615/1966, dimenticando che esse sono sanzionate con la sola pena pecunaria e che quindi nessun problema di applicazione delle sanzioni sostitutive si sarebbe potuto porre). Il rilievo che successivamente il legislatore abbia consentito il ricorso alle sanzioni sostitutive per tutti i reati a tutela dell'ambiente introdotti con leggi successive al 1981 (d.P.R. n. 915/1982, d.P.R. n. 203/1988, legge n. 475/1988 ecc.); che non si sia attivato per eliminare le inevitabili discrasie nella disciplina delle esclusioni oggettive che si sarebbero e si sono verificate in seguito all'aumento di competenza del pretore disposto dal nuovo codice di procedura penale (vedi, al riguardo, sentenza della Corte costituzionale n. 249 del 5-19 maggio 1993); che, al contrario, con la legge n. 296/1993 abbia notevolmente elevato il limite di applicabilita' delle sanzioni sostitutive fino ad un anno e che abbia addirittura esteso le sanzioni di cui all'art. 53 ai reati di competenza del tribunale; induce a pensare che lo scopo originariamente perseguito con la previsione dell'art. 60 sia ormai venuto meno cosi' da comportare l'illegittimita' della disciplina in oggetto, perche' fonte di ingiustificate disparita' di trattamento e, quasi, di anacronismo legislativo. A cio' si aggiunga il recente decreto legge n. 454/1993 che sembra aver depenalizzato alcune ipotesi prima penalmente sanzionate dalla legge n. 319/1976. La disciplina dettata dall'art. 60 della legge n. 689/1981 in relazione agli artt. 21 e 22 della legge 319/1976 appare contraria al principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. Tale principio esige che le leggi non siano arbitarie ed impone al legislatore di trattare fattispecie uguali in modo uguale e fattispecie diverse in modo non arbitrariamente diverso. Nel caso di specie, l'esclusione delle sanzioni sostitutive per i reati dagli artt. 21 e 22 della legge n. 319/1976, e' in contrasto con il principio di ragionevolezza e con il criterio di coerenza, espressioni del principio di uguaglianza, che non ammette differenziazioni normative incompatibili con la logica dell'ordinamento. Il ricorso al principio di uguaglianza ha assunto nel nostro ordinamento un ruolo fondamentale non solo contro abusi di potere ma anche contro gli errori del legislatore ed il mancato coordinamento delle modifiche o innovazioni legislative con il sistema normativo esistente. Analoga questione di legittimita' costituzionale e' stata gia' sollevata dal pretore di Santhia' con ordinanza del 15 marzo 1985 e dichiarata inammisibile dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 261 del 10 dicembre 1986 in quanto l'eccezione era diretta a sollecitare una pronunzia additiva in materia penale. Nel caso in esame si chiede che sia dichiarata illegittimo, perche' in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, l'art. 60 della legge n. 689/1981 nella parte in cui esclude l'applicabilita' delle sanzioni sostitutive ai reati previsti dall'art. 21 della legge 319/1976 (reati contestati all'attuale imputato). Sulla base di quanto finora detto, la questione appare non manifestamente infondata. La questione e' inoltre rilevante per la definizione del giudizio in considerazione della volonta dell'imputato di chiedere l'applicazione, ai sensi dell'art. 444 del c.p.p., della pena dell'arresto sostitutiva con la corrispondente pena pecunaria, a norma dell'art. 53 della legge n. 689/1981. Dagli atti processuali non emergono elementi per l'immediata declaratoria di cause di non punibilita' ai sensi dell'art. 129 del c.p.p. e, alla luce dell'incensuratezza dell'imputato e del carattere episodico, ed occasionale, dello scarico, potrebbe essere giustificata l'applicazione di una sanzione sostitutiva della pena detentiva breve.