Ricorso per la regione Emilia-Romagna, in persona del presidente della Giunta regionale pro-tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 499 del 1 marzo 1994, rappresentata e difesa, come da mandato rogato dal notaio dott. Federico Stame del Collegio notarile di Bologna il 4 marzo 1994, rep. n. 36.119, dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo stesso avv. Luigi Manzi, via Confalonieri, 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 28 gennaio 1994, n. 84, recante "riordino della legislazione in materia portuale" (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 28 s.u., del 4 febbraio 1994), con riferimento agli artt. 5, ottavo e sesto comma, nonche' 13, primo comma, lett. d) (anche in connessione con l'art. 28); 4, quarto comma; 5, undicesimo comma; 18 e 13, primo comma, lett. a); 28, per violazione degli artt. 117, 118, 119 e 81 della Costituzione. F A T T O La legge 28 gennaio 1994, n. 84, reca "riordino della legislazione in materia portuale": Si tratta di una legge attesa, che supera una precedente disciplina oramai inadeguata, la quale pur muovendosi nel quadro dell'attuale riparto costituzionale di competenze tra Stato e regioni, presenta anche aspetti positivi. Cio' non toglie tuttavia che la stessa legge risulti in taluni suoi punti lesiva delle prerogative della regione, cosi' come determinata dalla Costituzione e dalle leggi attuative, ed in particolare dal d.P.R. n. 616/1977. In particolare essa innanzitutto lede l'autonomia finanziaria regionale e lo stesso equilibrio del bilancio regionale, addossando alla regione rilevanti oneri sia di realizzazione di opere portuali sia gestionali, senza statuire in suo favore alcuna corrispondente entrata (come emerge in particolare dagli artt. 5, ottavo comma; 13, primo comma, lett. d); 28). In secondo luogo sminuisce il ruolo gia' oggi spettante alla regione, affidando al solo Ministro dei trasporti di determinare con proprio decreto, persino inaudite le regioni, le caratteristiche dimensionali, tipologiche e funzionali anche dei porti meramente turistici o di pesca, e di individuare gli scali propri di ogni categoria (art. 4, quarto comma), e piu' in generale sottopone gli interventi da attuarsi dalle regioni a non meglio identificate "direttive di coordinamento" del Ministro stesso (art. 5, undicesimo comma). In terzo luogo, la legge (art. 18, in connessione con l'art. 13, primo comma, lett. a) non riconosce ruolo alcuno nell'ambito delle concessioni di aree e banchine, neppure quando queste si correlino alla costruzione di opere pubbliche regionali o quando si tratti di concessioni per scopi turistico-ricreativi, con lesione delle competenze regionali in materia di lavori pubblici e di turismo, e del principio di assenazione delle deleghe integrative delle competenze, statuito per la materia in questione dall'art. 59 del d.P.R. n. 616/1977. Infine, essa ingiustificatamente assoggetta acquisisce al bilancio dello Stato proventi che costituiscono corrispettivi di attivita' portuali in loco, ed in modo unilaterale anche i porti che non presentano squilibri di gestione, e in particolare per cio' che interessa alla regione ricorrente il porto di Ravenna, alla sottrazione a favore dello Stato del 50 per cento del gettito della tassa sulle merci sbarcate (art. 28, settimo comma, in connessione con il primo comma). Sotto i profili e per le disposizioni sopra riportate la legge impugnata si rivela dunque lesiva, ed altresi' costituzionalmente illegittima per le seguenti ragioni di D I R I T T O 1. - Illegittimita' costituzionale degli artt. 5, ottavo comma, 13, primo comma, lett. d) e 28 in quanto addossano alla regione rilevanti oneri sia di realizzazione di opere portuali sia gestionali, senza statuire in suo favore alcuna corrispondente entrata. La nuova legge provvede a definire le opere marittime di competenza rispettiva dello Stato e delle regioni. In particolare, il sesto comma sostituisce la precedente individuazione delle opere statali determinata dall'art. 88 del d.P.R. n. 616/1977, in modo che e' sostanzialmente identico al precedente tranne che per l'omessa elencazione nelle opere statali di quelle realtive ai fari. Se tali opere rientrano ora nella competenza (e responsabilita') regionale, gia' a questo proposito occorre rilevare che cio' non avrebbe potuto non avere influenza - anche in termini meramente programmatici - sulla determinazione delle risorse da assegnare alle regioni stesse. Soprattutto pero' e' l'ottavo comma dello stesso art. 5 che in termini drastici pone a carico delle regioni, testualmente "l'onere per la realizzazione delle opere di grande infrastrutturazione nei porti di cui alla categoria II, classe III". E' dunque palese che la legge qui non si limita al semplice riconoscimento della competenza regionale (legislativa ed amministrativa) in materia, ma direttamente ed in termini prescrittivi addossa alle regioni l'onere della spesa: e si tratta oltretutto di oneri assai rilevanti, proprio perche' riferiti alle maggiori opere dei porti in questione. Tale onere, sino ad oggi non previsto dalla legislazione statale, comporta dunque non solo una invasione nella potesta' legislativa ed amministrativa regionale, impedendo una disciplina regionale che preveda per tali oneri una piu' equilibrata ed operativa ripartizione, ma altresi' una lesione dell'autonomia finanziaria regionale e, almeno potenzialmente, una lesione del principio di copertura finanziaria delle leggi, in quanto la legge statale dispone spese - sia pure a carico della regione - senza alcuna verifica della congruenza delle entrate regionali e per farvi fronte. Considerazioni analoghe devono farsi con riferimento all'art. 13, primo comma, lett. d), ove si elencano, tra le entrate delle autorita' portuali, i "contributi delle regioni". Naturalmente, nulla vi sarebbe da eccepire se tale disposizione dovesse intendersi come di carattere meramente facoltizzante, a riconoscimento dell'interesse regionale nelle attivita' portuali. Va tuttavia tenuto presente che dai lavori preparatori della Camera dei deputati (IX Commissione permanente, seduta del 21 ottobre 1993) risulta che il precedente testo della disposizione precisava che i contributi in questione sarebbero stati "autonomamente determinati" e che si trattava quindi in sostanza di contributi meramente eventuali, da stabilirsi discrezionalmente secondo considerazioni finanziarie e di politica regionale. La soppressione della precisazione nel testo definitivo induce invece a temere che alla disposizione sia nella prassi intesa come rivolta ad imporre alla regione la corresponsione di contributi: ed in tal senso, anche tale disposizione risulterebbe all'evidenza lesiva dell'autonomia finanziaria regionale. Il riferimento all'art. 28 della legge impugnata e' rivolto in questo contesto a sottolinerare come, a fronte degli innegabili oneri nuovi ed aggiuntivi che la legge impone alla regione, nessuna corrispondente entrata si aggiunga. In questo contesto vanno in particolare criticate le disposizioni dell'art. 28, quarto, quinto e sesto comma le quali acquisiscono al bilancio dello Stato proventi che costituiscono corrispettivi di attivita' portuali in loco, depauperando ingustificatamente le economie locali. 2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, quarto comma, in quanto affida al solo Ministro di trasporti di determinare con proprio decreto, le caratteristiche dimensionali, tipologiche e funzionali anche dei porti meramente turistici o di pesca, e di individuare gli scali propri di ogni categoria. L'art. 4, quarto comma, dispone che "le caratteristiche dimensionali tipologiche e funzionali dei porti di cui alla categoria II, classi I, II e III, e l'appartenenza di ogni scalo alle classi medesime sono determinate, sentite le autorita' portuali o, laddove non istituite, le autorita' marittime, con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione", secondo certi criteri di seguito elencati dalla legge. Per le regioni e' previsto soltanto che esse esprimano un parere. Ora, si deve considerare che tra i porti considerati vi sono anche quelli che costituiscono in sostanza opere pubbliche di competenza regionale, ai sensi dell'art. 5, settimo comma, della stessa legge; ed inoltre che tali porti hanno spesso essenzialmente funzioni di traffico turistico, o collegate alle svolgimento della pesca: ovvero ad attivita' ricadenti nei due casi nella competenza regionale. Sotto i tre profili indicati, dunque, sembra evidente che alla regione deve essere riconsociuto non il potere di dare un semplice parere - che oltretutto si intende "reso in senso favorevole" se non interviene nei novanta giorni dalla richiesta - ma il ruolo piu' specifico di stabilire essa, con riferimento ai singoli porti rientrati nella sua competenza le concrete caratteristiche dimensionali, tipologiche e funzionali: ne' si vede d'altronde quale interesse statale potrebbe giustificare un potere di determinazione cosi' penetrante da disciplinare le caratteristiche del singolo porto. Diversamente potrebbe dirsi soltanto se il potere statale dovesse essere inteso come un potere di individuare caratteristiche estratte e in termini di larga massima, in modo da consentire, all'interno di tali prescrizioni, l'intervento di ulteriori e specifiche caratterizzazioni regionali, collegate alle specifiche situazioni. Ma sotto tali i profili le impugnative disposizioni nulla prescrivono o garantiscono, con evidente lesione delle prerogative regionali gia' in essere: infatti, sino ad e' in sostanza la regione che definisce le caratteristiche delle infrastrutture portuali turistiche, e in genere dei porti delle classi inferiori. 3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, undicesimo comma, in quanto sottopone gli interventi da attuarsi dalle regioni "direttive di coordinamento" del Ministro. L'undicesimo comma dell'art. 5 prevede a non meglio identificate "direttive di coordinamento" del Ministro per gli "interventi da attuarsi dalle regioni, in conformita' ai piani regionali dei trasporti o ai piani di sviluppo economico-produttivo". La previsione di tali direttive appare costituzionalmente illegittima per l'impropria sottoposizione che essa operano delle regioni ad un potere statale di settore, quale quello ministeriale: anziche' - ove pure la si ritenesse necessaria - alla caratteristica e tipica funzione governativa di indirizzo e coordinamento. Inoltre, la disposizione non definisce affatto il contenuto possibile, lo scopo o l'oggetto stesso specifico di tali "direttive", contraddicendo il principio di legalita' sostanziale degli atti di indirizzo, costantemente affermato da codesta ecc.ma Corte costituzionale. Sia sotto il profilo della competenza che quello del contenuto i poteri di direzione affidati al Ministro appaiono dunque incostituzionali e lesivi delle prerogative regionali. 4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 18, in connessione con l'art. 13 primo comma, lett. a), in quanto non riconoscono nessuna competenza regionale in relazione alle concessioni di aree e banchine. L'art. 18 attribuisce i poteri concessori di aree e banchine destinate alle attivita' portuali alle autorita' portuali o, dove queste non vi siano, alle autorita' marittime. Ora, se tali concessioni si intendono limitate ai profili strettamente gestionali dell'attivita' portuale non sorgerebbe alcun problema. Il problema nasce invece dalla potenziale interferenza con i compiti e poteri regionali sotto un duplice profilo: il profilo dei poteri regionali in materia di opere pubbliche e il profilo di quelli in materia di turismo. Quanto alle opere pubbliche, e' ben noto che la costruzione avviene spesso in regime di concessione di costruzione e gestione. E se e' vero che nulla nella legge pare escludere per la regione tale possibilita', sembra pero' evidente che essa presuppone la disponibilita' della concessione anche dell'area su cui l'opera deve realizzarsi. Si consideri altresi' il mancato riconoscimento del potere concessorio comporta per la regione anche il difetto di una risorsa, in qualche modo in grado di riequilibrare gli oneri collegati alle opere pubbliche. Quanto all'aspetto turistico, conviene ricordare che, proprio per l'evidente connessione, l'art. 59 del d.P.R. n. 616/1977 ha disposto che "sono delegate alle regioni le funzioni amministrative sul litorale marittimo, sulle aree demaniali immediatamente prospicienti, sulle aree del demanio lacuale e fluviale, quando la utilizzazione prevista abbia finalita' turistica e ricreative". Benche' tale delega sia rimasta a lungo inattuata, la disposizione dell'art. 59 ha perso in nulla la sua importanza di principio e di interpretazione costituzionale: sembra evidente, infatti, che si tratta qui di una delega costituzionalmente tutelata, data la stretta connessione con le funzioni regionali, di cui costituiscono in sostanza una parte. L'attualita' della delega e' stata anzi recentissimamente ribadita e confermata dal d.l. 5 ottobre 1993, n. 400, convertito nella legge 4 dicembre 1993, n. 494; esso, all'art. 6, prevede che la delega diventi comunque operativa, qualora entro un anno non siano effettuati quegli adempimenti, gia' previsti dall'art. 59 del d.P.R. n. 616/1977, che finora l'avevano bloccata, e dispone che "da tale termine le regioni provvedono al rilascio e al rinnovo delle concessioni demaniali marittime". Non si intende allora per quale ragione ed in quale senso l'art. 13 primo comma, lett. a) della legge n. 84/1994 assegni alle autorita' portuali tra l'altro il compito di "determinare canoni di concessione demaniale marittima per scopi turistico-ricreativi" e "canoni di concessione di aree destinate a porti turistici" andando ad invadere, a quel che sembra, la materia disciplinata dalla predetta legge n. 494/1993 e sottraendo alle regioni risorse direttamente connesse ai suoi compiti costituzionali in materia di turismo. Sotto entrambi i profili le disposizioni impugnate appaiono percio' contrarie alla Costituzione. 5. - Profili di illegittimita' costituzionale dell'art. 28, settimo comma, in collegamento con il primo comma. Le disposizioni impugnate prevedono un meccanismo di assunzione di oneri a carico dello Stato, cui si collega una acquisizione statale di una entrata altrimenti del porto. Ma la previsione ha carattere indiscriminato, e si applica anche a strutture portuali per le quali cio' si traduce in una sorta di espropriazione. Per cio' che interessa alla regione Emilia-Romagna quale esponente della comunita' regionale, va osservato che il porto di Ravenna e' una struttura gestionalmente sana, in equilibrio economico. Del tutto ingiustificato si rivela dunque il far operare per essa il meccanismo disposto dall'art. 28, primo e settimo comma. In particolare, e stante la predetta situazione, del tutto ingiustificato rimane il versamento al bilancio dello Stato del 50 per cento del gettito della tassa sulle merci sbarcate: il quale si traduce in pratica in un abnorme tributo a carico del porto di Ravenna, e nell'uso delle risorse da esso prodotte per finanziare e ripianare situazioni di squilibrio gestionale e finanziario, al di fuori di qualunque criterio di eguaglianza e responsabilita' di impresa e di gestione. Quanto meno, il ricorso a tale meccanismo avrebbe dovuto essere lasciato alla prudente valutazione degli interessi, nella loro scelta tra l'assunzione degli oneri dei mutui e degli altri oneri di cui al primo comma a carico dello Stato, con la conseguenza di cui al settimo comma, e la situazione di autonomia imprenditoriale. Tutto cio' premesso, la ricorrente regione Emilia-Romagna, come sopra rappresentata e difesa chiede: