IL TRIBUNALE
    Nella  causa  civile  n. 4715/1993 Lav. promossa dall'I.N.P.S. col
 proc. e dom. avv. Mazzacurati, contro Zinelli Guido col proc. e  dom.
 avv. G. Giuliari ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Uditi i procuratori delle parti, premesso in fatto che con ricorso
 28  gennaio  1992  Zinelli  Guido,  titolare di pensione diretta gia'
 integrata al  minimo  e  di  pensione  SO  non  integrata,  all'esito
 sfavorevole  delle  domande  amministrative  chiedeva  al  pretore di
 Verona, giudice del  lavoro,  in  applicazione  degli  effetti  della
 sentenza n. 314/85 della Corte costituzionale la declaratoria del suo
 diritto  al  trattamento  d'integrazione al minimo sulla pensione SO,
 con condanna  dell'I.N.P.S.  al  pagamento  dei  ratei  arretrati  ed
 accessori  in  conformita'  al  disposto  dell'art. 6, settimo comma,
 d.l.  n.  463/1983   (c.d.   cristallizzazione).   Nel   costituirsi
 l'I.N.P.S.  aveva  resistito all'avversa pretesa, adducendo che detta
 cristallizzazione   riguardava   la   sola   causa   di    cessazione
 dell'integrazione conseguente al superamento del requisito reddituale
 di cui all'art. 6, primo comma, della legge citata.
    Il  pretore  aveva accolto la domanda del ricorrente, e l'I.N.P.S.
 aveva appellato la decisione, con le stesse difese  svolte  in  prime
 cure.
    Nelle  more del presente giudizio e' peraltro intervenuta la legge
 n. 537  del  24  dicembre  1993  (legge  finanziaria  1994),  che  al
 ventiduesimo  comma  dell'art. 11 dispone l'interpretazione autentica
 del settimo comma dell'art. 6 del d.l. n. 463/1983, convertito nella
 legge  n.  638/1983,  il  trattamento minimo spetta su una sola delle
 pensioni, secondo i criteri  di  cui  al  terzo  comma  dello  stesso
 articolo,  mentre  le  rimanenti  pensioni  spettano  nell'importo  a
 calcolo, senza alcuna integrazione.
    All'odierna  udienza,  all'esito  della  discussione,  ritiene  il
 tribunale di dover sollevare questione di legittimita' costituzionale
 di detto art. 11, ventiduesimo comma, della legge n. 537/1993.
    In  diritto,  ritiene questo tribunale che sussistano nella specie
 due  possibili  e   non   manifestamente   infondate   questioni   di
 costituzionalita' afferenti le norme in esame.
    1.  - Premesso che - come e' noto - l'interpretazione dell'art. 6,
 settimo comma, del d.l.  n.  463/1983,  convertito  nella  legge  n.
 638/1983  e'  risultata  per  lunga  consolidata giurisprudenza nella
 sostanza pacifica, ed ha avuto il conforto della Corte costituzionale
 (v. da ultimo sentenza n. 184/1988 n. 418/1991) mentre  la  norma  di
 interpretazione   autentica  introdotta  al  riguardo  con  la  legge
 finanziaria  1994  si  attiene  alle  tesi  giuridiche  costantemente
 sostenute  dall'I.N.P.S.,  ed  equivale  a novazione legislativa, col
 fine, per la verita' non molto  recondito.  di  attribuire  al  nuovo
 precetto  un'efficacia  retroattiva,  nei  casi  in cui la stessa non
 appare consentita.
    Vi e' motivo di rilevare uno straripamento dall'alveo  fisiologico
 delle    funzioni    legislative,    con    invasione    del    campo
 costituzionalmente riservato al potere giudiziario;  cio'  contrasta,
 pertanto, col combinato disposto degli artt. 101, secondo comma, 104,
 primo  comma,  della  Costituzione,  sotto  profili  per  il  passato
 rilevati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 187/1981.
    2. - Secondo  profilo  di  eventuale  e  probabile  illegittimita'
 costituzionale   e'   quello   del  contrasto  con  l'art.  38  della
 Costituzione, valendo al  riguardo  le  osservazioni  gia'  sollevate
 dalla  s.c.  di  cassazione  con  l'ordinanza 11-27 febbraio 1992, n.
 142/1992, la quale ha  correlato  detta  violazione  anche  a  quella
 dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della ragionevolezza,
 in  relazione  all'art. 4, primo comma, del d.l. 21 gennaio 1992, n.
 14, successivamente non convertito in legge.  Se  pure  sollevate  in
 relazione a tale diverse norme, devesi ritenere che le considerazioni
 svolte dal s.c. nella suddetta ordinanza si attaglino alla perfezione
 anche alla fattispecie normativa oggi in esame, stante la coincidenza
 delle   ratione   legis   e   delle  stesse  terminologie  usate  dal
 legislatore.
    Devesi, infatti,  ritenere  che  l'integrazione  al  minimo  della
 pensione   SO   non   riveste   carattere  assistenziale,  ma  bensi'
 previdenziale, in  attuazione  del  principio  di  cui  all'art.  32,
 secondo  comma,  della  Costituzione,  diretto  ad assicurare i mezzi
 adeguati alle esigenze di vita dei lavoratori, e non ai cittadini  in
 genere.
    Strumento  di  attuazione  di  detti  principi, riconfermato dalle
 decisioni  pressoche'   concordi   della   Corte   costituzionale   e
 dall'a.g.o.  era  anche  il  diritto al godimento di piu' trattamenti
 minimi in caso di titolarita' di piu' pensioni, e la disposizione  di
 cui  al  settimo  comma,  art.  6, della legge n. 638/1983, lasciando
 impregiudicate  le  situazioni  pregresse,  pur  dettando  una  nuova
 regolamentazione  complessiva  e'  stato  dichiarato  legittimo dalla
 Corte costituzionale (sentenza n. 184/1988).
    Ne  discende  che  l'innovazione,  e novazione legislativa portata
 dall'art. 11, ventiduesimo comma, della legge  n.  537/1993  viene  a
 ledere  il  diritto  alla  previdenza,  sottraendo  ai  lavoratori il
 godimento di quegli importi  che  nella  disciplina  precedente  alla
 legge  n.  638/1983  rappresentavano  il  minimo  indispensabile  per
 garantire ad essi mezzi adeguati alle loro esigenze di vita.
    A cio' aggiungasi, sotto il profilo  di  ragionevolezza  correlata
 all'art.  3  della  Costituzione  che viene cosi' ad esser violato lo
 stesso, in quanto l'eliminazione dal sistema di cristallizzazione  e'
 sprovvista allo stato di qualsiasi ragionevole quantificazione.
    Nella  fattispecie  concreta  la  questione di legittimita' appare
 rilevante,  essendo  l'appellato  titolare  di   due   pensioni,   in
 liquidazione  anteriormente  al  d.l.  n.  463/1983,  di cui una non
 integrata al minimo, per cui la norma  di  interpretazione  autentica
 ora   esaminata   e'   sicuramente  applicabile  alla  sua  posizione
 soggettiva, cosi' come dedotta in causa.
    Va, pertanto, disposta la rimessione della questione su  delineata
 alla  Corte  costituzionale,  dandosi corso agli adempimenti previsti
 dall'art. 23 della legge n. 87/1953.