IL TRIBUNALE
   Vista  la  richiesta  di  riesame  ex  art. 324 del c.p.p. proposta
 dall'avv. Giuseppe De Rosa, quale difensore e  nell'interesse  di  De
 Santis  Lina, quale amministratore unico della S.r.l. Mike con sede a
 San Severino Marche ed in proprio, nonche' di Malasisi Antero avverso
 il decreto di sequestro preventivo emesso in data 23  dicembre  1993,
 dal   G.I.P.   presso   il  tribunale  di  Camerino  nell'ambito  del
 procedimento penale n.  392/1993  R.  G.I.P.  a  carico  di  Malasisi
 Antero,  imputato  del  reato  di  cui  all'art. 12-quinquies d.l. 8
 giugno 1992, n. 306 conv. nella legge n. 356/1992;
    Sciogliendo la riserva assunta all'udienza camerale odierna;
                            O S S E R V A:
    L'ipotesi  delittuosa   contestata   a   Malasisi   Antero   (art.
 12-quinques,  comma  2  della  legge  7  agosto  1992,  n.  356  come
 modificato  dall'art.  1  del  d.l.  17  settembre  1993,  n.   369)
 desumibile  "per  relationem"  da  analogo provvedimento di sequestro
 preventivo  del  g.i.p.  in  data  17  dicembre  1993,  si  fonda  su
 meticolose  e approfondite indagini patrimoniali che hanno acclarato,
 con  metodologia  immune  da  vizi  evidenti,  l'esistenza  in   capo
 all'imputato  di disponibilita' patrimoniali "attuali" sproporzionate
 rispetto ai redditi dichiarati e all'attivita' economica  svolta  (il
 Malasisi  e'  un  vigile urbano) senza che ne sia stata dimostrata le
 legittima provenienza (v. le risultanze  dell'elaborato  formato  dal
 c.t. del p.m.). Piu' in particolare il c.t. ha evidenziato come tutte
 le  attivita'  e  i beni apparentemente riconducibili alla De Santis,
 anche nella qualita' di amministratore della societa'  a  r.l.  Mike,
 sono  in  realta'  da  ricondurre nella disponibilita' dell'imputato,
 manifestatosi attraverso il compimento di numerosi atti di gestione.
    Appare quindi concretamente prospettabile la titolarita'  soltanto
 fittizia  di  detti  beni  e  attivita'  (colpiti da provvedimento di
 sequestro preventivo) alla De Santis che, del resto si trova in  eta'
 avanzata ed e' madre dell'imputato (indagato per il reato di usura in
 separato procedimento).
    Il   decreto  di  sequestro  preventivo  impugnato  sottolinea  la
 confiscabilita'  dei  beni  ai  sensi  dell'ultimo  comma   dell'art.
 12-quinquies della legge citata.
    E  tuttavia  opinione  di questo tribunale, in coerenza con quanto
 deliberato in sede di riesame in analogo procedimento, che  la  norma
 in  questione  non  si sottragga a riserve sotto il profilo della sua
 compatibilita' con il dettato costituzionale. Di qui il convincimento
 di  sottoporre  la  fattispecie  incriminatrice  al  giudizio   della
 Consulta, sulla scorta delle considerazioni qui di seguito esposte.
    Questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 12-quinques,
 comma 2 della legge n. 356/1992 e succ. modif.
    La fattispecie di reato in discorso prevede la reclusione da due a
 quattro  anni  nei  confronti  di  soggetti sottoposti a procedimento
 penale in relazione a determinati nomina Juris, ovvero  a  misura  di
 prevenzione  personale, e comunque, a procedimento per l'applicazione
 della citata misura,  che  risultino  titolari,  direttamente  o  per
 interposta  persona,  di disponibilita' (beni, denaro etc.) di valore
 sproporzionato al  proprio  reddito  oppure  alla  propria  attivita'
 economica,  senza  essere  in  grado  di  giustificarne  la legittima
 provenienza.
    L'obiettivo  perseguito  dal  legislatore  e'  quello  di  colpire
 patrimoni   o   attivita'  ritenute  illecite  nella  loro  oggettiva
 attualita'. La formulazione della fattispecie e' inoltre tale da  non
 consentire   l'individuazione  di  un  collegamento  causale  tra  un
 determinato tipo di reato e l'acquisizione di beni.
    Non v'e' cioe' un "vincolo pertinenziale" tra le  possidenze  e  i
 reati per i quali il soggetto subisce il procedimento penale.
    "Il  legislatore, infatti, e' mosso dalla considerazione che molti
 di coloro i quali sono ricompresi nelle categorie soggettive  di  cui
 al secondo comma dell'art. 12-quinques, hanno in parte determinato il
 processo  di  "accumulazione  selvaggia  del  capitale"  fondato  sul
 ricorso ed attivita' criminali ed hanno riciclato parte dei  proventi
 in attivita' lecite di modo che un sequestro e la successiva confisca
 che  colpissero  esclusivamente  quella  parte  di  patrimonio ancora
 direttamente legato al ciclo criminale, non coglierebbero la  vicenda
 nella  sua  interezza  e  non  consentirebbero  di incidere in radice
 sull'innesto  dell'economia  criminale  nell'economia  legale  (cosi'
 tribunale di Bari, ord. del 19 ottobre 1992).
    La  norma,  dunque, si inserisce, con altre di recente produzione,
 nel piu' generale contesto degli strumenti volti  a  fronteggiare  la
 criminalita'   organizzata   e   ad   aggredire   i   proventi  delle
 organizzazioni criminali.
    Non competono,  ovviamente,  in  questa  sede,  valutazioni  sulla
 efficacia  di  questi strumenti legislativi. Va pero' rilevato che la
 norma  di  cui   si   sospetta   l'incostituzionalita'   non   appare
 necessariamente  collegabile  all'area di incriminazione tipica della
 criminalita' organizzata.  Il  caso  sottoposto  a  questo  Tribunale
 costituisce, in tal senso, una significativa conferma.
    Sotto il profilo classificatorio, la norma rientra nella categoria
 di  "reati  di  sospetto".  A  prima  vista parrebbe accostabile alla
 previsione di cui all'art. 708 del  c.p.,  che  si  connota  per  una
 funzione  prevalentemente  repressiva:  dato  il possesso di cose non
 confacenti allo  stato  del  soggetto,  la  pericolosita'  di  questo
 dovrebbe  concretizzare  il  sospetto  che  quelle cose provengano da
 delitti contro il patrimonio o rappresentino il pretium  sceleris  di
 delitti da commettere.
    La notorieta' degli argomenti, con i quali la Corte costituzionale
 -  anche di recente (v. decisione 464/92) - ha negato la esistenza di
 contrasto tra la norma del Codice penale e la Carta fondamentale,  ci
 esime dal riepilogarli.
    Purtuttavia  un  attento  esame  dimostra  come l'affinita' tra la
 disponibilita'  dell'art.  12-quinquies  secondo  comma  e  la  norma
 codicistica risulta soltanto apparente.
    La  norma  dell'art.  12-quinquies  e'  collegata ad una qualifica
 soggettiva "provvisoria", relativa alla "pendenza"  del  procedimento
 penale,  non  cristallizzata  da  un giudicato di condanna. Uno stato
 soggettivo provvisorio, pertanto, suscettibile di  "trasfigurazione",
 il  cui  esito  finale (La sentenza passata in giudicato) e' estraneo
 alla figura di reato in esame.
    Quanto al restante contenuto della previsione  incriminatrice,  e'
 piuttosto  agevole  rilevare che non descrive "una specifica forma di
 offesa al  bene  giuridico":  non  predica,  cioe'  un  "fatto",  una
 "azione"  o  una  "omissione"  ma  enuncia soltanto una "situazione".
 Estremamente  evocativo,  in  proposito,   il   termine   "risultato"
 utilizzato  per  collegare  all'attore  la  disponibilita' di beni in
 misura sproporzionata.
    E' l'intera trama delle attivita' economiche e  professionali  del
 soggetto a costituire il presupposto del fatto reato.
    Di  qui  il  sospetto  di  incostituzionalita' nei confronti della
 norma dell'art. 25, secondo comma  della  Costituzione  che  pone  il
 divieto di pene non collegate ad un "fatto commesso".
    In  un  diritto  penale  volto  alla  tutela di beni giuridici, il
 "fatto" individua specifiche forme di aggressione e di offesa ai beni
 giuridici. La citata disposizione costituzionale  riconosce  siffatta
 funzione  e  la  impone  al legislatore. Di qui l'inammissibilita' di
 incriminazione che sanzionassero esclusivamente  un  modo  di  essere
 dell'attore,  la  mera pericolosita' soggettiva, i suoi atteggiamenti
 interiori.
    Non  appare  allora  manifestamente   infondato   dubitare   della
 legittimita'  costituzionale della fattispecie dell'art.  12-quinques
 secondo comma. E' difficile  -  come  si  e'  detto  -  scorgervi  un
 "agire": non guarda infatti all'uomo "agente", ma all'uomo "ente". La
 pendenza  del  procedimento  penale  per usura (come nel nostro caso)
 costituisce  l'occasione  per   rivisitare   il   lato   patrimoniale
 dell'esistenza  dell'autore,  al  fine di saggiare la congruita' o la
 sperequazione delle sue attuali disponibilita'.
    Il fulcro del "tipo" gravita non gia' sull'oggettiva pericolosita'
 di un fatto, ma sulla mera pericolosita' dell'autore.
    Si  punisce,  in  definitiva,  la  pericolosita'   del   soggetto,
 attraverso  una  fattispecie coniata con lo stampo del diritto penale
 sintomatico e preventivo.
    Questo stato soggettivo non trova peraltro obiettiva consacrazione
 in precedenti  penali  cristallizzati  nel  giudicato.  Viene  invece
 "anticipato"   e   "individuato"   all'interno   di   una  situazione
 processuale ancora "in movimento" che potrebbe persino smentire,  nel
 procedimento  che  la  riguarda,  la  prognosi negativa evocata nella
 norma dell'art.  12-quinques secondo comma.
    Gravi le ripercussioni sulla concreta esercitabilita' del  diritto
 di difesa. (art. 24 della costituzione).
    L'ampiezza    della    previsione    incriminatrice   rischia   di
 compromettere la possibilita' di giustificare la sperequazione tra  i
 beni  a  disposizione  e il reddito dichiarato. Non risulta, infatti,
 agevole fornire una attendibile asserzione di  legittima  provenienza
 dei beni acquisiti, ad es. in epoca remota, specie se i relativi atti
 giuridici  non  prevedevano  il  compimento  di  particolari forme di
 documentazione.
    Ne' l'autore poteva orientare il suo  comportamento  alla  stregua
 della odierna norma sanzionatoria. Questa, fondamentalmente, colpisce
 ogni   pregresse   condotte   di   vita,  rilevanti  sotto  l'aspetto
 patrimoniale,  all'epoca  "svincolate"  da   qualsiasi   disposizione
 orientata a "motivare" il singolo verso un determinato comportamento.
    Non  si  configura,  beninteso,  la  violazione  del  principio di
 irretroattivita' della norma penale di cui al secondo comma dell'art.
 25  della   Costituzione   essendo   ininfluente,   ai   fini   della
 configurazione  del  reato,  l'epoca  di acquisizione delle ricchezze
 sospette, rilevando invece la sola attuale, effettiva disponibilita',
 anche se  iniziata  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge  n.
 356/1992.
    Il   possibile   contrasto  con  l'art.  24  secondo  comma  della
 Costituzione  si  collega,  invece,  proprio  alla  struttura   della
 fattispecie  incriminatrice  che,  sanzionando  -  come  si  e' detto
 poc'anzi  -  una  "situazione"  non  gia'  un  "fatto",  rischia   di
 vanificare obiettivamente l'esercizio del diritto di difesa.
    Appare  cosi' manifestamente infondato evocare un contrasto fra la
 fattispecie incriminatrice dell'art. 12-quinquiens  secondo  comma  e
 l'art. 24, secondo comma della costituzione.
    La  rilevanza delle questioni di legittimita' sin qui descritte e'
 di  intuitiva   evidenza:   l'eventuale   caducazione   della   norma
 determinerebbe  il  venir  meno  del  sequestro  per  inesistenza del
 presupposto normativo sostanziale.