IL TRIBUNALE Riuniti in camera di cosiglio, ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 5373/1991 r.g. vertente tra Puglisi Giuseppe appellante e Falconi Rachele. Ritenuto in fatto ed in diritto: con ricorso del 13 settembre 1990 Falconi Rachele esponeva di essere stata assunta nel novembre 1979, dal rag. Puglisi Giuseppe, commercialista, e di avere lavorato alle sue dipendenze, tranne brevi periodi, fino al 19 luglio 1990 e, ininterrottamente, dal 3 marzo 1987 al 19 luglio 1990, data alla quale era stata licenziata verbalmente e senza preavviso. Il pretore di Giarre, quale giudice del lavoro, definitivamente pronunciando sulle domande proposte, con ricorso del 13 settembre 1990, da Falconi Rachele nei confronti di Puglisi Giuseppe, dichiarava inefficace il licenziamento verbalmente intimato da Puglisi Giuseppe a Falconi Rachele nel mese di luglio del 1990; condannava il convenuto al risarcimento del danno in favore della ricorrente, liquidandolo nella complessiva somma di denaro corrispondente al trattamento economico goduto dalla Falconi al momento del licenziamento e spettantele da tale momento in poi, con rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat ed interessi legali dalla maturazione di ciascun diritto. Avverso tale sentenza proponeva appello il Puglisi, con ricorso del 6 dicembre 1991, per i motivi ivi esposti, rassegnando le seguenti conclusioni: riformare la sentenza del pretore di Giarre n. 110/1991 resa tra le parti nei di' 11 ottobre 1991-25 ottobre 1991 e, per l'effetto, rigettare le domande tutte proposte dalla signorina Falconi Rachele con ricorso del 13 settembre 1990; in linea del tutto subordinata, ritenuta non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' accennata in ricorso, rimettere gli atti alla Corte costituzionale con ordinanza di non manifesta infondatezza, sempre previa sospensione della esequitivita' della impugnata sentenza; con condanna dell'appellata alle spese di entrambi i gradi del giudizio. Falconi Rachele si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto dell'appello e, con appello in via incidentale, la condanna del Puglisi al pagamento delle spese di primo grado; con vittoria delle spese di secondo grado. Il pretore di Catania - Sezione distaccata di Giarre, nella impugnata sentenza, ritenuta la sussistenza di un licenziamento intimato oralmente, lo ha dichiarato inefficace, traendone la conseguenza, in base ai principi generale, che e' dovuto alla lavoratrice licenziata un risarcimento del danno pari all'intero trattamento economico goduto al momento del licenziamento e spettantele da tale momento in poi, oltre la rivalutazione monetaria e gli interessi legali. Il pretore cioe' non ha ritenuto applicabile alla fattispecie la normativa prevista dalla legge 11 maggio 1990, n. 108 che ha modificato l'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, atteso che nella fattispecie trattasi di licenziamento inefficace, in quanto intimato oralmente, mentre la predetta normativa, espressamento, si riferisce al caso del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, per il quale risulti accertata la mancata ricorrenza dei relativi estremi. Si viene cosi' a determinare una situazine per la quale, applicando le vigenti norme, un datore di lavoro con un numero di dipendenti non superiori a 15 (come nel caso in oggetto), o, se imprenditore agricolo con un numero non superiore a 5, qualora incorra nell'errore, per altro esclusivamente formale, di intimare un licenziamento verbale, debba subire delle conseguenze ben piu' gravose di quelle, previste dalla legge per lo stesso tipo di imprenditori, in caso di licenziamento annullato per mancanza di giusta causa o di giustificato motivo. Mentre infatti in quest'ultimo caso, in cui l'errore commesso dal datore di lavoro e' di natura sostanziale e dunque certamente piu' grave, da un punto di vista mo- rale, l'art. 8 della legge n. 604/1966 cosi' come modificato dalla legge n. 108/1990, prevede, quale conseguenza, in alternativa alla riassunzione, (a discrezione del datore di lavoro) il risarcimento del danno commisurato in una indennita' di importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilita' della ultima retribuzione globale di fatto, nel caso del licenziamento dichiarato inefficace le conseguenze sono ben piu' gravi, atteso che consistono, in un risarcimento del danno commisurato secondo i principi generali e, dunque, a tutte le mensilita' spettanti dal licenziamento alla riassunzione, senza alcuna predeterminazione limitativa. Tali conseguenze sono fra l'altro identiche nel caso in cui il licenziamento inefficace sia stato intimato da un datore di lavoro con oltre 15 dipendenti. Dalla superiore esposizione appare ictu oculi, la non manifesta infondatezza della normativa prevista dalla legge n. 108/1990, ed in particolare dell'art. 8 legge n. 604/1966, cosi' come da essa modificato, nella parte in cui non prevede che le conseguenze piu' limitate ivi previste per il licenziamento annullato per mancanza di giusta causa e di giustificato motivo (indennita' predeterminata in un importo compreso tra 2,5 e sei mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto), siano estese anche al caso del licenziamento dichiarato inefficace perche' intimato verbalmente. Gli articoli della costituzione nei cui confronti contrasta la normativa sopra citata sono, ad avviso del Collegio, l'art. 3 e l'art. 44, primo comma ultima parte. Il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 viene infatti certamente infranto da una normativa e che da un lato disciplina in modo irrazionalmente differente casi sostanzialmente analoghi e cioe', in caso di imprese con numero di dipendenti fino a 15, in licenziamento per giusta causa o giustificato motivo per il quale venga accertata la insussistenza dei relativi presupposti e il licenziamento dichiarato inefficace perche' intimato verbalmente (anzi, come gia' sopra evidenziato in questo ultimo caso vi e' solamente la violazione di una formalita' e dunque un comportamento certamente meno grave e moralmente sanzionabile di quello posto in essere nel primo caso). Aggiungasi che la sanzione prevista per il licenziamento orale nella piccola impresa potrebbe addirittura portare a conseguenze piu' gravi di quelle previste per le imprese maggiori, in cui e' assicurata la stabilita' del rapporto di lavoro per il caso di licenziamento illegittimo per mancanza di giusta causa o giustificato motivo. Per altro verso la normativa in questione disciplina in modo identico casi certamente da differenziare, alla luce della particolare tutela affrontata dalla Corte costituzionale alla piccola impresa e cioe' il caso che il licenziamento verbale venga intimato da un piccolo imprenditore, avente alle dipendenze non piu' di 15 dipendenti e quelle in cui sia intimato da un imprenditore con numero superiore di dipendenti. Allorquando, invero, la Carta costituzionale impone alla legge di aiutare la piccola e media proprieta' ed allorquando impone alla stessa di provvedere alla tutela ed allo sviluppo dell'artigianato deve ritenersi operi una complessiva opzione di favore delle piccole entita' produttive e per i piccoli datori di lavoro, quindi, che prescinde dai limiti della allocazione delle specifiche norme costituzionali (art. 44, primo comma, ultima parte ed art. 45, secondo comma), ma dispone un principio generale di tutela della piccola impresa che una normativa come quella in oggetto finisce per frustrare nella misura in cui finisce per sottoporre piccolissime imprese ad un sistema sanzionatorio eguale a quello previsto per ben altre imprese e proprio con riguardo ad eventuali errori formali cui il piccolo imprenditore, meno consapevole del quadro normativo, certamente e' piu' soggetto. La questione di incostituzionalita' sopra evidenziata e' rilevante ai fini della decisione del presente giudizio e pertanto occorre sospendere quest'ultimo in attesa della pronuncia della Corte costituzionale.