ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, terzo comma,
 della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni  contro  la  mafia),
 come  modificato dall'art. 22 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306
 (Modifiche  urgenti  al  nuovo   codice   di   procedura   penale   e
 provvedimenti  di  contrasto  alla criminalita' mafiosa), convertito,
 con modificazioni, in legge 7  agosto  1992,  n.  356,  promosso  con
 ordinanza  emessa  il 15 giugno 1993 dalla Corte di appello di Napoli
 nel  procedimento  di  prevenzione  nei  confronti  di   D'Alessandro
 Michele,  iscritta al n. 610 del registro ordinanze 1993 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  42,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di  consiglio  del  9  marzo  1994  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto  che nel corso di un procedimento di prevenzione in grado
 di appello, attivato su ricorso di persona sottoposta alla misura  di
 prevenzione  della  sorveglianza  speciale  di pubblica sicurezza con
 obbligo  di  soggiorno,  avverso  il  provvedimento  del   tribunale,
 sostitutivo  del luogo di soggiorno obbligato (da quello di residenza
 ad altro indicato dal questore), adottato in forza dell'art. 2, comma
 2, della legge 31 maggio 1965, n. 575 come  modificato  dall'art.  22
 del   decreto-legge   8   giugno   1992,   n.  306,  convertito,  con
 modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, la Corte di appello
 di Napoli ha sollevato  con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,  in
 riferimento  agli articoli 3 e 24, secondo comma, della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale del comma 3  del  richiamato
 art. 2 della legge n. 575 del 1965: norma, questa, che stabilisce che
 "sulla  richiesta  di  cui  al  comma  2  (di  modifica  del luogo di
 soggiorno  obbligato  su  impulso  del  questore  o  del  procuratore
 nazionale  antimafia  o del procuratore della Repubblica, in presenza
 di   eccezionali   esigenze   di   tutela   sociale   o   di   tutela
 dell'incolumita'  della persona interessata) .. il tribunale provvede
 entro dieci giorni ..";
      che, nel sollevare la questione, il giudice a  quo  rileva  che,
 nel  caso  concreto, il provvedimento modificativo della localita' di
 soggiorno obbligato e' stato adottato dal tribunale con procedura  de
 plano, senza contraddittorio tra le parti ne' avvisi o altre garanzie
 difensive,  ed  osserva  che  detta  modalita' procedimentale risulta
 conforme al dettato della norma impugnata, alla  luce  della  estrema
 brevita'   del   termine  ivi  previsto  -  tale  da  non  consentire
 l'esperimento delle forme ordinariamente stabilite in questa  materia
 -  nonche'  del  mancato  richiamo  della  disciplina del processo di
 prevenzione;
      che questa modalita' del procedimento, prescritta  dalla  legge,
 si  porrebbe  in contrasto sia con il diritto di difesa, risultandone
 in tal modo sottratto all'interessato un intero grado di  giudizio  a
 fronte di un provvedimento avente contenuto limitativo della liberta'
 personale,   sia   con   il   principio   di   eguaglianza,  data  la
 diversificazione ingiustificata che si viene a creare  tra  l'ipotesi
 in  esame  -  fondata  su  una  proposta  modificativa  in  corso  di
 esecuzione della misura - e quella  di  individuazione  "eccezionale"
 del luogo di soggiorno, in deroga alla regola del luogo di residenza,
 contestuale  alla  proposta  di applicazione della misura preventiva,
 risultando rispettate solo in  quest'ultima  evenienza  le  ordinarie
 garanzie  di  contraddittorio  e  difesa;  ne'  potrebbe addivenirsi,
 secondo il rimettente, ad una interpretazione della norma conforme  a
 Costituzione,  stante  l'impossibilita' di innestare le scansioni del
 processo in tema di misure di sicurezza (cui fa rinvio formale l'art.
 4 della legge n.  1423  del  1956  che  regola  in  via  generale  il
 procedimento  di prevenzione personale) sul ridotto termine stabilito
 dalla norma sottoposta a scrutinio;
      che e' intervenuto in giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, che ha rilevato la sopravvenienza della nuova normativa recata
 dalla legge n. 256  del  1993,  concludendo  per  la  necessita'  del
 riesame   della  rilevanza  della  questione  da  parte  della  corte
 rimettente.
    Considerato  che, successivamente alla pronuncia dell'ordinanza di
 rinvio, e' entrata  in  vigore  la  legge  24  luglio  1993,  n.  256
 (Modifica  dell'istituto  del  soggiorno obbligato e dell'articolo 2-
 ter della legge  31  maggio  1965,  n.  575),  che  ha  profondamente
 innovato la disciplina in tema di soggiorno obbligato, rappresentando
 il  punto  di  arrivo di uno sviluppo legislativo via via mirato alla
 riconduzione - al fine esclusiva -  del  luogo  di  applicazione  del
 soggiorno  obbligato  a  quello  di residenza (o dimora abituale) del
 soggetto proposto, in una prospettiva di disfavore per le  deviazioni
 da  tale  regola in quanto suscettibili di conseguenze distorsive - i
 fenomeni  di  "esportazione"  sul  territorio  della  presenza  della
 criminalita'  organizzata  -  rispetto  agli obiettivi di prevenzione
 sottesi alla legislazione in argomento;
      che, in particolare, l'art. 1, comma 2, della  citata  legge  n.
 256  del  1993  ha  espressamente  abrogato i commi 2 e 3 dell'art. 2
 della legge n. 575 del 1965; mentre per le situazioni di applicazione
 della misura dell'obbligo di soggiorno in luogo diverso da quello  di
 residenza  o  dimora  abituale,  in  atto all'entrata in vigore della
 legge medesima, l'art. 2 detta regole di mutamento ex lege  di  detta
 individuazione,  prescindendo  dalla  mediazione  applicativa  di  un
 provvedimento  giurisdizionale,  in  modo  da  pervenire  proprio  al
 risultato  che  costituisce  l'oggetto  dell'impugnativa proposta nel
 giudizio principale;
      che, di  conseguenza,  gli  atti  devono  essere  restituiti  al
 giudice  a  quo  perche'  valuti  se,  alla stregua del mutato quadro
 normativo, la questione sollevata sia tuttora rilevante;