IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Vista l'istanza di espulsione dallo Stato presentata il 10 ottobre
 1993  da  Ahmed Safar Mohammed alias Haddad Emile nato a Beirut il 25
 luglio 1957, detenuto presso la C.R. di Viterbo e il parere del p.m.,
 che ha chiesto la rimessione degli atti alla Corte costituzionale;
                             O S S E R V A
    Il Ahmed Safar Mohammed e' stato condannato alla pena di anni  sei
 di  reclusione  e  di  L.  40.000.000 di multa con sentenza di questo
 g.i.p. 13 maggio 1991 confermata con sentenza 5 febbraio  1992  della
 corte di appello di Roma, irrevocabile il 24 marzo 1992.
    Il  Ahmed  Safar  Mohammed  si  trova  nelle  condizioni  previste
 dall'art. 7, comma 12-bis e ter della legge 28 febbraio 1990, n.  39,
 come  modificata  dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, per ottenere la
 richiesta  espulsione  dallo   Stato:   risulta   infatti   cittadino
 straniero,   condannato  con  sentenza  passata  in  giudicato,  deve
 scontare una pena residua inferiore a  tre  anni  di  reclusione,  e'
 infatti  detenuto dal 3 ottobre 1990, e' in possesso di passaporto n.
 489810 della Repubblica libanese  valido  per  l'espatrio  e  non  si
 ravvisa alcuna delle ragioni impeditive previste dalla legge.
    E'    rilevante,    pertanto,   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale della norma dell'art. 7, comma  12-bis  del  d.l.  30
 dicembre  1989,  n. 416 (convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 39)
 come  aggiunto  dall'art.  8  del  d.l.  14  giugno  1993,  n.   187
 (convertito  in  legge 12 agosto 1993, n. 296), per contrasto con gli
 artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui la predetta norma
 consente l'espulsione per  gli  stranieri  "condannati  con  sentenza
 passata  in  giudicato  ad  una  pena che, anche se costituente parte
 residua  di  maggiore  pena,  non  sia  superiore  a  tre   anni   di
 reclusione".  La  questione,  sollevata  dal  p.m.  per contrasto con
 l'art. 3 e dal g.i.p., d'ufficio, per contrasto con l'art.  27  della
 Costituzione, non appare manifestamente infondata.
    Quanto al contrario con il principio di uguaglianza, si rileva che
 la   norma   in  questione  prevede  soltanto  per  lo  straniero  la
 possibilita' di sottrarsi all'esecuzione  della  pena  (totalmente  o
 parzialmente) chiedendo e ottenendo l'espulsione.
    La  valenza  del  principio  di  uguaglianza  nei  confronti dello
 straniero - piu'  volte  affermata  dalla  Corte  costituzionale  con
 riferimento ai diritti fondamentali (sentenze nn. 120/1967, 104/1969,
 14/1979,  47/1977,  215/1983  e  490/1988)  -  non  puo'  non  essere
 riconosciuta anche in relazione alle  posizioni  giuridiche  passive,
 quali  la  restrizione della liberta' personale a seguito di sentenze
 penali definitive di condanna.
    Cio' premesso, non sembra che  il  trattamento  differenziato  tra
 cittadini e stranieri sia ispirato alla ragionevolezza.
    Non  si  ravvisano  giustificazioni  logiche  alla  disparita'  di
 trattamento  tra  cittadino  e  straniero,  tanto  piu'  evidente   e
 ingiustificata  qualora  i  due  soggetti fossero correi nello stesso
 reato e condannati alla medesima pena.
    Non  sembra,  in  particolare,   potersi   ritenere   conforme   a
 ragionevolezza  il  fatto  che  il legislatore per un lato aggrava il
 trattamento per lo straniero - imponendo che sia espulso,  una  volta
 espiata  la  pena  (artt. 211 del c.p. e 86 del d.P.R. n. 309/1990) -
 per l'altro lo attenuta,  consentendo  l'espulsione  in  sostituzione
 dell'espiazione della pena.
    Quanto  al  contrasto  con l'art. 27 della Costituzione, si rileva
 che la norma  in  questione  impedisce  (totalmente  o  parzialmente)
 l'attuazione  della  finalita'  rieducativa  del  condannato  che  si
 effettua con il trattamento penitenziario.
    Se, poi, si riconosce ancora alla pena una  natura  polifunzionale
 (Corte  costituzionale  nn.  12/1966,  22/1971,  179/1973 e 264/1974)
 cosi' da ritenerla diretta  anche  alla  dissuasione,  prevenzione  e
 difesa  sociale (Corte costituzionale nn. 264/1974; 107/1980), non si
 puo' rilevare che la norma  in  esame  impedisce  l'attuazione  delle
 predette  finalita',  garantendo  allo  straniero  una  previsione di
 impunita' di fatto (totale o parziale) e consentendo conseguentemente
 alle organizzazioni criminali di introdurre stranieri nel  territorio
 nazionale al solo scopo di utilizzarli per l'esecuzione di reati.