IL PRETORE Letti gli atti del precesso penale n. 2371/1993 reg. gen nei confronti di Ferrari Claudio, nato l'8 novembre 1958 a Casalgrande, ivi residente via Giorgione n. 17 imputato come in atti ha pronunciato la seguente ordinanza. F A T T O L'imputato e' stato tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 25, primo comma, del d.P.R. n. 915/1982 perche', nella sua qualita' di legale rappresentante della soc. coop. a r.l. "Gheo" con sede in Reggio Emilia effettuava lo smaltimento di rifiuti speciali prodotti da terzi (frantumazione di materiale litoide) senza l'autorizzazione di cui all'art. 6, lett. a), del predetto d.P.R. Acc. in R.E. 17 luglio 1992. Dalla istruttoria dibattimentale (v. documentazione fotografica e, soprattutto, dichiarazioni degli agenti accertatori Gazzini e Garatti) e' emerso che il materiale in questione deve definirsi come "materiale inerte di tipo lapideo". La difesa ha pertanto chiesto - tra l'altro - l'assoluzione dell'imputato perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato in quanto il predetto materiale deve farsi rientrare nella categoria delle cd. materie prime secondarie piu' esattamente nella categoria di cui al n. 6 allegato I d.m. 26 gennaio 1990. La legge regionale Emilia Romagna 18 aprile 1992, n. 21 - premesso all'art. 1 che "con la presente legge la regione Emilia Romagna a norma dell'art. 2, sesto comma, della legge 9 novembre 1988, n. 475, disciplina le modalita' per il controllo della utilizzazione delle materie prime secondarie nonche' per il trasporto, lo stoccaggio ed il trattamento delle stesse, determina altresi' le condizioni e le modalita' per l'esclusione delle materie prime secondarie dell'ambiente di applicazione del normativa in tema di smaltimento dei rifiuti - aggiunge - all'art. 39 che " .. sono escluse dall'applicazionedella normativa sullo smaltimento dei rifiuti le attivita' di stoccaggio intermedio, trasporto, trattamento ed utilizzazione dei residui dei materiali di cui agli artt. 3 e 14 del decreto Ministro dell'ambiente 26 gennaio 1990, svolte da soggetti che abbiano adempiuto a tutte le prescrizioni previste dagli artt. 4 e 5 della presente legge". Piu' esattamente - per i fini che interessano il presente processo - poiche' il materiale in questione rientra nelle m.p.s. di cui all'art. 3, lett. a), del precitato d.m. 26 gennaio 1990, l'adempimento richiesto dalla normativa regionale e' rappresentata dall'invio alla provincia di una dichiarazione sulla attivita' da svolgere, con una serie di specifiche indicazioni (v. espressamente art. 4, primo comma, della legge regionale Emilia-Romagna n. 21/1992). Tale adempimento risulta essere stato eseguito da parte della societa' di cui l'imputato e' legale rappresentate (v. lettera Gheo datata 30 giugno 1992 pervenuta in data 6 luglio 1992). Questione di legittimita' costituzionale sollevata d'ufficio. Si prospetta l'illegittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 25, secondo comma, e 117 della Costituzione della Repubblica, dell'art. 2, sesto comma, d.l. 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, nella legge 9 novembre 1988, n. 475, nonche' degli artt. 1, 3 e 4 della legge regionale Emilia-Romagna 18 aprile 1992, n. 21. Non manifesta infondatezza della questione. E' principio consolidato quello secondo il quale le cd. m.p.s. non rappresentano assolutamente una categoria autonoma ed alternativa a quella dei rifiuti veri e propri costituendo, viceversa, solo una specie, sia pure particolare, di tale piu' ampia categoria generale, perche' si tratta pur sempre di sostanze di cui il detentore si disfa e ha l'intenzione di disfarsi (v. tra le numerose altre Cass., sez. unica, sent. n. 5/1992 imp. Viezzoli) con i riferimenti giurisprudenziali ivi contenuti. Il testo letterale del precitato art. 2, d.l. n. 397/1988 conv. con legge n. 475/1988 consente inoltre di condividere l'affermazione della piu' autorevole dottrina, sostanzialmente fatta propria nella motivazione della sopra ricordata sentenza delle ss.uu. della Corte di cassazione, secondo la quale perche' un rifiuto suscettibile di riutilizzazione economica nello stesso processo produttivo che lo ha generato o in altri processi produttivi possa essere escluso dalla disciplina dettata per i rifiuti veri e propri (e quindi anche dalle sanzioni penali ivi previste) e' necessario: a) che venga incluso in un apposito decreto governativo di individuazione (v. secondo comma art. 2 prec.). b) che il Governo emani indirizzi generali per le attivita' connnesse alla utilizzazione delle m.p.s. (v. quarto comma art. 2 prec.); c) che il Governo (v. quinto comma art. 2 prec.) determini norme tecniche generali per queste attivita'; d) che la regione, in conformita' a questi indirizzi ed a queste norme tecniche, emani apposita disciplina determinando altresi' le condizioni e le modalita' per l'esclusione delle m.p.s. dall'ambito di applicazione della normativa in tema di smaltimento dei rifiuti (v. sesto comma art. 2 prec.). Pertanto solo a conclusione di tale a dir il vero assai complicato iter, puo' affermarsi la non applicabilita' in concreto della normativa sui rifiuti alle m.p.s. Allo stato tale iter non puo' certo dirsi portato a termine non avendo lo Stato provveduto all'adempimento sopra indicato alla lett. b). Con il d.m. 26 gennaio 1990, il Governo si e' limitato ad individuare le m.p.s. ed ha determinato le norme tecniche generali relative alle attivita' connesse alla utilizzazione di tali materie, cioe' ha dettato le norme indicate in precedenza sotto le lett. a) e c). E' notorio che tale d.m. e' stato annullato in buona parte dalla sentenza n. 512 del 30 ottobre 1990 della Corte costituzionale, con la ulteriore conseguenza pratica che (v. espressamente motivazione di tale sentenza) in mancanza degli adempimenti e dei controlli previste dalle norme del precitato d.m. dichiarato incostituzionale e pertanto annullate (v. in particolare artt. 7, 8, 9, 10, 11 e 12) la individuazione specifica e concreta della m.p.s. non puo' neppure essere adempiuta con un grado di certezza appagante e tale da evitare fin troppo facili e prevedibili elusioni del dettato normativo e della sua ratio ispiratrice. Se questo e' - in estrema sintesi - il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, pare possa concordarsi con la piu' volte citata sentenza n. 5/1992 della ss.uu. Corte costituzionale nel punto in cui afferma - in buona sostanza - che l'art. 2, sesto comma, della legge n. 475/1988 appare essere costituzionalmente illeggittimo in quanto consente alle regioni di togliere rilevanza penale a certi comportamenti in materia di smaltimento dei rifiuti di cui le m.p.s. costituiscono una semplice "specie" sanzionati penalmente ai sensi della normativa statale di cui al d.P.R. n. 915/1982 con conseguente contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione che enuncia il principio della tassativita' della legge dello Stato come fonte esclusiva di previsione (e correlativamente di abrogazione) delle norme incriminatrici. Inoltre l'art. 2, sesto comma, prec. legge - con l'attribuire alle singole regioni il potere di determinare altresi' le condizioni e le modalita' per l'esclusione delle m.p.s. dall'ambito di applicazione della normativa in tema di smaltimento dei rifiuti - finisce con il determinare in concreto "la possibilita' che le varie regioni legiferano in modo diverso, con effetti evidentemente diversi sulla rilevanza penale di uno stesso compartamento" (v. sent. n. 5/1992 ss.uu. Corte di cassazione). Si puo' quindi ipotizzare, di conseguenza, il denunciato contrasto dell'art. 2, sesto comma, piu' volte citato con l'art. 3 della Costituzione che enuncia il principio fondamentale di eguaglianza di tutti i cittadini (indipendentemente, quindi, da ogni appartenenza regionale) davanti alla legge non potendosi ritenere lecita la possibilita' che un medesimo comportamento sia considerato reato oppure no a seconda della esistenza/inesistenza di una iniziativa legislativa regionale al riguardo. La legge regionale Emilia-Romagna n. 21/1992 ha, poi, legiferato nella presente materia pur nella sostanziale mancanza sia degli indirizzi generali di cui al quarto comma art. 2, legge n. 475/1988 (perche' mai emanati) sia dalle norme tecniche generali di cui al quinto comma di tale articolo (alla luce della dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.m. 26 gennaio 1990 di cui alla sent. n. 512/1990 Corte costituzionale) non potendo cosi' dare piena attuazione a quanto disposto dal sesto comma del precedente articolo che impone, appunto, alle regioni di intervenire "in conformita' agli indirizzi cd. alle norme tecniche di cui ai commi precedenti". In altri termini (v. espressamente cass. pen., sez. terza, 4 febbraio 1992, imp. Puppo in cass. pen. 1993, p. 1211-1212, n. 759) in mancanza sia dei predetti atti di indirizzo sia delle predette norme tecniche, la legge regionale non puo' svolgere il ruolo di attuazione ed integrazione che - espressamente - le e' assegnato dall'art. 2, sesto comma, della legge n. 475/1988, rischiando cosi' di creare regimi giuridici differenziati sul territorio finendo con il rendere praticamente inoperanti le norme incriminatrici di cui al d.P.R. n. 915/1982. Viceversa, la regione Emilia-Romagna ha ugualmente disciplinato la materia oggetto del presente giudizio, pur in mancanza della normativa statale di cui sopra, potendosi cosi' ipotizzare un ulteriore profilo di incostituzionalita' di tale normativa atteso che, da un lato, manca la precisa e specifica cornice definita dalla stessa legge statale per l'esplicazione del potere legislativo regionale ed atteso, dall'altro lato, che la materia non esame non appare rientrare tra quelle costituzionalmente riservate alla legislazione regionale (cfr. art. 117, primo e secondo comma, della Costituzione). RILEVANZA DELLA QUESTIONE Non pare si possano spendere eccessivi commenti per affermare che il presente giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla questione di legittimita' costituzionale. Dalla esperita istruttoria, infatti, e' emerso che il materiale di cui al capo di imputazione - definibile come "materiale inerte di natura lapidea" deve essere qualificato come m.p.s. ai sensi dell'art. 3, lett. a), del d.m. 26 gennaio 1990 con riferimento al n. 6 di cui all'allegato I di tale decreto. E' stato, poi, rispettato l'adempimento richiesto al riguardo dall'art. 4, primo comma, della legge regionale Emilia-Romagna n. 21/1992 (v. comunicazione sec. Gheo datata 30 giugno 1992). Ne consegue che - ai sensi dell'art. 3 della precitata legge regionale - l'attivita' posta in essere all'imputato e' esclusa dall'applicazione della normativa sullo smaltimento dei rifiuti donde la sostanziale irrilevanza penale del fatto accertato, sulla base delle precitate norme che si denunciano come sospette di incostituzionalita'. Ne' la rilevanza della presente questione di legittimita' costituzionale puo' essere esclusa dalla ipotezzabile mancanza dell'elemento psicologico del reato in applicazione dei principi elaborati in tema di buona fede nelle contravvenzioni e dei principi di cui alla sent. Corte costituzionale n. 364/1989. Si deve, infatti, affermare che una ipotizzabile assoluzione per siffatto motivo postula comunque la necessita' di prevedere come reato ai sensi del d.P.R. n. 915/1982 la condotta di cui e' processo, circostanza che allo stato pare essere esclusa dalla vigenza della predetta normativa. Ne' certo appare possibile procedere alla semplice disapplicazione della predetta normativa regionale come se fosse un semplice atto amministrativo (v. Corte costituzionale n. 285/1990).