ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio promosso con ricorso della Provincia autonoma di Trento
 notificato il 18 dicembre  1993,  depositato  in  Cancelleria  il  29
 successivo,  per  conflitto  di  attribuzione  sorto  a seguito della
 deliberazione del Comitato Interministeriale  per  la  Programmazione
 Economica del 13 luglio 1993, recante: "Ripartizione dei fondi recati
 per  il  1993  per  l'attuazione della legge 29 gennaio 1992, n. 113,
 relativa all'obbligo per i Comuni di residenza di porre a  dimora  un
 albero  per ogni neonato" ed iscritto al n. 42 del registro conflitti
 1993;
    Visto l'atto di costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 22 marzo 1994 il Giudice relatore
 Cesare Ruperto;
    Uditi l'avv. Valerio Onida per la Provincia autonoma di  Trento  e
 l'Avvocato  dello  Stato  Pier  Giorgio  Ferri  per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ricorso notificato  il  18  dicembre  1993  la  provincia
 autonoma   di  Trento  ha  proposto  conflitto  di  attribuzioni  nei
 confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione alla
 deliberazione del Comitato Interministeriale  per  la  Programmazione
 Economica   (C.I.P.E.),  datata  13  luglio  1993  (pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  n.  249  del  22   ottobre   1993)   e   recante
 "Ripartizione  dei  fondi  recati  per il 1993 per l'attuazione della
 legge  29  gennaio 1992, n. 113, relativa all'obbligo per i Comuni di
 residenza di porre a dimora un albero per ogni neonato".
    La ricorrente Provincia autonoma, dopo aver affermato  la  propria
 potesta'  legislativa  esclusiva in materia di foreste, espone che la
 legge 29 gennaio 1992, n. 113, ha stabilito l'obbligo per i Comuni di
 porre a dimora un albero nel territorio comunale  entro  dodici  mesi
 dalla  registrazione anagrafica di ogni neonato residente. A riguardo
 la legge autorizza la spesa di  cinque  miliardi  stabilendo  che  le
 modalita'  di  ripartizione  tra le Regioni e le Province autonome di
 Trento  e  Bolzano  siano  determinate  dal  C.I.P.E.,   sentita   la
 Conferenza   permanente.   Viceversa  il  C.I.P.E.,  con  l'impugnata
 deliberazione, ha ripartito per il 1993 la somma  di  cui  sopra  tra
 tutte  le  Regioni (autonome e a statuto ordinario) ma ha escluso del
 tutto la sola  regione  del  Trentino  Alto  Adige,  pur  recando  in
 allegato  una  tabella  definita  "di  riparto  tra  le  Regioni e le
 Province autonome per l'anno 1993".
    A parere della  ricorrente,  la  ragione  di  tale  esclusione  va
 ricercata  in  una  errata  interpretazione dell'art. 4, comma 3, del
 decreto  legislativo  16  marzo  1992,  n.  266,  recante  norme   di
 attuazione dello statuto speciale, a mente del quale nelle materie di
 competenza  regionale  o  provinciale  le amministrazioni statali non
 possono disporre spese, ne' concedere, direttamente o indirettamente,
 finanziamenti o contributi per attivita' nell'ambito  del  territorio
 regionale  o  provinciale.  La  ratio  della norma va individuata nei
 limiti che essa pone all'attivita'  amministrativa  dello  Stato.  In
 particolare cio' che si vuole precludere sarebbe l'attivita' di spesa
 diretta  dello  Stato  nella  Regione,  cioe' erogazioni a carico del
 bilancio dello Stato a favore di imprese, famiglie  o  enti  pubblici
 sub-provinciali.  Resterebbe  invece  fermo  il  finanziamento  delle
 attivita' amministrative  delle  Province,  secondo  quanto  previsto
 dallo  statuto speciale. In sostanza con l'art. 4 si sarebbe soltanto
 inteso garantire le Province da possibili invasioni del  loro  ambito
 di  competenze  da  parte dello Stato a mezzo d'interventi diretti di
 spesa, non gia' precludere il  finanziamento  delle  Province  stesse
 mediante trasferimento dal bilancio dello Stato.
    Anche  il  riferimento  all'"ambito  territoriale"  contenuto  nel
 citato art. 4 renderebbe palese che  ci  si  riferisce  non  gia'  al
 riparto  di  somme tra Regioni, bensi' alla destinazione finale delle
 somme dirette a finanziare determinate attivita' onde  evitare  spese
 statali  dirette  che "saltino" le Province restando estranee al loro
 bilancio.
    2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,   concludendo   per   l'inammissibilita'   o   comunque    per
 l'infondatezza del ricorso.
    Preliminarmente  rileva  l'Avvocatura  generale che il ricorso non
 potrebbe comportare una contestazione  sulla  competenza  dell'organo
 statale,   o   comunque  configurare  una  lesione  delle  competenze
 provinciali.
    Nel merito, essa deduce che la lettura data dal C.I.P.E.  all'art.
 4  del  decreto legislativo n. 266 del 1992 e' del tutto corretta, in
 quanto la norma intende escludere ogni forma di interferenza  statale
 nelle  materie  (come  quella  forestale) di competenza propria delle
 Province autonome, vietando categoricamente  che  le  amministrazioni
 statali  possano  disporre  spese  ovvero  concedere  (direttamente o
 indirettamente) finanziamenti o contributi.
    3. - Nell'imminenza dell'udienza la Provincia autonoma  di  Trento
 ha  depositato  una  memoria,  preliminarmente  sottolineando  che il
 conflitto concerne un'ipotesi di cattivo uso di un  potere  da  parte
 del  C.I.P.E.  (e  non  la contestazione circa la titolarita' di tale
 potere), a seguito del quale si  e'  determinata  una  lesione  della
 sfera di attribuzioni della ricorrente.
    Nel  merito  la  difesa  della  Provincia  ribadisce  che il senso
 dell'art. 4, comma 3, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n.  266,
 sta  nel  precludere  esclusivamente  le  attivita' amministrative di
 spesa diretta nella  Regione  da  parte  dello  Stato,  non  gia'  il
 finanziamento   delle  attivita'  stesse  se  svolte  dalle  Province
 autonome. Nella specie l'erogazione del contributo  per  la  messa  a
 dimora  delle  piante  risponderebbe  esattamente  alla  ratio legis,
 ponendo  la  Provincia  nelle  condizioni  per  adempiere  ai  propri
 compiti.  Di  talche'  l'"ingerenza  statale"  consisterebbe  proprio
 nell'immotivata esclusione del finanziamento.
                         Considerato in diritto
    1. - La Provincia autonoma di Trento si duole che la deliberazione
 del Comitato interministeriale per la programmazione economica del 13
 luglio 1993 non l'abbia inclusa tra i destinatari del  riparto  delle
 somme  stanziate per l'attuazione della legge 29 gennaio 1992, n. 113
 (concernente l'obbligo, per i comuni di residenza, di porre a  dimora
 un albero per ogni neonato).
    2. - L'Avvocatura generale dello Stato ha preliminarmente eccepito
 l'inammissibilita'  del  ricorso, sull'argomento che manca in esso la
 contestazione della competenza dell'organo statale ad emettere l'atto
 oggetto del proposto conflitto.
    In realta' la ricorrente ha dedotto  che,  con  l'atto  impugnato,
 essa e' stata esclusa da un finanziamento cui assume d'aver diritto e
 che  in  tal  modo,  attraverso  un cattivo uso del potere statale in
 ordine a quanto previsto dalle legge, e' stato  menomato  l'esercizio
 della  sua  sfera di attribuzioni in materia forestale. Il ricorso e'
 volto appunto ad ottenere che la Provincia  autonoma  di  Trento  sia
 posta  in  grado  di  svolgere pienamente una sua attivita' (peraltro
 impostale dalla stessa legge).
    Pertanto, l'eccezione risulta  priva  di  fondamento,  poiche'  e'
 ormai  pacifico  che  vi e' materia di conflitto, non solo in caso di
 vindicatio potestatis, ma anche quando l'asserito cattivo uso  di  un
 potere  da  parte  dell'organo  o dell'ente titolare della competenza
 determini la menomazione della sfera di altro organo o ente.
    3. - Nel merito la doglianza e' fondata.
    La legge n. 113 del 1992 dispone l'obbligo dei Comuni di mettere a
 dimora un albero nel loro territorio per ogni neonato residente,  nei
 dodici  mesi  dalla  registrazione anagrafica; e a tal fine autorizza
 una spesa di cinque miliardi di lire. "Le modalita'  di  ripartizione
 della  predetta  somma - precisa l'art. 4, comma 1 - tra le regioni e
 le province autonome di Trento e di  Bolzano,  sono  determinate  dal
 Comitato interministeriale per la programmazione economica".
    La  deliberazione  da quest'ultimo assunta in data 13 luglio 1993,
 impugnata   dalla   ricorrente,   prevede   una   distribuzione   del
 finanziamento che, pur recando l'intestazione "tabella di riparto dei
 fondi  tra  le  Regioni  e  le  Province  autonome", non contempla le
 province stesse tra i destinatari dei singoli importi.
    Dalle  premesse dell'atto si evince che la ragione dell'esclusione
 risiede nella norma dell'art. 4, comma 3, del decreto legislativo  16
 marzo  1992, n. 266. La soluzione del conflitto, dunque, deve muovere
 dall'individuazione della portata di tale disposizione, la  quale  e'
 contenuta  nel  provvedimento  di  attuazione  dello statuto speciale
 concernente  il  rapporto  tra  atti  legislativi  statali  e   leggi
 regionali  e  provinciali  nonche' la potesta' statale di indirizzo e
 coordinamento (mentre - giova notare - alle norme  di  attuazione  in
 materia   di  finanza  regionale  e  provinciale  e'  dedicato  altro
 provvedimento legislativo, di pari data, recante il numero 268).
    Ebbene, secondo la norma de qua, "fermo restando  quanto  disposto
 dallo  statuto  speciale  e dalle relative norme di attuazione" nelle
 materie  di  competenza  propria  della  regione  o  delle   province
 autonome, "le amministrazioni statali, comprese quelle autonome e gli
 enti   dipendenti   dallo  Stato,  non  possono  disporre  spese  ne'
 concedere, direttamente o indirettamente, finanziamenti o  contributi
 per attivita' nell'ambito del territorio regionale o provinciale".
    La  collocazione  del  divieto - nel corpo di una norma intitolata
 "funzioni amministrative" e nell'ambito di un provvedimento  volto  a
 disciplinare  il  rapporto tra due sfere di potesta' legislativa - e'
 il primo elemento che induce a limitare il senso  della  preclusione.
 Questa  e'  volta  a  garantire  l'ente locale da possibili invasioni
 della sua sfera di competenza a mezzo d'interventi diretti di  spesa,
 non  certo  a precludere il finanziamento di attivita' amministrative
 dell'ente stesso, massime quando - come nella specie  -  queste  sono
 imposte  dalla  legge  statale  insieme con lo stanziamento dei fondi
 necessari.
    La ratio della previsione  sta,  in  sostanza,  nel  ripartire  la
 misura  dell'amministrazione  nel  senso di destinare i finanziamenti
 esclusivamente a chi ha il compito di gestirli, cosi' da evitare  fra
 l'altro  il  verificarsi  di soppressioni o di duplicazioni in favore
 dei medesimi soggetti  per  attivita'  che  siano  contemporaneamente
 disciplinate  dalle  regioni  o  dalle province autonome in quanto si
 svolgono nel loro territorio.
    Del resto questa Corte, proprio  in  un  caso  di  sovrapposizione
 delle agevolazioni economiche dirette (disposte dalla legge in favore
 di  imprese  gia'  beneficiarie  di incentivi erogati dalla provincia
 autonoma) ha chiarito come l'entrata in vigore del citato art. 4  non
 avrebbe  de  futuro  piu'  consentito  "i finanziamenti diretti nelle
 materie di competenza propria delle province" (sentenza  n.  382  del
 1992).
    La  Corte, inoltre, ha in piu' occasioni sottolineato il carattere
 di norma di attuazione rivestito dall'art. 5 della legge 30  novembre
 1989,  n.  386, nel senso della sua immodificabilita' al di fuori del
 meccanismo dell'accordo Stato-Province autonome  ex  art.  104  dello
 statuto  speciale  (sentenza  n.  366  del 1992 e sentenza n. 123 del
 1992). Ebbene, per effetto di tale norma, "i finanziamenti recati  da
 qualunque altra disposizione di legge statale, in cui sia previsto il
 riparto  o  l'utilizzo  a  favore  delle regioni, sono assegnati alle
 province autonome ed affluiscono al bilancio delle stesse per  essere
 utilizzati,    secondo   normative   provinciali,   nell'ambito   del
 corrispondente settore  ..".  A  sua  volta  l'art.  12  del  decreto
 legislativo  16  marzo  1992,  n.  268  (che  - ripetesi - e' la sede
 propria della  normativa  concernente  la  finanza  provinciale),  si
 raccorda  direttamente  al  citato art. 5 stabilendo che le procedure
 descritte  "si  applicano  con   riferimento   alle   leggi   statali
 d'intervento  ivi previste, anche se le stesse non sono espressamente
 richiamate".
    Piu' in generale, e' da rilevarsi come l'art. 4, comma 3, in esame
 non faccia che ribadire per  la  Regione  Trentino-Alto  Adige  e  le
 Province  autonome,  una  garanzia  di  autonomia amministrativa gia'
 vivente nell'ordinamento. Il decreto legislativo 24 luglio  1977,  n.
 616, proprio al fine di impedire interventi diretti dello Stato nelle
 materie  trasferite  alle Regioni a statuto ordinario recita all'art.
 126, terzo comma: "E' vietato conservare  o  istituire  nel  bilancio
 dello  Stato  capitoli  con  le  stesse  denominazioni e finalita' di
 quelli soppressi, e comunque relativi a spese concernenti le funzioni
 trasferite.".
    E' quindi evidente: a) che il sistema  complessivo  della  finanza
 derivata  resta rafforzato dalla nuova normativa, la quale prevede il
 riparto delle somme in favore delle province; b) che tale riparto non
 puo' essere escluso sulla base di un erroneo richiamo al citato  art.
 4,  comma  3, il quale contiene una norma di garanzia delle regioni e
 delle province e di razionalizzazione  della  spesa,  finalizzata  ad
 escludere   il  frazionamento  della  stessa  in  favore  di  singoli
 destinatari (naturalmente  allorche'  essi  operino  entro  un  certo
 ambito  territoriale)  ed  il  conseguente  pregiudizio  che  da cio'
 deriverebbe ad una corretta amministrazione.