IL GIUDICE ISTRUTTORE Nella causa civile iscritta al n. 808/91 r.g. promossa da Cordaro Paolo, Cordaro Liboria, Russo Antonio, Romano Giovanni, Cacioppo Biagia, Minardi Angela, Minardi Carmela, Minardi Emanuele, Minardi Maria, Gennuso Nicola, Gennuso Francesco, Gennuso Carmela Maria, Gennuso Amalia, Gennuso Liborio, Gennuso Concetta, Gennuso Angela, Gennuso Francesco, Ventura Maria rappresentati e difesi dall'avv. A Moscato, contro il comune di Gela e l'u.s.l. n. 17 di Gela, rappresentati e difesi dall'avv. G. Morreale; Ritenuto che nella causa in oggetto si profila una questione di legittimita' costituzionale, in quanto la pretesa degli attori si fonda sulla legge 8 agosto 1992, n. 359, che appare in contrasto con gli artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione; che la competenza a sollevare detta questione spetta, nel caso in esame, anche al giudice istruttore in quanto si tratta di disposizioni di legge che il giudice istruttore deve applicare per provvedimenti di competenza sua propria (v. Corte costituzionale 23 luglio 1980, n. 125), dovendosi conferire un nuovo incarico al c.t.u. in base alla normativa di cui si assume l'illegittimita' costituzionale; Osservato che detta questione appare rilevante ai fini della decisione in quanto, a norma dell'art. 5- bis della legge 8 agosto 1992, n. 359, i nuovi criteri di determinazione dell'indennita' di esproprio vanno applicati alla presente causa, pervenuta alla fase di deposito della consulenza tecnica che ha determinato il valore del terreno in base ai criteri fissati dalla legge n. 2359/1865; Rilevato che la questione non puo' ritenersi manifestamente infondata in quanto: secondo l'indirizzo piu' volte affermato dalla Corte costituzionale l'indennizzo assicurato all'espropriato dall'art. 42, terzo comma, deve costituire un serio ristoro e non puo' essere fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica. Piu' volte la Corte costituzionale ha affermato che l'art. 42, terzo comma, della Costituzione non garantisce all'espropriato il diritto ad un'indennita' esattamente commisurata al valore di mercato del bene, e che la necessaria coordinazione del diritto del privato con l'interesse pubblico comporta che l'indennizzo dovuto non deve realizzare l'integrale ristoro del sacrificio subito per effetto della espropriazione ma un'adeguata riparazione. Tuttavia l'ammontare determinato dal legislatore non puo' scendere, sotto il livello di congruita'. In base all'art. 5- bis della legge 8 agosto 1992, n. 359 l'indennita' di espropriazione per le aree edificabili e' determinata a norma dell'art. 13, terzo comma della legge 15 gennaio 1885, n. 2892, sostituendo ai fitti coacervati dell'ultimo decennio il reddito dominicale rivalutato. l'importo cosi' determinato e' ulteriormente ridotto del 40%, ma questa riduzione non si applica se il soggetto espropriato conviene la cessione volontaria del bene. E' chiaro che se la media tra valore venale e reddito dominicale rivalutato da' un importo equo, la sua riduzione in misura del 40% indubbiamente fa scendere l'indennita' di espropriazione al di sotto del livello di congruita', riducendo il valore del terreno a circa il 30% del valore di mercato. La presente normativa appare poi in contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione, determinando una disparita' di trattamento tra chi al momento della sua entrata in vigore ha gia' subito l'esproprio e non puo' piu' convenire la cessione volontaria del bene e chi ancora invece non e' colpito dal provvedimento ablativo e puo' cedere le aree volontariamente senza subire la riduzione del 40%. I criteri fissati dalla nuova legge non possono pertanto essere considerati costituzionalmente legittimi.