IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'istanza presentata il 17 gennaio 1994 da Gigino Moretti, nato a Cento l'11 gennaio 1935 (imp. n. 29), imputato: 9) sequestro in danno di Gnutti Enrico, gennaio 1979; 15) associazione per delinquere, fino al settembre 1982; 16) associazione per delinquere di stampo mafioso, fino al novembre 1986; di riesame del mandato di cattura n. 1/93, (n. 20/87 r.g.), emesso dal giudice istruttore del tribunale di Venezia, in data 23 dicembre 1993; atti pervenuti il 20 gennaio 1994; Rilevato che il difensore ha chiesto di intervenire in camera di consiglio ai sensi dell'art. 263-ter, del comma sesto, del c.p.p.; A scioglimento della riserva formulata nella predetta udienza del 24 gennaio 1994; Ritenuto che la richiesta e' ammissibile, perche' presentata nei termini e con le forme previste dall'art. 263- bis del c.p.p.; O S S E R V A In via preliminare ad ogni altra questione, dev'essere esaminata l'eccezione d'incostituzionalita' degli artt. 245 e 250 delle disposizioni di attuazione del vigente c.p.p., nella parte in cui non prevedono l'applicabilita' dell'art. 309 del c.p.p./1988 nei procedimenti che proseguono con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti, com'e' il caso del p.p. al quale il M.C. n. 1/93 si riferisce. La questione e' stata sollevata dalla difesa in relazione al diniego di rilascio di copia degli atti in deposito, trasmessi dal giudice istruttore a questo Tribunale per la risoluzione dell'istanza di riesame, diniego disposto dal presidente della sezione ai sensi degli artt. 263- bis e 263- ter del c.p.p. previgente; la difesa, nel riconoscere espressamente la correttezza formale di tale diniego in relazione al sistema procedurale previgente, che non ha mai preveduto il deposito degli atti processuali posti a fondamento della motivazione del mandato di cattura, ha ritenuto di censurare, sotto il profilo della ragionevolezza, la distinzione che si viene a creare tra i procedimenti di riesame regolati dal codice vigente nel pieno contraddittorio tra le parti sotto il profilo della conoscibilita' degli atti e quelli che proseguono con il rito previgente, nei quali tale contraddittorio e' radicalmente vietato dalle preclusioni del sistema inquisitorio e della relativa segretezza degli atti. Il tribunale ritiene tale questione rilevante e non manifestamente infondata, in relazione alla effettiva sussistenza di un simile regime differenziato della procedura di riesame dei provvedimenti restrittivi della liberta' personale, riconosciuta formalmente anche dalla giurisprudenza gia' formatasi sul punto da parte della Corte regolatrice, secondo cui, nei procedimenti che proseguono ai sensi dell'art. 241 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, il codice di rito abrogato e' applicabile anche alla trattazione dei procedimenti incidentali relativi ai provvedimenti inerenti la liberta' personale adottati in epoca successiva all'entrata in vigore del nuovo codice, in quanto, ai sensi dell'art. 250 del medesimo decreto, le disposizioni del nuovo codice ivi richiamate derogano alla precedente disciplina esclusivamente per cio' che concerne i presupposti "sostanziali" della custodia cautelare (cfr.: Cass., sez. II, 25 gennaio 1990, Hernandez, in: "Cass. pen.", 1990, II, p. 98, n. 44): in questo modo appare manifestamente come la tutela sostanziale del diritto inalienabile alla liberta' personale venga disciplinata con forme radicalmente differenziate a seconda del rito adottato, laddove nel nuovo i Difensori hanno diritto alla piena conoscenza di tutti gli atti utilizzati dal p.m. per ottenere dal g.i.p. l'adozione della misura, mentre nel previgente, ai fini della tutela sostanziale del medesimo diritto, il diritto alla conoscenza degli atti posti alla base della decisione del g.i. e' radicalmente escluso, anzi vietato, per non ledere i rigorosi limiti del segreto istruttorio (cfr. Cass., sez. I, 28 febbraio 1983, Ferrari, sulla stessa inconoscibilita' delle memorie presentate dalle parti). Se ne trae il convincimento che, in tema di tutela sostanziale del diritto alla liberta' personale, parte essenziale dell'esplicazione del diritto alla difesa, sussista una profonda ed irragionevole differenza di trattamento, in relazione all'impossibilita' di instaurare una efficace pienezza del contraddittorio nel riesame regolato dal rito previgente, sulla base della sola accidentale occasione d'inserimento di una misura restrittiva nell'ambito di un p.p. procedente in istruttoria col "vecchio" rito, per di piu' in regime di prorogatio asseritamente eccezionale, ma di fatto soggetta a reiterate proroghe, l'ultima delle quali con scadenza al 31 dicembre 1994. Al cospetto, infatti, del principio contenuto nell'art. 24, comma secondo, della Costituzione, l'effettivita' del diritto alla difesa e' certamente indice della sua sussistenza, cosicche' la riduzione del medesimo entro confini di pura forma, gia' oggetto di critiche nell'ambito del previgente sistema processuale, peraltro omogeneo, diventa intollerabile laddove tale limitazione coesista in parallelo con un diverso sistema di piena e sostanziale tutela del contraddittorio nell'ambito del nuovo rito vigente: per il che sussistono evidenti rilievi d'incostituzionalita' anche sotto il profilo della norma di cui all'art. 3 della Costituzione. In particolare, appare irragionevole e discriminatorio, al di la' della sussistenza di una specifica richiesta di ottenere visione degli atti, che non siano applicabili al procedimento di riesame de quo le previsioni di cui ai commi 8 (diritto di conoscenza degli atti depositati in cancelleria) e 9 (diritto di difendersi confutando cio' che si conosce e provando il contrario di cio' che si conosce) del vigente art. 309 del c.p.p. Inoltre, la conservazione della disciplina procedurale del riesame siccome regolata dal codice previgente appare manifestamente incostituzionale anche in relazione all'art. 76 della Costituzione, laddove la norma di cui all'art. 6 della legge 16 febbraio 1987, n. 81, non stabilisce principi e criteri direttivi particolari per l'emanazione delle norme transitorie: come ha insegnato, infatti, la stessa Corte costituzionale con la sentenza 8 febbraio 1991, n. 68, "il completo silenzio dell'art. 6 della legge-delega quanto a principi e criteri direttivi non puo' intendersi .. alla stregua di un'indiscriminata rimessione al legislatore delegato dell'apprezzamento del se e del come raccordare" gli istituti gia' esistenti alle norme del nuovo codice: "tale silenzio - prosegue la Corte costituzionale - va, invece, inteso come tacito rinvio ai principi ed ai criteri di cui all'art. 2 - della legge-delega, nel senso che le norme di coordinamento non debbono mai porsi in contrasto con tali principi e criteri, proprio perche' l'esercizio di una delega volta a coordinare il codice con le altre leggi dello Stato non puo' spingersi fino al punto di aggirare uno dei principi e criteri su cui il codice e' stato costruito. La finalita' dell'art. 6, nella parte concernente le norme di coordinamento ivi contemplate, sta proprio nel non escludere possibili sopravvivenze normative, purche' coerenti con gli articoli 2 e 3 della stessa legge". Nel caso di specie, invece, le norme transitorie lasciano sopravvivere un procedimento incidentale regolato da principi incompatibili con la tutela sostanziale del diritto alla difesa, cosi' come regolato dal codice vigente. L'esame di ogni altra questione, coinvolgendo il diritto delle parti ricorrenti all'esame degli atti depositati, richiede necessariamente la risoluzione della prospettata questione.