ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge
 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina  dell'adozione  e  dell'affidamento
 dei  minori),  promosso  con  ordinanza emessa il 29 gennaio 1993 dal
 Tribunale  per  i  minorenni  di  Trento,  nel  procedimento  per  la
 dichiarazione  dello  stato  di  adottabilita'  di minore in stato di
 abbandono, scritta al n. 247 del registro ordinanze 1993 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  23,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1993;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 9 febbraio 1994 il Giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ordinanza emessa il 29  gennaio  1993  nel  corso  di  un
 procedimento  per  la  dichiarazione  dello stato di adottabilita' di
 minore in stato di abbandono, il Tribunale per i minorenni di  Trento
 ha  sollevato  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 10
 della  legge  4  maggio  1983,  n.  184  (Disciplina  dell'adozione e
 dell'affidamento dei minori), in riferimento agli articoli 2, 3 e  31
 della Costituzione.
   Nell'ordinanza  di  rimessione,  il  giudice  a  quo  premette  una
 sintetica  descrizione  della  fattispecie  da  cui  ha  origine   la
 questione sottoposta all'esame di questa Corte, dalla quale si deduce
 che  il  Tribunale e' stato informato della nascita di un bambino non
 riconosciuto da  nessuno  dei  genitori,  ed  indicato  nell'atto  di
 nascita  come  figlio  di  donna  che  non  intende  essere nominata.
 Successivamente,  avendo  il  Presidente  del  Tribunale  delegato  i
 Servizi sociali a comunicare alla madre le facolta' ad essa spettanti
 ai sensi dell'art. 11 della legge 4 maggio 1983, n. 184, questa aveva
 confermato  di  non intendere ne' riconoscere il figlio, ne' chiedere
 la sospensione del procedimento.
    Il Tribunale, dopo aver dichiarato lo  stato  di  adottabilita'  e
 dopo  l'inutile  decorso  dei  termini  per eventuali opposizioni, ha
 omesso di deliberare in ordine all'affidamento preadottivo, in quanto
 una  tale  pronuncia  avrebbe  reso  definitivamente  inefficace   un
 eventuale tardivo riconoscimento.
    Passando  ad esporre i motivi della questione sottoposta all'esame
 di  questa  Corte,  il  Tribunale  evidenzia  un  contrasto  tra   la
 condizione  giuridica  e  la  realta'  storica del minore: sulla base
 della prima, il bambino  va  considerato  come  figlio  naturale  non
 riconosciuto;  per  la  seconda,  esso  -  in base a notizie raccolte
 dall'assistente  sociale  -  sarebbe  figlio  legittimo  (benche'  di
 genitori  sconosciuti).  Tale  contrasto, rileva il giudice a quo, si
 riflette sull'attivita' che esso tribunale e' chiamato a svolgere  al
 fine   di  dichiarare  lo  stato  di  adottabilita'  del  minore.  In
 particolare,  si  sottolinea,  l'art.   10   prescrive   approfonditi
 accertamenti  sulle  condizioni  giuridiche  e  di  fatto del minore,
 sull'ambiente in cui ha vissuto e vive,  al  fine  di  verificare  se
 sussiste  lo  stato  di abbandono. Ai sensi di tale norma - motiva il
 giudice a quo - il tribunale e'  tenuto  ad  accertare  lo  stato  di
 figlio legittimo allo scopo di contestare al padre legittimo lo stato
 di  abbandono,  effettuando  altresi'  la scelta dei parenti entro il
 quarto grado che possano assistere il minore (ai fini della procedura
 ex art. 12 della legge 4 maggio 1983, n. 184).
    Dopo  aver  ricordato  come  la  giurisprudenza  della  Corte   di
 cassazione   riconosca   all'atto   di  nascita  natura  di  elemento
 costitutivo della legittimita' del figlio, il Tribunale  ritiene  che
 cio' non valga ad escludere che in presenza di un atto di nascita che
 indichi  il  figlio come nato da donna che non vuole essere nominata,
 venga preclusa ogni ulteriore indagine al tribunale  investito  della
 procedura per l'adozione: da qui l'emergere - ad avviso del Tribunale
 -  di  una  situazione di disparita' tra la donna che abbia concepito
 fuori del  matrimonio  e  la  donna  coniugata  che  abbia  concepito
 all'interno del rapporto matrimoniale. Mentre alla prima, infatti, e'
 consentito  tacere  il  nome  del  padre  del bambino ed un'eventuale
 ricerca di quest'ultimo incontra il limite della volonta' della donna
 (stante l'art. 11, sesto comma, della legge 4 maggio 1983,  n.  184),
 alla   seconda,   viceversa,   non  sarebbe  possibile  opporsi  agli
 "approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del
 minore" relativi anche, secondo il Tribunale, all'individuazione  del
 padre.
    Tale  sistema  sembra  al giudice rimettente illegittimo, in primo
 luogo, per la contraddizione che  si  realizza  tra  la  disposizione
 dell'art.  10  e  la  facolta'  riconosciuta  alla madre di non voler
 essere nominata nell'atto  di  nascita;  in  secondo  luogo,  per  il
 contrasto  con  la  disciplina  stabilita dall'art. 12 della legge 22
 maggio 1978, n. 194, che nel riconoscere il diritto  della  donna  ad
 interrompere  la gravidanza esclude l'obbligo di richiedere l'assenso
 od il consenso del padre. Dal raffronto con quest'ultima disposizione
 nascerebbe, a giudizio del Tribunale  rimettente,  un  paradosso:  la
 donna  potrebbe  abortire senza dover neppure informare il padre; nel
 caso di filiazione naturale potrebbe dichiarare di non  voler  essere
 nominata  senza  dover  chiedere  l'assenso al padre naturale; ma nel
 caso in cui il tribunale  conosca  per  vie  informali  lo  stato  di
 filiazione  del  minore,  e'  costretto  a superare la volonta' della
 madre e risalire al padre.
    Da qui la contraddizione del sistema in quanto, mentre  di  fronte
 ad  un  bene  di  importanza  suprema,  quale la vita, la donna ha un
 potere non comprimibile ne' sindacabile, di fronte invece al  diritto
 alla famiglia legittima, che e' interesse pur di rango costituzionale
 ma sottordinato rispetto al bene dell'esistenza, non vi sarebbe alcun
 potere  per la donna di valutare l'interesse del figlio attraverso il
 diniego ad essere nominata nell'atto di nascita.
    Tale contraddizione, ad  avviso  del  Tribunale,  potrebbe  essere
 rimossa  attraverso la dichiarazione di illegittimita' costituzionale
 dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184, nella parte in cui ai
 fini  della  dichiarazione  dello  stato  di  abbandono   impone   al
 tribunale, con qualsiasi mezzo, l'individuazione della donna, che non
 intende  essere  nominata  nell'atto  di  nascita, e conseguentemente
 l'individuazione del marito di lei.
    Tale disposizione risulterebbe in contrasto, ad avviso del giudice
 a quo, con i seguenti  parametri:  art.  3  della  Costituzione,  per
 l'irrazionale  disparita' di trattamento che viene a realizzare tra i
 figli naturali ed i figli legittimi; artt. 31,  secondo  comma,  e  2
 della Costituzione, in quanto la tutela della vita e della maternita'
 impongono al legislatore ordinario la tutela della riservatezza della
 donna,  mentre  l'intervento dei pubblici poteri si risolverebbe, nel
 caso concreto, in un pregiudizio per il minore ed in una lesione  del
 diritto   alla   riservatezza;   circostanze   nelle  quali,  secondo
 l'ordinanza n. 388 del 1988 di questa Corte,  detto  intervento  deve
 evitarsi.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il  Tribunale  per  i  minorenni  di  Trento  dubita  della
 legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge 4  maggio  1983,
 n.  184  (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), in
 riferimento agli artt. 2, 3 e 31 della  Costituzione,  per  i  motivi
 ampiamente   sopraenunciati,   i   quali   si  risolverebbero  in  un
 pregiudizio per il minore adottando ed in  una  lesione  del  diritto
 alla riservatezza della madre.
    2. - La questione e' inammissibile.
    Va  premesso che, nel sistema della vigente legge n. 184 del 1983,
 lo stato di abbandono del minore, quale presupposto dei provvedimenti
 diretti all'adozione speciale, viene accertato in maniera  diversa  a
 seconda  che  risulti  o  meno  l'esistenza  dei  genitori del minore
 stesso.
    Nella  prima  ipotesi,  l'art.  10  della  legge  prevede  che  il
 presidente del tribunale  per  i  minorenni,  o  un  giudice  da  lui
 delegato,   faccia   "approfonditi   accertamenti   sulle  condizioni
 giuridiche e di fatto del minore, sull'ambiente in cui ha  vissuto  e
 vive  ai  fini  di  verificare  se  sussiste  lo stato di abbandono",
 disponendo, eventualmente,  gli  opportuni  provvedimenti  temporanei
 nell'interesse  del  minore:  compresa,  se  del caso, la sospensione
 della  potesta'  dei  genitori.  Tali  accertamenti,  relativi   alle
 condizioni giuridiche del minore, sono intesi tuttavia a conoscere la
 situazione risultante dagli atti, non gia' a modificarla.
    Nell'altra  ipotesi,  invece,  in  cui  i genitori non esistono (o
 perche' deceduti e manchino parenti entro il quarto grado, o  perche'
 la  paternita'  o  maternita'  non  risulti  da  riconoscimento  o da
 dichiarazione giudiziale), la  legge  stabilisce  (art.  11)  che  il
 tribunale   provveda   immediatamente,   senza   eseguire   ulteriori
 accertamenti,  alla  dichiarazione  dello  stato  di   adottabilita',
 risultando  la  condizione  di  abbandono del minore dal fatto stesso
 della mancanza dei genitori. In  detta  ipotesi,  le  uniche  cautele
 previste  sono quelle di tentare di informare i presunti genitori, se
 possibile, o comunque quello reperibile, della facolta'  di  chiedere
 la  sospensione  della  procedura  entro  il  termine  stabilito  per
 provvedere al riconoscimento.
    3. - Deve altresi'  rilevarsi  che  qualunque  donna  partoriente,
 ancorche'  da elementi informali risulti trattarsi di coniugata, puo'
 dichiarare di non volere essere nominata nell'atto  di  nascita.  Ove
 l'ufficiale  di  stato  civile  abbia  regolarmente redatto l'atto di
 nascita nei modi  dalla  legge  prescritti  per  i  casi  di  bambini
 denunciati  come nati da genitori ignoti (artt. 71, 72 e 75 del regio
 decreto 9 luglio 1939, n. 1238), e in difetto del possesso di  stato,
 manca  il titolo essenziale perche' si possa considerare legittima la
 maternita'. Non risultando il nome della partoriente -  anche  se  si
 assuma  ex aliunde essere coniugata - non e' possibile individuare il
 marito  della  stessa,  ne'  rendere  operativa  la  presunzione   di
 paternita' di cui all'art. 231 del codice civile.
    4.  -  In  ordine  ai  problemi  posti, ci si limita a ribadire in
 generale quanto affermato in precedenza da questa Corte, e cioe'  che
 il   sistema   scelto  dal  legislatore  e'  ispirato  all'essenziale
 principio che secondo cui "l'adozione deve trovare nella  tutela  dei
 fondamentali  interessi  del minore il proprio centro di gravita'; il
 che significa, tra l'altro, che a questi interessi vanno  subordinati
 tanto  quelli  degli adottanti (o aspiranti tali) quanto quelli della
 famiglia d'origine" (sentenza n. 388 del 1988).
    5. - Ora, nell'ordinanza  di  rimessione  da  cui  ha  origine  la
 presente questione, il Tribunale riferisce che "nell'atto di nascita,
 formato dall'ufficiale di stato civile su denuncia dell'ostetrica che
 ha  assistito  al  parto, il bambino e' stato indicato come figlio di
 donna che  non  intende  essere  nominata";  che  "il  Presidente  ha
 delegato  i  servizi  sociali  a  comunicare  alla  madre le facolta'
 spettanti ai sensi dell'art. 11 della legge 4 maggio 1983,  n.  184",
 ma  che  "la  madre  non  intendeva  ne'  riconoscere  il figlio, ne'
 chiedere la sospensione del procedimento"; per cui il  Tribunale  "ha
 dichiarato  lo  stato  di  adottabilita'",  e,  decorsi i termini per
 eventuali   opposizioni,  ha  affermato  che  "puo'  farsi  luogo  ad
 affidamento preadottivo non essendo intervenuto alcun  riconoscimento
 nel frattempo".
    6.  -  A  questo  punto  appare  evidente  che - a prescindere dal
 problema se il giudice a quo fosse  ancora  legittimato  a  sollevare
 questione  di  legittimita'  costituzionale  di norme incidenti sulla
 declaratoria dello stato di adottabilita', una volta che questo fosse
 divenuto definitivo - il  Tribunale  si  trovava  di  fronte  ad  una
 fattispecie  la  cui  disciplina  e'  dettata  dal richiamato art. 11
 (trattandosi di un'ipotesi di inesistenza giuridica dei genitori),  e
 non  invece  ad  una  fattispecie  regolata dall'art. 10: pertanto il
 giudice  a  quo  non  era  tenuto  a   svolgere   gli   "approfonditi
 accertamenti" previsti da detto art. 10 per verificare la sussistenza
 dello  stato  di  abbandono  (dal momento che questo discendeva in re
 ipsa dall'inesistenza di genitori), dovendosi  viceversa  limitare  a
 dichiarare   lo  stato  di  adottabilita'  senza  svolgere  ulteriori
 indagini.
   In  conseguenza  di  questo,   non   solo   cade   il   presupposto
 interpretativo  da cui prende le mosse l'ordinanza di rimessione (che
 fonda la presunta violazione  del  diritto  alla  riservatezza  della
 madre,  di  cui  agli  artt.  2  e  31  della  Costituzione,  nonche'
 l'invocata disparita' di trattamento ex art.  3  della  Costituzione,
 sulla  ritenuta  necessita' di svolgere approfonditi accertamenti) ma
 si erra altresi' nell'individuare la  disposizione  da  applicare  al
 giudizio  a  quo,  che non e' l'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n.
 184, bensi' - a quanto risulta dalla  descrizione  della  fattispecie
 prospettata  nell'ordinanza  di  rimessione  - l'art. 11 della stessa
 legge.
    La questione, cosi' come formulata dal giudice a quo, va  pertanto
 dichiarata inammissibile.