IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza all'udienza dibattimentale del 14 gennaio 1994 con procedimento penale a carico di Andreotti Gilberto e Camerani Dante, imputati, del reato p. e p. dall'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976 perche' nelle rispettive qualita' di legale rappresentante S.I.A. S.p.a. corrente in Malalbergo, e di direttore tecnico del relativo stabilimento, effettuavano, in scolo di campagna confluente a sua volta nello scolo Lorgana, uno scarico di acque reflue provenienti dall'attivita' di produzione di accumulatori al piombo contenente valori di solfati, quantificati in mg/lt. 2041 superiori ai limiti di accettabilita' di cui alla tabella A della legge n. 319/1976. Rilevato che la difesa degli imputati ha sollevato la questione di costituzionalita' dell'art. 60, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, in relazione all'art. 21 della legge 10 maggio 1976, n. 319, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. La difesa prospetta la illegittimita' costituzionale dell'art. 60 della legge n. 689/1981 (che prevede la sostituibilita' di certa pena detentiva con misure alternative) in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto tale norma, pur modificata dall'art. 5 della legge 12 agosto 1993, n. 296, che ha elevato i limiti di pena detentiva entro i quali e' possibile l'applicazione di sanzioni sostitutive, mantiene la esclusione oggettiva da tale beneficio del reato contestato (art. 21 della legge Merli). E cio' ingiustificatamente, in quanto l'ampliamento dei limiti suddetti consente di operare la sostituzione di pene erogate per reati da considerarsi assai piu' gravi ed indicativi di una maggiore pericolosita' sociale. Tale sola considerazione, pur nella sua generica ragionevolezza, non varrebbe di per se' a far ritenere sussistente una violazione del principio di uguaglianza e a rendere opportuno il ricorso alla Corte costituzionale perche' si pronunci sulla sua fondatezza. Tutte le decisioni della Corte allorche' e' stata chiamata a pronunciarsi in tema di ragionevolezza della pena appaiono caratterizzate da doverosa cautela (derivante dal riconoscimento del primato del potere legislativo e delle scelte politiche sottese alle norme) che hanno salvaguardato le sue decisioni da ingiustificate interferenze. Ma nella fattispecie viene sottolineato dalla difesa un quid pluris che rende piu' probante e specifica l'argomentazione e immotivabile la ragione di una disuguaglianza nel trattamento sanzionatorio. Si ricorda anzitutto che, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 296/1993 la Corte costituzionale con sentenza n. 249/1993 ha dovuto dichiarare la illegittimita' dell'art. 60 della legge n. 689/1981 nella parte in cui stabilisce che le pene sostitutive non si applicano al reato previsto dall'art. 590, secondo e terzo comma, del c.p. limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Tale esclusione oggettiva per determinate lesioni colpose era infatti divenuta inconciliabile con la sostituibilita' della pena erogata per il reato di omicidio colposo. Altrimenti, tra due condotte lesive di un medesimo bene giuridico, potrebbe beneficiare di sanzioni sostitutive soltanto quella di maggiore gravita'. Sostiene la difesa che anche per l'art. 21 della legge Merli si e' determinata una analoga situazione comparativa con altre disposizioni di legge che rende ormai ingiustificabile la esclusione oggettiva del beneficio. Nel quadro di insieme della legislazione posta a tutela dell'ambiente si intravede una trama in parte incompiuta, in parte sovraccarica di linee diversificate e contrastanti. Si va da un'assenza di tutela normativa di aspetti fondamentali che riguardano la difesa della salute e della qualita' della vita (manca una legge generale sull'inquinamento acustico), ad una incerta ed occasionale difesa della natura (parchi e riserve naturali), ad una insufficiente attivazione dei mezzi necessari per una effettiva applicazione (si pensi alle normative sull'inquinamento atmosferico). E vi sono per contro settori, quali quello dell'inquinamento delle acque e del suolo, ove si affollano provvedimenti di varia fonte, emessi su sollecitazioni provenienti da diverse origini (potere legislativo, autonomie regionali, C.E.E., organi ministeriali) che a volte presentano non semplici problemi di coordinamento per l'interprete e sempre pongono i destinatari della norma in condizioni di non avere compiuta e non fuorviante conoscenza dell'illecito da evitare. E' cosi' da ultimo alla fondamentale legge Merli, in attuazione di alcune direttive C.E.E., si e' giustapposto il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 133, in materia di scarichi industriali di sostanze pericolose nelle acque, che intende salvaguardare le acque interne superficiali, le acque marine territoriali, le acque interne del litorale e le fognature pubbliche "dagli scarichi di sostanze o energie le cui conseguenze siano tali da mettere in pericolo la sa- lute umana, nuocere alle risorse viventi e al sistema ecologico idrico, compromettere le attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle acque". L'art. 18 di tale decreto al quarto e quinto comma contempla ipotesi di reato correlate a quelle dell'art. 21 della legge Merli. Il quarto comma punisce con l'arresto fino a due anni l'effettuazione di uno scarico con valori inquinanti superiori ai limiti fissati dall'allegato B (che contempla sostanze pericolose quali il mercurio e il cadmio). Il quinto comma sanziona con l'arresto da tre mesi a tre anni la violazione del divieto assoluto di scarico nelle acque sotterranee, sul suolo e nel sottosuolo delle sostanze contenute nell'allegato A (di provato potere cancerogeno). Orbene per tali fattispecie contravvenzionali non opera certamente, per difetto di esplicita previsione o di norme di rinvio, il divieto di sostituzione delle pene detentive previsto dall'art. 60 della legge n. 689/1981 per l'art. 21 della legge Merli. Tale disparita' di trattamento non pare trovare alcuna giustificazione in quanto le norme poste a confronto tutelano lo stesso bene. Si chiede pertanto alla Corte costituzionale di stabilire se in tale situazione normativa la esclusione oggettiva dall'art. 21 della legge Merli dalla possibilita' di sostituzione della pena detentiva con le sanzioni previste dall'art. 60 costituisce una disparita' di trattamento ingiustificata e contrastante con il principio di uguaglianza fissato dall'art. 3 della Costituzione. La rilevanza della questione si determina in relazione alla richiesta di applicazione della pena ex art. 444 del c.p.p. nella misura di mesi uno di arresto e nella relativa richiesta di sostituzione di tale pena detentiva con la sanzione della ammenda.