IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Vista l'istanza di espulsione dallo Stato presentata il 24 settembre 1993 da Ramirez Perez John Jario, nato in Columbia l'8 ottobre 1964 e il parere del p.m. 8 novembre 1993; O S S E R V A Il Ramirez e' stato condannato alla pena di anni cinque di reclusione e L. 40.000.000 di multa con sentenza di questo g.i.p. 13 gennaio 1992 confermata con sentenza 16 novembre 1992 della corte d'appello di Roma, irrevocabile l'11 dicembre 1992. Il Ramirez si trova nelle condizioni previste dall'art. 7, comma 12- bis e ter della legge 28 febbraio 1990, n. 39, come modificata dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, per ottenere la richiesta espulsione dello Stato: risulta infatti cittadino straniero, condannato con sentenza passata in giudicato, deve scontare una pena residua inferiore a tre anni di reclusione e' infatti detenuto dal 31 ottobre 1991 e' in possesso di passaporto Columbiano valido per l'espatrio e non si ravvisa alcuna delle ragioni impeditive previste dalla legge. E' rilevante, pertanto, la questione di legittimita' costituzionale della norma dell'art. 7, comma 12- bis e ter del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416 (convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 39) come aggiunto dall'art. 8 del d.l. 14 giugno 1993, n. 187 (convertito in legge 12 agosto 1993, n. 296), per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui la predetta norma consente l'espulsione per gli stranieri "condannati con sentenza passata in giudicato ad una pena che, anche se costituente parte residua di maggiore pena, non sia superiore a tre anni di reclusione". La questione, sollevata dal p.m. per contrasto con l'art. 3 e dal g.i.p. d'ufficio, per contrasto con l'art. 27 della Costituzione, non appare manifestamente infondata. Quanto al contrasto con il principio di uguaglianza, si rileva che la norma in questione prevede soltanto per lo straniero la possibilita' di sottrarsi all'esecuzione della pena (totalmente o parzialmente) chiedendo e ottenendo l'espulsione. La valenza del principio di uguaglianza nei confronti dello straniero - piu' volte affermata dalla Corte costituzionale con riferimento ai diritti fondamentali (sentenze nn. 120/1967, 104/1969, 14/1979, 47/1977, 215/1983 e 490/1988) - non puo' non essere riconosciuta anche in relazione alle posizioni giuridiche passive, quali la restituzione della liberta' personale a seguito di sentenze penali definitive di condanna. Cio' premesso, non sembra che il trattamento differenziato tra cittadini e stranieri sia ispirato alla ragionevolezza. Non si ravvisano giustificazioni logiche alla disparita' di trattamento tra cittadino e straniero, tanto piu' evidente e ingiustificata qualora i due soggetti fossero correi nello stesso reato e condannati alla medesima pena. Non sembra, in particolare, potersi ritenere conforme a ragionevolezza il fatto che il legislatore per un lato aggrava il trattamento per lo straniero - imponendo che sia espulso, una volta espiata la pena (artt. 211 del c.p. e 86 del d.P.R. n. 309/1990) - per l'altro lo attenua, consentendo l'espulsione in sostituzione dell'espiazione della pena. Quanto al contrasto con l'art. 27 della Costituzione, si rileva che la norma in questione impedisce (totalmente o parzialmente) l'attuazione della finalita' rieducativa del condannato che si effettua con il trattamento penitenziario. Se, poi, si riconosce ancora alla pena una natura polifunzionale (Corte costituzionale n. 12/1966, 22/1971, 179/1973 e 264/1974) cosi' da ritenerla diretta anche alla dissuasione, prevenzione e difesa sociale (Corte costituzionale n. 264/1974 e 107/1980), non si puo' non rilevare che la norma in esame impedisce l'attuazione delle predette finalita', garantendo allo straniero una previsione di impunita' di fatto (totale o parziale) e consentendo conseguentemente alle organizzazioni criminali di introdurre stranieri nel territorio nazionale al solo scopo di utilizzarli per l'esecuzione di reati.