ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 403 del  codice
 di  procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 28 giugno 1993
 dal Tribunale di Lecco nel procedimento penale a carico di  Valsecchi
 Enrico  ed  altri,  iscritta  al n. 715 del registro ordinanze 1993 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  50,  prima
 serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di  consiglio  del  9  marzo  1994  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con ordinanza in data 28 giugno 1993, il Tribunale di Lecco
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento
 agli artt. 3 e 112 della Costituzione, dell'art. 403  del  codice  di
 procedura  penale, nella parte in cui non prevede la utilizzabilita',
 nei confronti di imputati  i  cui  difensori  non  hanno  partecipato
 all'assunzione  dell'incidente  probatorio, della perizia disposta ai
 sensi dell'art. 392, primo comma, lettera f) del medesimo codice, nel
 caso in cui il giudice per le indagini preliminari abbia rigettato la
 richiesta di estensione dell'incidente per sopravvenuta modificazione
 dello stato dei luoghi.
    Premesso   che   l'incidente  probatorio  richiesto  dal  pubblico
 ministero per assumere perizia diretta ad  individuare  le  cause  di
 un'alluvione che aveva interessato i centri di Valmadrera e Civate si
 era  svolto nel contraddittorio dei soli soggetti allora raggiunti da
 indizi di responsabilita'  penale  (dapprima,  le  persone  poste  al
 vertice    dell'amministrazione    comunale    di    Valmadrera,   e,
 successivamente, a seguito di  estensione  dell'incidente  probatorio
 disposto ex art. 402 del codice di procedura penale, il sindaco e gli
 assessori   di   Civate   nonche'  il  progettista  incaricato  della
 sistemazione della Valle Toscio),  e  che,  dopo  il  deposito  della
 perizia,  da  cui  erano  emersi  estremi di responsabilita' penale a
 carico dei responsabili del Genio Civile, il giudice per le  indagini
 preliminari  aveva  respinto  la  richiesta del pubblico ministero di
 estensione dell'incidente a tali ultimi soggetti essendo lo stato dei
 luoghi nel frattempo completamente mutato,  il  Tribunale,  investito
 del  giudizio  dibattimentale  riguardante  i  fatti  sopra indicati,
 osserva che, stante il divieto posto  dall'art.  403  del  codice  di
 procedura  penale, la perizia svoltasi nell'incidente non puo' essere
 utilizzata nei confronti degli imputati i  cui  difensori  non  erano
 stati posti in grado di partecipare alla sua assunzione.
    Secondo  il  Tribunale, tale disciplina, determinando una sorta di
 impunita' per coloro la cui responsabilita'  penale  e'  emersa  solo
 dopo  l'espletamento  della  perizia  e  il mutamento dello stato dei
 luoghi (tale da rendere la prova non  piu'  ripetibile),  e'  innanzi
 tutto  irragionevole, in quanto preclude l'accertamento della verita'
 senza che cio' sia imposto dal rispetto del diritto di difesa. Questo
 puo' essere infatti esercitato da tutti gli  imputati  attraverso  la
 citazione  e  l'esame  del  perito in dibattimento, eventualmente con
 l'ausilio di un consulente tecnico, cosi'  da  rendere  possibile  la
 confutazione  o  il chiarimento delle conclusioni cui e' pervenuto il
 perito.
    Inoltre, a parere del giudice a quo,  e'  profilabile  una  chiara
 disparita' di trattamento tra imputati, a seconda che sia stato o non
 sia  stato  oggettivamente  possibile procedere in corso di incidente
 probatorio alla sua estensione.
    Infine,  si  deduce  nell'ordinanza,  la  disposizione   impugnata
 determina  un  ostacolo all'esercizio dell'azione penale da parte del
 pubblico ministero; ostacolo che non deriva  da  inerzia  dell'organo
 inquirente ma da oggettiva impossibilita'.
    Quanto  alla  rilevanza  della questione, il Tribunale osserva che
 nella specie l'unica prova raccolta a carico degli imputati  nei  cui
 confronti   non   e'   stato   possibile   estendere  l'incidente  e'
 rappresentata, per l'appunto, dalla perizia  assunta  in  tale  sede;
 talche',  stante  il  divieto  di utilizzazione contenuto nella norma
 impugnata,  sarebbe  inevitabile  nei  loro  confronti  la  immediata
 declaratoria  di  assoluzione "per mancanza di prove che gli imputati
 hanno commesso il fatto".
    2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha
 chiesto che la questione sia dichiarata infondata, in  quanto  basata
 su un erroneo presupposto interpretativo.
    Secondo  l'Avvocatura,  allorche',  come  nella  fattispecie,  gli
 elementi di colpevolezza in ordine a uno stesso fatto  si  concretino
 in  momenti  diversi  per  i  vari imputati (con le conseguenti nuove
 iscrizioni nel registro delle notizie di reato), si  e'  in  presenza
 non  di  un  unico,  ma  di  distinti  procedimenti  penali,  i quali
 mantengono la loro natura anche dopo un  eventuale  provvedimento  di
 riunione.
    Ne  deriva,  secondo  la  difesa del Governo, che nei confronti di
 coloro che hanno assunto  la  qualita'  di  indagati  successivamente
 all'assunzione  della  prova  in  incidente  probatorio  non opera la
 preclusione dettata dall'art. 403 e si applichi invece la  disciplina
 degli  artt.  238  (acquisibilita'  di  verbali  di  prove  di  altro
 procedimento) e 511- bis del codice (lettura di verbali di  prove  di
 altri procedimenti).
    Diversamente,  si  osserva  ancora  nell'atto  di  intervento,  si
 dovrebbe assurdamente concludere che il regime di utilizzazione delle
 prove  assunte  in  incidente   probatorio   dipende   da   evenienze
 accidentali quali la riunione o separazione dei procedimenti.
                        Considerato in diritto
    1.  - Il Tribunale di Lecco ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 403 cod. proc. pen. nella parte in  cui  non
 prevede  l'utilizzabilita', nei confronti di imputati i cui difensori
 non hanno partecipato all'assunzione dell'incidente probatorio, della
 perizia disposta a norma dell'art. 392, primo comma, lettera  f)  del
 medesimo  codice,  nel  caso  in  cui  il  giudice  per  le  indagini
 preliminari abbia rigettato, per sopravvenuta  modifica  dello  stato
 dei  luoghi,  la  richiesta di estensione dell'incidente probatorio a
 tali soggetti.
    Secondo il giudice rimettente, la norma impugnata  contrasterebbe,
 innanzi   tutto,  con  il  principio  di  ragionevolezza,  in  quanto
 determinerebbe  una  sorta   di   impunita'   per   coloro   la   cui
 responsabilita'  penale  e'  emersa  solo  dopo  l'espletamento della
 perizia e il mutamento dello stato dei luoghi,  tale  da  rendere  la
 prova  non  piu'  ripetibile.  Sarebbe inoltre violato l'art. 3 Cost.
 sotto il  profilo  della  disparita'  di  trattamento  tra  imputati,
 dipendendo   l'utilizzabilita'  soggettiva  della  prova  assunta  in
 incidente  probatorio  dalla  circostanza  che  sia  stato   o   meno
 oggettivamente  possibile  procedere  all'estensione  dell'incidente.
 Infine, risulterebbe leso anche l'art. 112 Cost., per l'ostacolo  che
 tale  disposizione  determina  all'esercizio  dell'azione  penale nei
 confronti di alcuni imputati.
    2. - La questione  e'  infondata,  nei  termini  che  verranno  di
 seguito precisati.
   Sebbene  il quesito formulato dal giudice a quo sia circoscritto al
 caso della non  estensibilita'  dell'incidente  probatorio  ad  altri
 indagati in relazione alla non reiterabilita' della prova (nella spe-
 cie,  perizia) per sopravvenuta modificazione dello stato dei luoghi,
 la soluzione del  problema  di  costituzionalita'  dipende,  piu'  in
 generale,  dalla definizione della sfera di applicabilita' soggettiva
 dell'art. 403 cod. proc. pen.,  che  limita  l'utilizzabilita'  delle
 prove   assunte  con  l'incidente  probatorio  "nei  confronti  degli
 imputati i cui difensori hanno partecipato alla loro assunzione".
    In  altri  termini,  occorre  preliminarmente  stabilire  se  tale
 dettato  normativo  si  estenda  anche  all'ipotesi in cui la mancata
 partecipazione dei difensori di alcuni soggetti, poi imputati, derivi
 dalla circostanza che, come e' avvenuto nel procedimento  a  quo,  al
 momento  dell'assunzione della prova non erano ancora emersi elementi
 indizianti nei loro confronti.
    3.  -  La disposizione sottoposta a scrutinio di costituzionalita'
 costituisce sviluppo attuativo della  direttiva  n.  40  dell'art.  2
 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, che, in tema di incidente
 probatorio,  prevede  l'obbligo  "di  garantire  la partecipazione in
 contraddittorio del pubblico ministero e dei  difensori  delle  parti
 direttamente interessate" (seconda subdirettiva); nonche', il divieto
 di  "  ..  utilizzare le dichiarazioni concernenti persone diverse da
 quelle chiamate a partecipare" (terza subdirettiva). Interpretando la
 ratio di tali previsioni, il legislatore delegato ha,  nell'art.  403
 cod.  proc. pen., esteso opportunamente il divieto di utilizzabilita'
 soggettiva a tutte le  prove  assunte  senza  la  partecipazione  dei
 difensori  dei  soggetti ad esse interessati, e, quindi, al di la' di
 quelle consistenti in dichiarazioni, le sole formalmente  considerate
 dalla subdirettiva da ultimo citata.
    Che  la  norma  impugnata  sia  stata  concepita in funzione della
 salvaguardia  del  contraddittorio,  espressione  del  piu'  generale
 diritto  di  difesa,  si ricava, oltre che dallo stretto collegamento
 tra le predette direttive della legge-delega, dall'esame  sistematico
 di  altre  disposizioni  collocate  nel  titolo  VII  del libro V del
 codice: in particolare, dall'art. 393, primo comma, lettera  b),  per
 il  quale  nella  richiesta  di  incidente devono essere indicate "le
 persone nei confronti delle quali si  procede  per  i  fatti  oggetto
 della  prova";  dall'art.  395,  che  prevede  la notificazione della
 richiesta, a cura di chi l'ha proposta, alle persone come sopra indi-
 cate (nonche', come affermato da questa Corte con la sentenza n.  436
 del 1990, ai  relativi  difensori);  dall'art.  396,  che  regola  il
 contraddittorio  preventivo  circa  l'ammissibilita'  e la fondatezza
 della  richiesta  di  incidente,  stabilendo  un   termine   per   la
 presentazione  di  deduzioni  scritte;  dall'art. 398, secondo comma,
 lettera b), a  tenore  del  quale,  nell'ordinanza  che  accoglie  la
 richiesta,  il  giudice indica "le persone interessate all'assunzione
 della  prova  individuate  sulla  base  della   richiesta   e   delle
 deduzioni"; dall'art. 401, primo comma, che prevede la partecipazione
 necessaria  all'udienza  "del difensore della persona sottoposta alle
 indagini"; e dal sesto comma  del  medesimo  articolo,  che  pone  il
 divieto  di  "estendere  l'assunzione della prova a fatti riguardanti
 persone diverse da quelle i cui difensori  partecipano  all'incidente
 probatorio",  salvo,  peraltro,  quanto  previsto  dall'art. 402, che
 prevede la necessaria integrazione del  contraddittorio  in  caso  di
 formale  richiesta  di  estensione  dell'incidente  ad altri soggetti
 interessati.
    Dal complesso di tali previsioni  puo'  dunque  desumersi  che  la
 regola   di  inutilizzabilita'  soggettiva  implicata  dall'art.  403
 costituisce una sanzione processuale per la violazione del  principio
 del  contraddittorio,  in  funzione  del  quale,  come  si esprime la
 Relazione al progetto preliminare  del  codice  (p.  99),  l'istituto
 dell'incidente probatorio e' stato "costruito".
    4.  -  Poiche'  l'art.  403  in tanto puo' trovare applicazione in
 quanto non sia stato, nel concreto,  assicurato  il  contraddittorio,
 che  si traduce nella regola della partecipazione del difensore della
 persona sottoposta alle indagini all'assunzione della prova della cui
 utilizzazione si discute, da  tale  disposizione  non  puo'  derivare
 l'inutilizzabilita'  della  prova  formatasi  in  sede  di  incidente
 probatorio   nei  confronti  di  soggetti  che  solo  successivamente
 all'assunzione della prova (ed eventualmente, come nel caso in esame,
 proprio sulla base  di  essa)  sono  stati  raggiunti  da  indizi  di
 colpevolezza,  atteso  che,  per  definizione, nessun contraddittorio
 poteva essere nei loro confronti assicurato.
    Ed infatti, come  questa  Corte  ha  costantemente  rilevato,  nel
 processo  penale, prima che esista una notizia di reato e che essa si
 soggettivizzi nei confronti di  una  determinata  persona,  non  puo'
 esistere  un  problema  di tutela del diritto di difesa (sentenze nn.
 236 del 1988; 29 e 104 del 1977; 300 del 1974; 179 del  1971;  2  del
 1970;   149   del  1969;  ordinanza  n.  655  del  1988),  posto  che
 all'indagato o al coindagato "ignoto" non e' assicurato alcun tipo di
 difesa tecnica. Un tale principio, affermato alla luce  dell'art.  24
 Cost. con riferimento al previgente ordinamento processuale, non puo'
 che  essere ribadito nel nuovo, non ponendo il codice del 1988, sotto
 questo riguardo, diverse problematiche.
    D'altra  parte,  la  disposizione  dell'art.  403  si   limita   a
 trascrivere,  in  chiave  di utilizzabilita' degli atti, la regola di
 invalidita' della prova  istruttoria,  assunta  in  violazione  delle
 norme sulla assistenza difensiva, gia' contenuta nel codice del 1930.
    Una  diversa  lettura  della  disposizione  impugnata,  che non ne
 individuasse la ratio di sanzione  collegata  alla  violazione  delle
 regole  sul contraddittorio previste per l'incidente probatorio, e le
 attribuisse quindi  un  valore  "assoluto",  condurrebbe  a  ritenere
 fondati  i  dubbi di costituzionalita' evidenziati dal giudice a quo.
 In particolare risulterebbe violato l'art. 112  Cost.,  perche',  nei
 confronti  di  coindagati  "ignoti",  non sarebbe consentito compiere
 atti di assicurazione della prova  non  rinviabile  al  dibattimento,
 tali   da   rendere   possibile  l'esercizio  dell'azione  penale,  e
 l'affermazione delle eventuali responsabilita', una  volta  raggiunta
 la  loro  individuazione.  Verrebbe  anche  in  causa il principio di
 ragionevolezza, non essendo comprensibile come  altri  atti  compiuti
 nella  fase  delle  indagini,  suscettibili  di  varia  utilizzazione
 dibattimentale - e in primis gli accertamenti tecnici non  ripetibili
 ex  art. 360 cod. proc. pen. -, per i quali la legge preveda garanzie
 difensive,  sia  pure  diverse  dalla  partecipazione  necessaria  ad
 un'attivita' di udienza, possano essere sottratti ad un simile regime
 di  radicale  inutilizzabilita' soggettiva. Tale considerazione porta
 dunque a privilegiare, anche a prescindere da quanto sopra osservato,
 l'interpretazione conforme a Costituzione.
    5. - E' il caso di sottolineare che e'  rimessa  all'apprezzamento
 dell'autorita'  giudiziaria  la  individuazione  di quali persone, in
 relazione  all'atto   da   assumere,   debbano   essere   considerate
 "indagati",  in  quanto  raggiunte  da  elementi  indizianti.  E tale
 apprezzamento ben puo' essere vagliato dal giudice del  dibattimento,
 ai  fini  dell'eventuale  applicazione  del  divieto di utilizzazione
 probatoria sancito dall'art. 403.
    Resta  fermo,  per  altro   verso,   che   l'utilizzabilita'   nel
 dibattimento   della   prova  assunta  in  incidente  probatorio  nei
 confronti di soggetti solo successivamente sottoposti a indagini  non
 incide  in alcun modo sul loro diritto alla prova, tutelato dall'art.
 190 cod. proc. pen. Ne consegue che, se vi e' richiesta di parte,  il
 mezzo  di  prova, ove non sia manifestamente superfluo o irrilevante,
 deve  essere  rinnovato  in  sede  dibattimentale;  non   escluso   -
 trattandosi, come nel caso in esame, di perizia su luoghi che abbiano
 subi'to  modificazione  - quello che si basi sull'obbiettivita' della
 documentazione acquisita agli atti del procedimento.
    6. - Una volta interpretata la disposizione impugnata nei  termini
 sopra  esposti,  la  questione,  in relazione ai profili invocati, va
 dichiarata non fondata nei sensi di cui in motivazione.