ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma quarto
 septies, della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per  la
 prevenzione  della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme
 di manifestazione di pericolosita' sociale)  introdotto  dall'art.  1
 della  legge  18  gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e
 nomine presso le regioni e gli enti locali), promossi con le seguenti
 ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa  il   14   luglio   1993   dal   Tribunale
 amministrativo  regionale  per  il  Piemonte  sul ricorso proposto da
 Dallavalle Franco Maria  contro  la  U.S.L.  n.  70  di  Alessandria,
 iscritta  al  n.  759  del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  53, prima serie speciale,
 dell'anno 1993;
     2)  ordinanza  emessa   il   16   giugno   1993   dal   Tribunale
 amministrativo  regionale  per  il  Piemonte  sul ricorso proposto da
 Donadio Franco contro la U.S.L. Torino III ed altro, iscritta  al  n.
 760 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto l'atto di costituzione di Donadio Franco nonche' gli atti di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 26 aprile 1994 il Giudice relatore
 Gabriele Pescatore;
    Uditi  l'avv.  Gustavo  Romanelli  per Donadio Franco e l'Avvocato
 dello Stato  Gaetano  Zotta  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  emessa  il  16  giugno  1993  il  Tribunale
 amministrativo  regionale  per  il  Piemonte  ha   sollevato   -   in
 riferimento  agli  artt.  3,  primo  comma  e  97, primo comma, della
 Costituzione - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15,
 comma quarto septies della legge 19 marzo  1990,  n.  55,  introdotto
 dall'art.  1  della  legge 18 gennaio 1992, n. 16, nella parte in cui
 prevede l'"immediata sospensione" del personale, pubblico dipendente,
 che abbia riportato sentenza di condanna per i delitti indicati nelle
 lettere a), b), c), d) di cui al precedente primo comma,  ovvero  nei
 cui  confronti  sussistano le condizioni di cui alle lettere e) ed f)
 dello stesso primo comma.
    Il tribunale remittente premette che il giudizio a quo - nel quale
 e' stata sollevata la predetta questione - ha per oggetto il  ricorso
 avverso  la deliberazione con la quale l'amministratore straordinario
 della  Unita'  sanitaria  locale  di  Torino  III  ha   disposto   la
 sospensione cautelare obbligatoria dal servizio, ex art. 15 succitato
 e  successive  modificazioni,  del  ricorrente  F.  Donadio, primario
 chirurgo presso l'Ospedale Martini di Torino,  per  essere  stato  lo
 stesso  condannato  dalla  corte  di  appello di Torino, con conforme
 decisione alla sentenza di primo grado, per  il  reato  di  cui  agli
 artt.  479 (falso in atto pubblico), 81 e 110 c.p., alla pena di otto
 mesi e dieci giorni di reclusione, con  interdizione  temporanea  dai
 pubblici uffici per il periodo minimo previsto dalla legge.
    Cio'  posto,  il  giudice a quo ritiene che la questione sollevata
 sia rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli  artt.
 3,  primo comma e 97, primo comma, della Costituzione anche alla luce
 dei recenti sviluppi della  giurisprudenza  costituzionale.  Piu'  in
 particolare,  si  osserva che la legge n. 16 del 1992, inscrivendosi,
 come gia' rilevato dalla surrichiamata giurisprudenza costituzionale,
 nel  filone  della  c.d.  legislazione   antimafia,   ha   modificato
 profondamente  il testo previgente dell'art. 15 contenuto nella legge
 n. 55 del 1990, estendendo le norme concernenti limiti all'accesso ed
 alla permanenza nei pubblici uffici - gia' previsti per i titolari di
 cariche elettive o di nomina pubblica - al personale dipendente delle
 pubbliche amministrazioni.
    Senonche' la estensione dell'ambito di  operativita'  della  norma
 censurata,  ovvero  dell'istituto  della sospensione obbligatoria, ai
 dipendenti  della  P.A.  violerebbe  l'art.  3,  primo  comma,  della
 Costituzione  in  quanto  predisporrebbe  lo  stesso  trattamento per
 situazioni profondamente differenziate e pertanto non assimilabili.
    Un  ulteriore  autonomo  profilo  di violazione dell'art. 3, primo
 comma,  della  Costituzione  sarebbe  dato  dalla   circostanza   che
 l'istituto  della  sospensione  obbligatoria,  prevista  dalla  norma
 impugnata, opererebbe solo con  riguardo  ai  dipendenti  degli  enti
 locali,  mentre per i dipendenti delle amministrazioni statali, anche
 se inseriti in uffici periferici, continuerebbe ad applicarsi,  salva
 l'ipotesi  di  provvedimento restrittivo della liberta' personale, la
 sospensione cautelare facoltativa in base agli artt. 91 e  92  d.P.R.
 10  gennaio 1957, n. 3. Ne risulterebbe una ingiustificata disparita'
 di trattamento con conseguente violazione dell'art. 3,  comma  primo,
 della Costituzione.
    Infine,  l'istituto  della sospensione cautelare obbligatoria come
 previsto dalla norma censurata violerebbe  l'art.  97,  primo  comma,
 della Costituzione, in quanto, precluderebbe - da un lato - qualsiasi
 valutazione   in  ordine  alla  pericolosita'  della  persistenza  in
 servizio del dipendente, e - dall'altro e correlativamente - potrebbe
 generare nei confronti dell'amministrazione un notevole pregiudizio.
    In ogni caso verrebbe ad essere sottratta all'ente la possibilita'
 di   valutare   discrezionalmente   l'opportunita',    nell'interesse
 pubblico, della sospensione del dipendente.
    Tutto  cio' apparirebbe ancora meno giustificabile, considerata la
 illegittimita' costituzionale della destituzione di diritto di cui  -
 secondo  il  giudice  a quo - la sospensione obbligatoria avrebbe "di
 fatto rappresentato la premessa".
   2. - Si e' costituito  nel  giudizio  dinanzi  a  questa  Corte  F.
 Donadio  -  ricorrente  nel  giudizio  a  quo  - il quale si richiama
 sostanzialmente   ai   profili   di   incostituzionalita'   ed   alle
 argomentazioni  svolte  nell'ordinanza  di rimessione. Aggiunge che i
 fatti contestatigli in sede penale non avrebbero alcuna attinenza con
 l'attivita' di primario attualmente esercitata  presso  la  divisione
 dell'ospedale  Martini  di Torino, concernendo per contro la qualita'
 di direttore  sanitario  della  Unita'  sanitaria  locale  di  Rivoli
 rivestita in epoca pregressa e precisamente prima del febbraio 1988.
    Inoltre,  l'equiparazione  dei  dipendenti  pubblici  ai  pubblici
 amministratori  sarebbe  fonte  di  gravissimi  pregiudizi  anche   e
 soprattutto  di  carattere  professionale,  e  cio' a maggior ragione
 trattandosi, come nel caso di specie, di un chirurgo, al quale  venga
 inibita  per lunghissimo tempo l'attivita' operatoria nella struttura
 pubblica  -  che  assorbirebbe  la  quasi  totalita'   dell'attivita'
 operatoria  svolta  in Italia - con conseguente irreversibile perdita
 di manualita' ed ulteriori danni professionali.
    3. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
    In  particolare,   l'Avvocatura   deduce   l'insussistenza   della
 prospettata  violazione  dell'art. 3 Cost., avuto riguardo alla ratio
 della l. n. 16 del 1992 la quale,  come  posto  in  luce  dagli  atti
 parlamentari,  sarebbe preordinata a fronteggiare la grave situazione
 di emergenza  nazionale  costituita  dalle  infiltrazioni  di  stampo
 mafioso nella pubblica amministrazione.
    La   suddetta   ratio   spiegherebbe  agevolmente  la  dilatazione
 dell'ambito   di   operativita'   della   sospensione    obbligatoria
 disciplinata  dalla  norma  censurata,  attesoche'  il pericolo delle
 infiltrazioni della delinquenza organizzata non verrebbe meno ed anzi
 coinvolgerebbe in  pari  modo  anche  i  funzionari  delle  pubbliche
 amministrazioni.
    Quanto  al secondo profilo di violazione dell'art. 3, primo comma,
 della Costituzione, prospettato nella  ordinanza  di  rimessione,  la
 questione sarebbe stata gia' risolta con sentenza n. 197 del 1993 nel
 senso    della   applicabilita'   dell'istituto   della   sospensione
 obbligatoria anche ai dipendenti delle amministrazioni statali.
    Infine, in ordine alla violazione dell'art. 97 della Costituzione,
 ritiene l'Avvocatura che le argomentazioni  svolte  al  riguardo  dal
 giudice  a  quo  poggino  su una premessa destituita di fondamento, e
 cioe' che la succitata  sospensione  sia  connotabile  come  sanzione
 disciplinare; mentre essa ha natura cautelare.
    4.  -  Con  altra  ordinanza  emessa  in  data  14 luglio 1993, il
 Tribunale amministrativo  regionale  per  il  Piemonte  ripropone  la
 medesima  questione  di  costituzionalita'  nel  corso di un giudizio
 avente per oggetto l'annullamento della deliberazione  con  la  quale
 l'amministratore  straordinario  della  U.s.l.  n.  70 di Alessandria
 aveva disposto la sospensione cautelare obbligatoria dal servizio  ex
 art.  15,  comma  primo,  lett.  b), e art. 4 septies, della legge 19
 marzo 1990, n. 55, come modificati  dalla  l.  n.  16  del  1992  del
 ricorrente  F.  M. Dallavalle, aiuto medico di ruolo dell'Ospedale di
 Alessandria, per essere stato lo stesso condannato per  il  reato  di
 cui  agli artt. 314 e 81, secondo comma, c.p. dal tribunale di Torino
 con sentenza 23 marzo 1992, non definitiva.
    L'ordinanza  ripropone  negli  stessi  termini  e  con  le  stesse
 argomentazioni i motivi gia' riferiti.
    5.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, il quale ha concluso per la  infondatezza  delle  questioni
 sollevate,  svolgendo argomentazioni identiche a quelle gia' riferite
 al punto 3.
                        Considerato in diritto
    1. - Va disposta la riunione dei  giudizi  per  l'identita'  delle
 norme  impugnate  e  delle censure svolte nelle ordinanze indicate in
 epigrafe.
    2. - E' sottoposta alla Corte la questione  se  l'art.  15,  comma
 quarto  septies,  della  legge  19  marzo  1990,  n.  55,  introdotto
 dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16, violi  gli  artt.  3,
 primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione nella parte in cui
 prevede  la  sospensione  obbligatoria del personale dipendente delle
 pubbliche amministrazioni, nei confronti del quale sia  stata  emessa
 sentenza  di condanna per taluno dei reati indicati nelle lettere a),
 b) e c) di cui al primo comma, ovvero nei cui confronti sussistano le
 condizioni di cui alle lettere e) ed f) dello stesso primo comma.
    3. - Le censure non sono fondate.
    Non quella relativa alla  violazione  dell'art.  3,  primo  comma,
 della  Costituzione,  che lamenta l'eguale trattamento, quanto al re-
 gime di sospensione cautelare, previsto per  soggetti  che  rivestono
 cariche  elettive  in  enti  pubblici  territoriali  ed  assimilati e
 soggetti che sono pubblici dipendenti, in quanto  pone  sullo  stesso
 piano  titolari  di  uffici  pubblici  elettivi,  legati  all'ente da
 rapporto di servizio onorario, e soggetti che  sono,  invece,  legati
 alla P.A. da rapporto d'impiego.
    L'eguale   trattamento   di   categorie  del  tutto  differenziate
 costituirebbe  violazione  del  principio  di  uguaglianza,   sancito
 dall'art. 3 della Costituzione.
    Osserva  la  Corte  che  la  ratio,  desumibile  anche  dai lavori
 preparatori, della l. n.  16  del  1992,  consiste  nell'esigenza  di
 rafforzare  la  disciplina  gia'  posta  dalla  l.  n.  55  del 1990,
 estendendone talune qualificanti previsioni -  inizialmente  riferite
 ai  soggetti  legati  alla  P.A.  da  rapporto  di servizio onorario,
 elettivo o non - a pubblici dipendenti legati alla stessa da rapporto
 di servizio professionale, che possono talora versare  in  condizione
 di  potenziale  maggiore  pericolosita'  e,  quindi,  essere fonte di
 possibili maggiori danni.
    La diversita' delle  posizioni  e  delle  funzioni  non  comporta,
 infatti,   necessaria   diversita'   della   disciplina  intesa  alla
 salvaguardia di interessi fondamentali dello Stato.
    Il trattamento omogeneo delle  due  categorie  e'  stato,  dunque,
 determinato   dalla   legge   razionalmente,  perche'  identici  sono
 finalita' e mezzi di tutela rispetto alla pericolosita' eventuale  di
 comportamenti  decisionali ed operativi (cfr. sentt. n. 402 e 407 del
 1992) potenzialmente pregiudizievoli per la P.A.
    4.  -  Parimenti  infondato  e'  l'altro  profilo  di   violazione
 dell'art.   3,   primo  comma,  della  Costituzione,  correlato  alla
 circostanza che la sospensione cautelare  obbligatoria  riguarderebbe
 solo  i  dipendenti  degli enti locali e non anche i dipendenti delle
 amministrazioni statali, nei cui confronti continuerebbe  ad  operare
 soltanto la sospensione cautelare facoltativa prevista dagli artt. 91
 e 92 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.
    Rileva  la Corte che il comma quarto septies dell'art. 15 della l.
 n.  55  del  1990  si  riferisce  al  "personale   dipendente   delle
 amministrazioni  pubbliche".  Questa  espressione  e' comprensiva dei
 dipendenti locali e centrali delle  amministrazioni  statali  nonche'
 dei dipendenti degli enti locali.
    Tale conclusione e' resa evidente dal riferimento, contenuto nella
 norma  in  esame,  agli  enti "indicati" nel comma primo dello stesso
 art. 15.
    Essendo  tali  enti  tutti  di   carattere   locale,   l'anzidetto
 riferimento  chiarisce  che  il predetto comma quarto septies, quando
 menziona il  personale  dipendente  delle  amministrazioni  pubbliche
 (senza   alcuna   delimitazione),   e'   comprensivo   dei   soggetti
 appartenenti sia alle strutture dello Stato che a quelle  degli  enti
 locali (cfr. sentt. nn. 197 del 1993 e 407 del 1992 cit.).
    5.  - Non fondato e', infine, il dedotto contrasto della normativa
 impugnata con l'art 97, primo comma,  della  Costituzione,  sotto  il
 profilo   che  in  base  ad  essa  verrebbe  impedita  alla  P.A.  la
 valutazione  della  convenienza  in  ordine  all'allontanamento   del
 dipendente,   allontanamento   che  talora  potrebbe  determinare  un
 pregiudizio per l'amministrazione; da qui l'esigenza di non sottrarre
 il  provvedimento  di   sospensione   cautelare   al   vaglio   delle
 peculiarita'  dei singoli casi, preclusa proprio dall'obbligatorieta'
 della sospensione.
    Osserva la Corte che la  sospensione  ex  art.  15,  comma  quarto
 septies,  della  l.  n.  55  del 1990, non si configura come sanzione
 disciplinare, ma consiste in un provvedimento cautelare di  carattere
 speciale  ed  obbligatorio  che si colloca, per le fattispecie cui si
 riferisce,  accanto a figure generali, come la sospensione cautelare,
 prevista per gli impiegati civili dello Stato dall'art. 91  del  t.u.
 10 gennaio 1957, n. 3.
    La  fase  di  quiescenza  della  posizione soggettiva del pubblico
 dipendente, aperta dal provvedimento di sospensione ex  comma  quarto
 septies  cit.,  e' connessa ad una specifica normativa di particolare
 incisivita', diretta a tutelare interessi essenziali  della  P.A.  In
 quanto  collegata  con un giudizio penale, per la inerente sua natura
 cautelare essa ha carattere  temporaneo  e  puo'  essere  oggetto  di
 revoca  amministrativa  (cfr.  art.  9,  comma  secondo, l. n. 19 del
 1990), salvo, in ogni caso, il diritto di difesa dell'interessato.
    Circa  il  riferimento   che   l'ordinanza   di   remissione   fa,
 sottolineandone  le  diversita'  di trattamento, alla destituzione ed
 alla dichiarata incostituzionalita' del suo automatismo  (cfr.  sent.
 n.  197  del  1993  cit.),  e'  da  rilevare  che tale trattamento e'
 conseguenza  proprio  della  diversita'  delle   situazioni   e,   in
 particolare,   del   carattere   direttamente   sanzionatorio   della
 destituzione.
    Per queste considerazioni non  appare  violato  l'art.  97,  primo
 comma,   della   Costituzione,   in  quanto  il  principio  di  buona
 amministrazione in esso sancito va coordinato con  gli  altri  valori
 costituzionalmente  garantiti e, in concreto, con quelli della tutela
 dell'ordine pubblico, ai quali si ispira la disciplina censurata.
    Le denunce di incostituzionalita'  sollevate  dalle  ordinanze  in
 epigrafe sono, quindi, infondate.