IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento disciplinare
 n. 4/1993 reg. cont. not. a carico del notaio  Pascatti  Giovanni  di
 San Vito al Tagliamento;
    Premesso che a seguito della ordinaria ispezione biennale da parte
 dell'archivio  notarile di Pordenone venivano rilevate una violazione
 prevista dall'art. 51 n. 10 l.n., una violazione dell'art. 51  n.  12
 l.n.,  quindici violazioni dell'art. 53 l.n. due violazioni dell'art.
 62 l.n., violazioni tutte sanzionate  disciplinamente  con  l'ammenda
 dall'art. 137 l.n. (verbale di ispezione 28 maggio 1993 in atti);
      che  il  notaio  Pascatti  avvalendosi  delle  facolta'  di  cui
 all'art. 151 l.n., provvedeva al pagamento delle somma di  L.  9.700,
 corrispondente   al   quarto  del  massimo  della  ammenda  stabilita
 dall'art. 137 l.n. per tutte le violazioni riscontrate, chiedendo con
 specifica  istanza  ai  sensi  dell'art.  95  delle  istruzioni   sul
 notariato  approvate  con  d.m.  23  maggio  1916  la declaratoria di
 estinzione dell'azione disciplinare per intervenuta oblazione;
      che alla istanza risulta allegata la corrispondente ricevuta  di
 pagamento;
      che,  conseguentemente,  con atto 8 novembre 1993 il procuratore
 della Repubblica presso il tribunale  di  Pordenone  territorialmente
 competente chiedeva a questo tribunale l'emissione di sentenza di non
 doversi  procedere nei confronti del notaio Guarino in relazione alle
 contravvenzioni di cui al citato verbale di ispezione per intervenuta
 oblazione;
      che il notaio non risulta recidivo come  attestato  in  data  16
 dicembre 1993 dall'archivio notarile di Pordenone;
      che   in   relazione   alla  richiesta  declaratoria,  dovendosi
 accertare  la  invocata  sussistenza  della   causa   di   estinzione
 dell'azione  disciplinare con riferimento al pagamento del quarto del
 massimo della somma indicata dall'art. 137 l.n.,  tale  ultima  norma
 risulta di immediata e diretta rilevanza e applicazione;
                            R I L E V A T O
      che  l'art.  137 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, prevede al
 primo comma l'ammenda da lire 40 a lire  400,  ed  al  secondo  comma
 l'ammenda  da  lire  400  a lire 3.200, talche' il quarto del massimo
 dovuto ai sensi dell'art. 151 l.n. per l'estinzione del  procedimento
 disciplinare  per  ciascuna  violazione  ammonta rispettivamente alla
 somma di lire 100 e di lire 800;
     che tale  importo  costituisce  un'entita'  pecuniaria  meno  che
 simbolica  ed  insignificante,  e  cio' non solo con riferimento alle
 capacita' patrimoniali di categorie professionali  a  reddito  minimo
 elevato  e  garantito  per  legge come quella notarile, ma in termini
 assoluti,  posto  che  chiunque  nella  odierna  realta'  sociale  ed
 economica  e'  in grado di disporre senza sofferenza alcuna di simile
 somma;
      che  conseguentemente   tutta   una   serie   di   obblighi   di
 comportamento   imposti   dall'esercizio   delle  funzioni  notarili,
 particolarmente rilevanti e pregnanti in considerazione della  natura
 formale  e fidefacente dell'attivita' di pubblico ufficiale espletata
 dal notaio - la cui osservanza richiede  ragionevolmente  correlative
 adeguate   previsioni   sanzionatorie   in  chiave  repressiva  e  di
 prevenzione generale dell'interesse pubblico oltre che  di  categoria
 professionale - rimangono in concreto sprovvisti di doverosa sanzione
 nei  termini  di  contenuto che le esigenze appena evidenziate invece
 imporrebbero, non apparendo fra  l'altro  applicabile  la  previsione
 adeguativa  delle  sanzioni  pecuniarie  contenuta  in  via  generale
 nell'art. 12 della legge n. 689/1981 che  espressamente  esclude  dal
 campo di applicazione della norma in oggetto la materia disciplinare;
    Rilevato   che   nella   logica   del   sistema   sussisteva   una
 proporzionalita' fra tariffe professionali ed entita' delle sanzioni,
 tanto che il d.l. 9 aprile 1948,  n.  528,  nel  disporre  l'aumento
 delle  tariffe  notarili, all'art. 24 dispone l'aumento di otto volte
 dell'ammontare   delle   ammende   della   legge   notarile,   mentre
 successivamente  in  modo illogico si sono disposti periodici aumenti
 delle tariffe senza  adeguare  proporzionalmente  anche  le  sanzioni
 pecuniarie  disciplinari;  ritenuto alla stregua delle considerazioni
 sopra svolte che la previsione di una sanzione simbolica e  irrisoria
 contenuta  nell'art.  137 l.n. contrasti con il generale principio di
 logicita' e ragionevolezza  posto  dall'art.  3  della  Costituzione,
 cosi' come interpretato dalla Corte costituzionale;
    Rilevato  altresi'  che  la  censurata  previsione di una sanzione
 priva di qualsiasi afflittivita', e quindi di efficacia emendatrice e
 preventiva, disposta dall'art. 137 l.n. per le violazioni di norme di
 comportamento  ivi  contemplate  alteri  la  logicita',  coerenza   e
 ragionevolezza  dell'intero  sistema  sanzionatorio  istituito  dalla
 legge notarile 16 febbraio 1913, n. 89,  atteso  che  per  violazioni
 disciplinari    meno    gravi   risulta   applicabile   la   sanzione
 dell'avvertimento o della censura, mentre per piu'  gravi  violazioni
 sanzionabili  con  l'ammenda il contenuto concreto della sanzione, di
 fatto  simbolico  ed  eliminabile  tramite  pagamento  di  una  somma
 irrisoria,  risulta  di gran lunga meno afflittivo di quanto statuito
 per fatti meno gravi;
    Ritenuto  che   anche   sotto   questo   profilo   la   previsione
 sanzionatoria   dell'art.   137   l.n.  contrasti  con  il  principio
 costituzionale di logicita'  e  ragionevolezza  sancito  dall'art.  3
 della   Costituzione,  creandosi  una  ingiustificata  disparita'  di
 trattamento   fra  violazioni  lievi  sanzionate  piu'  gravemente  e
 violazioni  considerate  nel  sistema  piu'  gravi  (tanto  da  esser
 devolute   alla  competenza  del  tribunale  anziche'  del  Consiglio
 notarile) ma in  concreto  prive  di  effettiva  sanzione,  dovendosi
 ritenere  che  "il  principio  di  proporzione che e' alla base della
 razionalita' che domina il principio di uguaglianza regoli sempre  la
 adeguatezza  della  sanzione  al  caso concreto", mentre una siffatta
 situazione determinerebbe manifestamente un  irrazionale  trattamento
 di  privilegio  a  favore dei notai che commettono le infrazioni piu'
 gravi (in temini, Corte costituzionale sentenza 2 febbraio  1990,  n.
 40);
    Ritenuto  che tutto quanto ad ora esposto evidenzi una lesione del
 principio di legalita' e buon  andamento  dell'azione  amministrativa
 sancito  dall'art. 97 della Costituzione, atteso che solo un coerente
 ed efficace sistema sanzionatorio e' idoneo a garantire, in  funzione
 inibitoria   di  prevenzione  generale,  un  corretto  ed  efficiente
 svolgimento  di  una  importante  funzione   pubblica   certificativa
 attribuita al notariato;
    Ritenuto  infine  che l'irrogazione di sanzione disciplinare priva
 di contenuto afflittivo per  violazioni  a  regole  di  comportamento
 imposte  nell'esercizio della funzione e professione notarile, regola
 da ritenersi per le ragioni  in  precedenza  esposte  fondamentali  e
 rilevanti   per   la   tutela   di  interessi  collettivi  oltre  che
 professionali,   costituisca   una   ingiustificata   disparita'   di
 trattamento  rispetto  alla  violazione  di  corrispondenti regole di
 condotta  stabilite  per  altre  pubbliche   funzioni   o   attivita'
 professionali  e  che trovano correlativa adeguata sanzione sul piano
 disciplinare, violandosi in tal modo a favore dei notai il  principio
 di  uguaglianza  fra  cittadini  di  diversa  condizione  personale e
 sociale posto dall'art. 3 della Costituzione, risultando contrastante
 con il disposto di tale norma  fondamentale  "l'irrazionalita'  della
 disposizione  che determina un trattamento gravemente differenziato a
 seconda che il pubblico ufficio sia quello inerente alle funzioni del
 notaio o a quelle di altro pubblico ufficiale" (Corte  costituzionale
 sent. 2 febbraio 1990, n. 40);
   Rilevato   che   la   richiesta   declaratoria   di  illegittimita'
 comporterebbe comunque l'applicazione della disciplina che risultasse
 interpolata dalla Corte,  trattandosi  di  materia  extra  penale  in
 relazione  alla  quale  non  puo'  porsi  questione  di  applicazione
 retroattiva di regimi sanzionatori piu' gravosi; talche' la questione
 prospettata e' di diretta ed attuale rilevanza;
   Ritenuto di dover sollevare d'ufficio  ex  art.  23,  terzo  comma,
 della  legge  costituzionale  11  marzo  1953, n. 87, la questione di
 legittimita'  costituzionale  pregiudiziale  alla   emissione   della
 pronuncia richiesta;