LA CORTE DI CASSAZIONE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul  ricorso  proposto  dalla
 Banca  Nazionale  del  Lavoro, elettivamente domiciliata in Roma, via
 Val Gardena, 3, presso l'avv. Lucio De Angelis, che la rappresenta  e
 difende  unitamente  all'avv.  Alberto  Caltabiano,  in  virtu' della
 procura speciale, atti notar dott. Mario Liguori del 12 giugno  1990,
 rep.  n.  56980,  ricorrente,  contro  la  Banca Commerciale Italiana
 S.p.a.,  elettivamente domiciliata in Roma, via Virgili, 8, presso lo
 studio dell'avv.  Enrico  Ciccotti,  che  la  rappresenta  e  difende
 unitamente   all'avv.  Roberto  Vicini  giusta  delega  in  calce  al
 controricorso, controricorrente, e contro: Malverdi Alessandro, Banca
 Nazionale dell'Agricoltura, fallimento Alessandro Malverdi e Banco di
 Sicilia, intimati, avverso la sentenza 529/89, della corte di appello
 di Bologna, depositata il 15 giugno 1989; sono presenti per  il  ric.
 l'avv.  A.  Caltabiano per il res. l'avv. E. Ciccotti, il cons. dott.
 Nardino svolge la relazione; la difesa del ric. chiede  accoglimento;
 la difesa del res. chiede rigetto; il p.m. dott. Lupi conclude per il
 rigetto del ricorso.
                           O R D I N A N Z A
    1.  -  Con  sentenza  del 21 febbraio 1984 il tribunale di Bologna
 dichiaro' il fallimento  della  New  Matic  S.r.l.  e  di  Alessandro
 Malverdi,   gia'   socio   accomandatario   della   Telmatic  S.a.s.,
 precedentemente incorporata dalla New Matic S.r.l.
    Il Malverdi  propose  opposizione  contro  il  proprio  fallimento
 personale,  chiamando in giudizio, oltre al curatore fallimentare, la
 Banca Nazionale del Lavoro ed il Banco di  Sicilia,  quali  creditori
 istanti,  nonche'  i sindaci della New Matic S.r.l. Altre opposizioni
 al fallimento del Malverdi vennero  proposte  dalla  Banca  Nazionale
 dell'Agricoltura e dalla Banca Commerciale Italiana.
    Riunite le opposizioni, l'adito tribunale di Bologna, con sentenza
 n.  829  dell'8 aprile 1987, revoco' il fallimento del Malverdi. E la
 corte d'appello di Bologna confermo' tale pronuncia con  sentenza  in
 data  15  giugno 1989, rigettando l'impugnazione proposta dalla Banca
 Nazionale del Lavoro sulla base delle seguenti considerazioni:
    "I due istituti della fusione di societa' e  della  trasformazione
 sono   tra   loro  diversi  sia  sotto  il  profilo  strutturale  che
 funzionale, per cui l'applicazione  dell'art.  2499  cod.  civ.  alle
 fusioni  c.d.  eterogenee  attuerebbe una illegittima commistione tra
 norme  dettate  per  disciplinare  diverse  vicende  societarie".  La
 fusione,  infatti, "realizza la situazione giuridica corrispondente a
 quella di una  successione  universale,  producendo  l'effetto  della
 estinzione  delle  societa' fuse o incorporate e la sopravvenienza di
 un altro soggetto, che rappresenta il nuovo centro d'imputazione  dei
 rapporti giuridici riguardanti i soggetti fusi o incorporati"; l'atto
 di  trasformazione delle societa' consente, invece, "la continuazione
 dell'attivita' sociale in forme istituzionali diverse e non  comporta
 l'estinzione della societa' soggetta a trasformazione".
    "Tali  diversita' si riflettono sul diverso potere riconosciuto ai
 creditori nelle due ipotesi": mentre nel  caso  di  trasformazione  i
 soci  illimitatamente  responsabili  non  sono  liberati  dalla  loro
 responsabilita' per le  obbligazioni  sociali  assunte  anteriormente
 alla  trasformazione,  "se  non  vi  sia stata un'adesione espressa o
 presunta da parte dei creditori" (art. 2499 del c.c.), nella  diversa
 ipotesi della fusione di societa' "l'art. 2503 riconosce ai creditori
 un diritto ben maggiore, consistente .. nella possibilita' di opporsi
 addirittura all'attuazione della fusione delle societa' interessate";
 con  la  conseguenza  che "la cumulabilita' delle discipline previste
 dagli  artt.  2499  e  2503,  nell'ipotesi  particolare  di   fusione
 eterogenea  ..,  deve  escludersi"  -  come  ritenuto  dalla Corte di
 cassazione in fattispecie analoga a quella in esame - "in ragione sia
 della loro separata ed autonoma  collocazione  normativa,  sia  della
 diversita' dei presupposti e delle finalita'".
    Nella  specie,  "verificatasi  la  fusione  senza  opposizione dei
 creditori, non si sarebbe potuto dichiarare il  fallimento  personale
 del  Malverdi,  in  quanto  unica  obbligata era ormai la societa' di
 capitali incorporante (la S.r.l. New  Matic),  con  esclusione  della
 responsabilita'  personale del socio accomandatario della incorporata
 (e pertanto estinta) soc. Telmatic S.a.s.".
    Contro la sentenza di appello la Banca  Nazionale  del  Lavoro  ha
 proposto  ricorso  per  cassazione,  al  quale  ha resistito la Banca
 Commerciale Italiana, mentre  gli  altri  intimati  (Malverdi,  Banca
 Nazionale  dell'Agricoltura, Banco di Sicilia, curatela fallimentare)
 non hanno svolto difese.
    2. - La banca ricorrente denuncia violazione degli artt. 147 della
 legge fall., 2502 e segg. e 2499 del cod. civ., in relazione all'art.
 360,  n.  3,  del  c.p.c.;  ed  in  base  al  rilievo  -   confortato
 dall'opinione    di    parte    della    dottrina   -   secondo   cui
 contemporaneamente applicabili, in caso di fusione  eterogenea,  "sia
 l'art.  2503  sia  l'art.  2499"  del cod. civ., censura la pronuncia
 della Corte bolognese per avere adottato nel caso di specie l'opposta
 soluzione e per avere erroneamente  ritenuto  che  "l'opposizione  ..
 concessa   ai   creditori  sociali  dall'art.  2503  del  cod.  civ."
 costituisca "lo strumento capace di evitare la liberazione" dei  soci
 illimitatamente  responsabili della societa' di persone incorporanda.
 In realta' l'opposizione assolve, ad avviso della  banca  ricorrente,
 la  sola  funzione  di impedire la fusione delle societa', ove questa
 risulti pregiudizievole all'interesse dei creditori; "viceversa .. il
 mancato consenso alla trasformazione non costituisce mai  impedimento
 della  vicenda  modificativa  dell'atto  costitutivo  ed  e'  rivolta
 esclusivamente ad evitare la  liberazione  dei  soci  illimitatamente
 responsabili".  Avuto  riguardo  alla "diversita' di scopi tra le due
 opposizioni", si dovrebbe  concludere  che  l'art.  2503,  se  appare
 idoneo   a  soddisfare  l'interesse  dei  creditori  "di  evitare  la
 confusione di patrimoni", non e' invece "in grado di  fornire  alcuna
 ragionevole   spiegazione  di  una  eventuale  liberazione  dei  soci
 illimitatamente responsabili" ne' puo'  costituire  impedimento  alla
 dichiarazione  di  fallimento, "insieme con la societa' incorporante,
 del socio illimitatamente responsabile della societa' incorporata, il
 quale non  sia  stato  liberato  dalla  responsabilita'  mediante  il
 consenso di tutti i creditori".
    3.  -  Il  collegio rileva che le argomentazioni svolte a sostegno
 del ricorso contrastano - come la stessa ricorrente riconosce - con i
 principi enunciati da questa Corte con la sentenza  n.  4565  del  25
 ottobre 1977 e cosi' massimati:
    "La  fusione  di  societa'  realizza  una successione universale e
 postula la sopravvenienza di un soggetto risultante  o  incorporante,
 che rappresenta il nuovo centro d'imputazione e di legittimazione dei
 rapporti  giuridici  gia'  riguardanti i soggetti fusi o incorporati,
 con la conseguente confusione dei rispettivi patrimoni delle societa'
 preesistenti, salva  l'opposizione  dei  creditori  sociali  a  norma
 dell'art.  2503  del  c.c.  Ne  consegue che, verificatasi la fusione
 senza opposizione dei creditori, unico obbligato  e'  il  nuovo  ente
 societario   avente  personalita'  giuridica,  con  esclusione  della
 responsabilita' personale dei soci della societa'  incorporata  priva
 di personalita' giuridica".
    "Non  e'  ipotizzabile  l'applicazione cumulativa delle discipline
 previste dagli artt. 2499 e 2503 del c.c. nella  ipotesi  particolare
 di  fusione  eterogenea  (comprendente cioe' elementi della fusione e
 della trasformazione di societa', anche in  relazione  alla  parziale
 identita'   dei   soci),   come  effetto  del  concorso  di  elementi
 caratterizzanti  i  singoli  istituti,  sia  in  ragione  della  loro
 separata  ed  autonoma  collocazione normativa, sia per la diversita'
 dei presupposti e delle finalita'".
    "La disciplina dettata dall'art. 2312 del c.c. per le societa'  in
 nome  collettivo,  per  cui,  dopo  la  cancellazione  della societa'
 estinta dal registro delle imprese, i creditori sociali  possono  far
 valere  i loro diritti nei confronti dei soci della societa' estinta,
 non trova applicazione nel caso  di  societa'  fuse  od  incorporate,
 giacche'  per esse l'estinzione delle societa' non e' l'atto ultimo e
 definitivo,  come  nell'ipotesi  generale   di   scioglimento   delle
 societa',   bensi'   realizza   una  successione  universale  con  la
 sopravvivenza di un soggetto  risultante  o  incorporante,  il  quale
 rappresenta il nuovo centro d'imputazione dei rapporti giuridici gia'
 riguardanti le societa' fuse o incorporate".
    A   tali  principi  si  e'  sostanzialmente  uniformata  la  corte
 d'appello di Bologna, affermando che il solo rimedio  concesso  dalla
 legge  ai  creditori  della  societa'  di  persone,  per  evitare "la
 confusione  dei   patrimoni"   e   conservare   la   garanzia   della
 responsabilita'  patrimoniale  "sussidiaria" dei soci illimitatamente
 responsabili,  e'  costituito,  in  caso   di   fusione   eterogenea,
 dall'opposizione  prevista  dall'art.  2503  del c.c. e che, ove tale
 opposizione  non  venga  proposta   entro   tre   mesi   dalla   data
 dell'iscrizione  nel registro delle imprese delle deliberazioni delle
 societa'  partecipanti  alla  fusione,  si   verifica,   secondo   la
 giurisprudenza    sopra   richiamata,   la   liberazione   dei   soci
 illimitatamente  responsabili  della  societa'   incorporanda,   come
 conseguenza   automatica   dell'attuazione   della  fusione  e  della
 estinzione dei soggetti che ad essa hanno partecipato (art. 2404  del
 c.c.).
    Cio'  posto,  appare  rilevante  e non manifestamente infondata la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  del  sistema  di  tutela
 offerto  ai  suddetti creditori dall'art. 2503 del c.c. (nel testo in
 vigore prima dell'entrata in vigore della novella di cui al d.lgs. 16
 gennaio 1991, n.  22),  in  riferimento  agli  artt.  24  e  3  della
 Costituzione.
    4.  -  Com'e'  noto,  analoga  questione  e'  stata sottoposta dal
 tribunale di Genova, con ordinanza 6 giugno-13 luglio 1991, al vaglio
 della  Corte  costituzionale,  in  un  giudizio  avente  ad   oggetto
 l'estensibilita'  della dichiarazione di fallimento della societa' di
 capitali  incorporante   ad   una   societa'   in   nome   collettivo
 (incorporata)    ed   ai   soci   illimitatamente   responsabili   di
 quest'ultima.
    La Corte costituzionale, con sentenza n.  409  del  21-29  ottobre
 1993,  ha  dichiarato  inammissibile  detta questione "per difetto di
 motivazione sulla rilevanza", in base alla duplice considerazione:
      a) che, risultando dall'ordinanza  di  rimessione  essere  stata
 proposta  dai  creditori istanti anche una opposizione "tardiva" alla
 fusione, la censura di incostituzionalita' degli artt.  2503  e  2504
 del  c.c. atteneva "esclusivamente" a questo giudizio; ne' il giudice
 a  quo  aveva  spiegato  le  ragioni per le quali la cognizione della
 causa  avanti  a  lui  proposta   "richiedesse   preliminarmente   la
 valutazione",   sia  pure  incidenter  tantum,  "della  tempestivita'
 dell'opposizione alla fusione";
      b) che difetterebbe ugualmente  il  requisito  della  rilevanza,
 "ove  si  abbandonasse  la  premessa  interpretativa  da cui muove il
 giudice rimettente" e si accedesse all'opposta tesi, sostenuta  dalla
 dottrina  e  da  parte  della  giurisprudenza  di merito, secondo cui
 l'opposizione di cui all'art. 2503 del c.c. riguarda  "esclusivamente
 l'atto  di  fusione  .., mentre resta invariata la posizione dei soci
 illimitatamente responsabili della societa' fusa",  sicche'  rispetto
 alla   responsabilita'  di  costoro  sarebbe  del  tutto  irrilevante
 l'eventuale tardivita' dell'opposizione.
    5. - Sembra a questa Corte che le argomentazioni innanzi  riferite
 non  ostino  alla riproposizione della questione di costituzionalita'
 dell'art. 2503, non sussistendo nel presente giudizio  la  situazione
 processuale  che  ha  impedito alla Corte costituzionale di esaminare
 nel  merito  le  censure  di  incostituzionalita'   prospettate   dal
 tribunale  di  Genova.  Nella  specie,  infatti, non risulta pendente
 alcuna causa di opposizione (tempestiva o tardiva) alla  fusione  per
 incorporazione  della  S.a.s.  Telmatic nella S.r.l. New Matic, ma si
 controverte  unicamente  sulla  estensibilita'  del   fallimento   di
 quest'ultima  societa'  al socio (gia') accomandatario della S.a.s. E
 la rilevanza di detta questione appare evidente, ove si consideri che
 la decisione della presente  controversia  dipende  dall'accertamento
 della  conformita'  agli indicati precetti costituzionali (artt. 24 e
 3) del sistema legale di tutela dell'interesse  dei  creditori  della
 societa'  di persone alla conservazione della garanzia sul patrimonio
 dei soci illimitatamente responsabili di questa, posto che i  giudici
 del   merito   hanno  negato  la  sopravvivenza  alla  fusione  della
 responsabilita' personale dei soci e l'estensibilita' del  fallimento
 della  New Matic al Malverdi proprio in base alla considerazione che,
 in difetto di opposizione alla fusione nel termine di legge da  parte
 dei  creditori  della  S.a.s.  Telmatic,  questa  si era estinta e lo
 stesso Malverdi, alla stregua dei principi innanzi richiamati, doveva
 ritenersi liberato dalla propria responsabilita' "sussidiaria" per  i
 debiti contratti dalla suindicata societa' prima della fusione.
    Non  a  caso,  del  resto, il dibattito processuale e' stato ed e'
 tuttora interamente incentrato  sull'interpretazione  dell'art.  2503
 del  c.c. e sulle conseguenze derivanti, per i creditori, dal mancato
 esercizio dell'unico rimedio di cui essi dispongono per  impedire  la
 liberazione  dei  soci  illimitatamente  responsabili  della societa'
 debitrice.
    6. - Tanto premesso, la Corte ritiene, anche  sulla  scorta  degli
 argomenti  svolti nella citata ordinanza del tribunale di Genova, che
 contrasti con l'art. 24 della Costituzione la disposizione  dell'art.
 2503  del  c.c.  nella  parte  in  cui  fa  dipendere  il diritto dei
 creditori  della  societa'  di  persone  nei   confronti   dei   soci
 illimitatamente   responsabili   di   questa,   in  caso  di  fusione
 eterogenea, dalla  proposizione  del  giudizio  di  opposizione  alla
 fusione  entro  un  termine  (tre  mesi)  decorrente  non  gia' dalla
 conoscenza effettiva dell'evento produttivo  della  estinzione  della
 societa'  debitrice  e  della  liberazione  dei  soci illimitatamente
 responsabili  (delibera  di fusione per incorporazione della societa'
 debitrice  in  una  societa'  di  capitali),   bensi'   dall'astratta
 conoscibilita'  di  tale  delibera, derivante dall'iscrizione di essa
 nel registro delle imprese.
    La Corte  non  intende  certamente  disconoscere  che  il  sistema
 dell'iscrizione nel registro di cui all'art. 100 delle disp. att. del
 c.c.  costituisce  -  come  rileva  la  sentenza n. 4565/1977 innanzi
 citata - "la forma tipica di pubblicita' erga  omnes  in  materia  di
 societa'". E tuttavia sembra sostenibile che la disposizione di legge
 in  esame non si sottrae, quanto meno nella particolare ipotesi della
 fusione  eterogenea,  al  sospetto  di  incostituzionalita',  ove  si
 consideri che essa sottopone i creditori ad un onere eccessivo e tale
 da   compromettere   seriamente   la   tutela   dei   loro   diritti,
 costringendoli  a  compiere  una  continua  attivita'   di   verifica
 dell'eventuale  esistenza  di  delibere  di  fusione  delle  societa'
 debitrici con societa' a responsabilita' limitata, mediante  ricerche
 in registri che realizzano una pubblicita' soltanto locale e che sono
 non  di rado custoditi in luoghi distanti dal domicilio dei creditori
 stessi; ad accertare le condizioni  della  fusione  e  la  situazione
 economico-patrimoniale della societa' incorporante o risultante dalla
 fusione;  a  valutare  l'opportunita'  e  la  convenienza di proporre
 opposizione; a redigere ed a far notificare, a mezzo  del  difensore,
 il  relativo  atto:  il  tutto  entro  un termine solo apparentemente
 congruo, ma in realta'  insufficiente  per  l'espletamento  di  cosi'
 complessi  incombenti e decorrente - giova ribadirlo - da una data di
 cui non sempre essi possono venire tempestivamente a conoscenza,  pur
 con l'impiego della dovuta diligenza.
    7.  -  Dubbia appare la legittimita' costituzionale dell'art. 2503
 del c.c. anche  in  riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,  a
 confronto  con  il  ben diverso e piu' efficace sistema di tutela dei
 diritti dei creditori offerto dall'art. 2499  del  c.c.  in  caso  di
 trasformazione di societa' di persone in societa' di capitali.
    Anche  a  tal  proposito  non  e'  certo  contestabile  che - come
 sottolinea Cass. n. 4565/77 - gli  istituti  della  trasformazione  e
 della fusione di societa' sono diversi "sotto i profili strutturali e
 funzionali"  e  che  diversi  sono  gli effetti giuridici che da essi
 derivano.
    Ritiene tuttavia il collegio che, ove pur si rifiuti l'opinione di
 parte  della  dottrina  secondo  la  quale  la   fusione   eterogenea
 implicherebbe  anche  una trasformazione di una o piu' delle societa'
 che si fondono, sussiste pur sempre tra  i  due  istituti  una  certa
 analogia  nelle  modalita'  di attuazione e negli effetti riguardo ai
 creditori sociali, sopratutto con riferimento all'ipotesi -  che  qui
 interessa  -  della  fusione eterogenea; e questo rilievo consente la
 comparabilita' delle due discipline per quanto concerne la tutela dei
 diritti dei  creditori,  i  quali  in  entrambe  le  vicende  possono
 rimanere  pregiudicati,  sia per la limitazione della responsabilita'
 della  societa'  di  persone  -   debitrice   derivante   dalla   sua
 trasformazione o dalla incorporazione in una societa' di capitali che
 ne assume i diritti e gli obblighi, sia per il verificarsi - a deter-
 minate  condizioni  -  della  liberazione  dei  soci  illimitatamente
 responsabili.
    Se  -  come risulta dalla piu' volte richiamata sentenza di questa
 Corte - le disposizioni dell'art. 2503  del  c.c.  costituiscono,  in
 materia di fusione (anche eterogenea), il sistema esaustivo di tutela
 dei  creditori  corrispondente  (pur  se  diverso)  a quello previsto
 dall'art. 2499 in materia di trasformazione, e se entrambe le  disci-
 pline  (delle  quali  viene  esclusa  la  contestuale applicabilita')
 comportano, come comune conseguenza della inerzia dei  creditori  nel
 periodo   di  tempo  rispettivamente  previsto  da  dette  norme,  la
 liberazione da responsabilita' dei soci illimitatamente  responsabili
 della  societa' di persone trasformata e di quella fusa o incorporata
 in una societa' di capitali, non sembra razionalmente giustificata la
 disparita'  di  trattamento  dei  creditori  nell'una  e   nell'altra
 ipotesi, a fronte di interessi meritevoli di pari tutela.
    Ed invero, mentre l'art. 2499 del c.c. ricollega gli effetti della
 trasformazione pregiudizievoli per i creditori al decorso del termine
 di   trenta   giorni   dalla  comunicazione  personale,  a  mezzo  di
 raccomandata, a ciascun creditore della delibera  di  trasformazione,
 senza   che  l'interessato  abbia  espressamente  negato  il  proprio
 consenso (dando cosi' valore alla  conoscenza  effettiva  dell'evento
 potenzialmente  pregiudizievole),  l'art.  2503  fa invece discendere
 automaticamente i medesimi effetti (limitazione  di  responsabilita',
 liberazione  dei  soci illimitatamente responsabili della societa' di
 persone fusa o incorporata), in caso di fusione eterogenea, dal  solo
 decorso  del  termine  di tre mesi dall'iscrizione nel registro delle
 imprese della delibera di fusione, indipendentemente dal fatto che  i
 creditori possano averne avuto notizia.
    L'irragionevolezza   della  meno  efficace  tutela  dei  creditori
 prevista dall'art. 2503 del c.c. risulta ancor  piu'  palese  ove  si
 consideri  che  anche  la  delibera  di  trasformazione  deve  essere
 iscritta, secondo le comuni regole della  pubblicita'  delle  vicende
 societarie,  nel registro delle imprese (art. 2498 del c.c.), al pari
 della delibera di fusione (art. 2502); sicche' non sembra  rispondere
 a criteri di razionalita' ed al fondamentale principio di uguaglianza
 la   discriminazione   derivante,   sul  punto  in  questione,  dalla
 diversita' delle normative poste  a  confronto,  considerato  che  la
 legge  non  attribuisce rilevanza, ai fini della tutela dei creditori
 sociali, all'iscrizione della delibera di  trasformazione  (e  quindi
 all'astratta   conoscibilita'   dell'evento   che   essa   comporta),
 prescrivendone  la  comunicazione  personale  e  diretta  ai  singoli
 creditori,  allo scopo di porli concretamente in grado di concedere o
 di negare il proprio consenso alla trasformazione e di cautelarsi  in
 tal  modo  dalla limitazione di responsabilita' che da essa deriva ed
 impedendo la liberazione dei soci illimitatamente responsabili  della
 societa'  debitrice,  mentre  nel  caso  di fusione eterogenea questa
 ulteriore e fondamentale formalita',  che  garantisce  l'effettivita'
 della  tutela  dei  diritti  dei  creditori  sociali, non e' prevista
 dall'art. 2503 del c.c., con la conseguenza  che  l'interessato  puo'
 trovarsi   esposto   agli   effetti  pregiudizievoli  sopra  indicati
 derivanti da una fusione attuata a sua insaputa (e talora dolosamente
 preordinata proprio al fine  di  "liberare"  i  soci  illimitatamente
 responsabili), per il sol fatto del decorso del termine di legge.
    8.  -  Non  sembra, infine, privo di significato il rilievo che il
 legislatore del 1991, nell'emanare il citato  d.lgs.  n.  22/1991  in
 attuazione  di  normativa  comunitaria  in  materia  di  fusione e di
 scissione di societa', abbia avvertito l'esigenza di imporre maggiori
 oneri  di  pubblicita'  dei procedimenti di fusione ed abbia al tempo
 stesso disposto un piu' efficace sistema di tutela dei creditori (pur
 se ancora notevolmente diverso da quello previsto dall'art. 2499  del
 c.c.),  facendo decorrere il termine per l'opposizione alla fusione -
 ridotto a due mesi - dalla iscrizione delle delibere  delle  societa'
 partecipanti   nei   rispettivi   registri   delle   imprese  ovvero,
 alternativamente, dalla pubblicazione  delle  stesse  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  (artt.  10  e segg.) e cosi' agevolando
 l'attivita' di controllo, da parte dei creditori, delle  delibere  in
 materia  delle societa' debitrici ed il concreto esercizio dei rimedi
 offerti dalla legge per impedire che la fusione  pregiudichi  i  loro
 diritti.