IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Visti gli atti; O S S E R V A Gli imputati: 1) Ginocchietti Claudio nato a Perugia il 20 febbraio 1974, 2) Gigliotti Simone nato a Citta' della Pieve il 13 giugno 1972, 3) Febbroni Simone nato a Perugia il giorno 8 settembre 1973, 4) Bovari Andrea nato a Perugia il 29 marzo 1974, 5) Biagini Roberto nato a Fano il 30 marzo 1974, sono chiamati a rispondere di violenza carnale in relazione a tre episodi commessi, in danno di Chiara Guercini, tra il 26 marzo 1992 e il 27 aprile 1992. I reati sono contestati in concorso con altri, minorenni all'epoca dei fatti e per questo gia' giudicati dal tribunale dei minorenni di Perugia. Due degli imputati, Bovari Andrea e Biagini Roberto, erano minori alla data del primo episodio 26 marzo 1992 ma maggiorenni alla data dei due successivi episodi. Il difensore di Ginocchietti Claudio ha richiesto che venga sollevata dal giudice questione di legittimita' costituzionale degli artt. 8, 9, 28 e 29 del d.P.R. n. 448/1988 (disposizione sul processo penale a carico di imputati minorenni) nonche' degli artt. 14, 67, 529, 533 del c.p.p.: in relazione agli artt. 3 e 27 della Costituzione. La questione proposta attiene all'esclusione, per gli imputati maggiorenni anche se infraventunenni, dalla possibilita' di avvalersi delle forme di definizione del processo previsto per i minorenni, e, in particolare, di quelle sub artt. 28 e 29 del d.P.R. n. 448/1988 che prevedono l'estinzione del reato per esito positivo del periodo di messa alla prova, previo (art. 9) accertamento sulla personalita' del minore. Il difensore del Ginocchietti rileva che tale preclusione contrasta con i principi costituzionali stabiliti dalle norme predette tanto piu' che, per gli imputati infraventunenni, l'ordinamento (art. 163, terzo comma, del c.p.) prevede un trattamento diverso da quello degli ultraventunenni, con cio' riconoscendo la necessita' di diversi criteri sanzionatori ed, in particolare, la previsione di una discrezionalita' del giudice dai margini piu' ampi rispetto a quella stabilita per i casi ordinari. La questione, sotto il profilo proposto, e' manifestamente infondata. La radicale differenza tra le finalita' del processo penale a carico di imputati minorenni rispetto a quello relativo ai maggiorenni e' sancita nel nostro ordinamento in modo chiarissimo. L'intera struttura del processo minorile e la specificita' delle norme processuali sono fondate sulla concezione del processo non come strumento di realizzazione della pretesa punitiva dello Stato ma, al contrario, come strumento di recupero e reinserimento sociale e di promozione dei diritti soggettivi dei minori. La legge di delega per il nuovo codice di procedura penale (art. 3) sancisce questo principio implicitamente ricollegandosi alla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 19 luglio 1983 che sanci' la non operativita' della connessione tra procedimenti a carico di imputati maggiorenni e minorenni. Il minore ha diritto ad un proprio specifico processo oltre che ad un proprio giudice, in considerazione delle particolari condizioni psicologiche del minore, della sua maturita' e delle esigenze della sua educazione. La diversita' del processo a carico di minori (e delle conseguenti pronunce del giudice) consiste nel riconoscimento del diritto ad un processo in cui trovino posto tutte le garanzie ordinarie in favore dell'imputato, ma non solo quelle vedi rel. Min. al Codice minorile). In questo contesto le norme impugnate perfettamente si inseriscono, prevedendo per i minori, oltre alle soluzioni sanzionatorie ordinarie sempre consistite al giudice, un ventaglio di ulteriori e diverse conclusioni specifiche. La questione, fissata cosi' la legittimita', (anche alla luce dell'art. 31, secondo comma, della Costituzione) e la piena ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) di una maggior tutela del minore nel processo penale, altro non e' che quella della fissazione del limite di eta' entro cui contenere l'applicazione delle norme del diritto minorile ovvero, in termini diversi, entro cui consentire al giudice di applicare all'imputato istituti penalistici (sostanziali e processuali) diversi da quelli finalizzati alla pura applicazione della sanzione penale. In tal senso e' evidente che da un lato una simile valutazione di fatto sfugge al controllo di legittimita' costituzionale, attenendo alla libera valutazione del legislatore; dall'altro, che l'eta' di 18 anni oggi fissata e' tutt'altro che irragionevole, coincidendo con quella del termine massimo di vita scolastica e con l'ingresso - in teoria - nel mondo del lavoro. Coincidendo, puo' dirsi, con la fine dell'adolescenza, ovvero del periodo di passaggio dall'infanzia all'eta' adulta, e con il momento iniziale dell'esercizio di una serie di diritti civili. La questione e' invece non manifestamente infondata sotto altro profilo. L'art. 14, secondo comma, del c.p.p., in ossequio all'art. 3, all'art. 3, lett. a), della legge n. 81/1987, prevede la non operativita' della connessione tra procedimenti per reati commessi dallo stesso imputato quando era minore e quando era maggiore degli anni 18. Alla luce dei principi sopra richiamati e in conseguenza di essi tale disposizione appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione sia sotto il profilo del principio di uguaglianza sia sotto il profilo di ragionevolezza. Se e' infatti vero che il processo a carico di imputati che abbiano commesso i fatti quando erano infradiciottenni ha finalita' di tutela dei diritti del minore, di reinserimento e di recupero; se e' vero che la specificita' delle norme processuali e sostanziali applicabili ai minori ha imposto la creazione di un giudice ad hoc e la posizione di norme specifiche in considerazione della necessita' di prevedere un processo che riconosca tutte le garanzie ordinarie in favore dell'imputato ma anche un ulteriore ventaglio di soluzioni affidate alla specifica professionalita' del giudice, in considerazione delle particolari condizioni psicologiche del minore, non si vede quale ragionevolezza possa consentire che in relazione a quel medesimo soggetto, le cui esigenze di tutela e le cui condizioni psicologiche naturalmente non cambiano a secondo della sede processuale, si applichino poi le norme ordinarie per fatti commessi da maggiorenni. Naturalmente non si fa qui riferimento ai casi di connessione meramente soggettiva ma a quella unisoggettiva prevista dall'art. 12, lett. B), ultima ipotesi, unica peraltro ad assumere rilevanza nel presente processo in relazione alla posizione degli imputati Biagini e Bovari. E' in tali casi in cui il disegno criminoso unitario che lega i fatti commessi prima o dopo il compimento dei 18 anni e' maturato quando il soggetto era minorenne, che la disposizione dell'art. 14, secondo comma, appare irragionevole perche' assolutamente disancorata dal lato fattuale e dalle effettive esigenze di tutela del soggetto in volta in volta interessate. E' evidente che in tal modo tutto il complesso di strumenti processuali e sanzionatori previsti per il minorenne viene di fatto vanificato per la temporanea sussistenza di un procedimento penale nel quale il giudice non dispone che del rito ordinario. La relazione ministeriale al codice minorile del 1988 richiama le solenni enunciazioni dell'Assemblea generale dell'O.N.U. note come "Regole di Pechino" o regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile, emanata nel 1985, e la raccomandazione n. 87/20 del Consiglio d'Europa. In esse si segnalano i rischi e i pregiudizi che possono derivare al minore dal contatto con l'apparato della giustizia e dall'ingresso nel circuito penale e si sollecitano misure che riducano tale rischio, che favoriscano la chiusura anticipata del processo nei casi piu' lievi, che consentano il ricorso ed interventi di sostegno e di messa alla prova, che assicurino la specializzazione degli operatori di giustizia minorile. Il nuovo codice minorile (d.P.R. n. 448/1988) ha accolto in pieno questi suggerimenti, che pero' nei confronti del minore rimarrebbero mera declamazione ove, nel contempo, egli venisse sottoposto a procedimento penale ordinario per fatti commessi in esecuzione di medesimo disegno, e dunque nelle medesimo condizioni personali e di fatto. Non va poi dimenticato che la indicata situazione comprime il diritto di difesa dell'imputato cui viene negata una unitaria valutazione dei fatti. Sotto tale profilo appare esservi contrasto della norma in questione con il principio di cui l'art. 24 della Costituzione. E' evidente che - anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 22/1983 - la soluzione normativa che si prospetta come praticabile non e' quella dell'attrazione presso il giudice ordinario dei procedimenti per reati commessi quando l'imputato era minorenne, ma quella esattamente contrria. Obiezioni a tale soluzione potrebbero muoversi solo basandosi su una concezione della giurisdizione minorile come un minus rispetto a quello ordinaria, visione per altro inaccettabile anche alla luce di tutte le osservazioni sopra svolte. Il punto di rilevanza si segnala che all'esame dello scrivente e' la posizione processuale degli imputati Biagini Roberto e Bovari Andrea gia' sottoposti a procedimento penale avanti al tribunale dei minorenni di Perugia e ora imputati avanti a questo tribunale in virtu' delle norme impugnate.