ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 39 del codice di penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 21 settembre 1993 dal Tribunale Militare di Padova nel procedimento penale a carico di Mirelli Giovanni, iscritta al n. 720 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1993; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 27 aprile 1994 il Giudice relatore Giuliano Vassalli; Ritenuto che il Tribunale Militare di Padova, dopo aver premesso di procedere nei confronti di un giovane per il reato di mancanza alla chiamata, ha osservato che l'imputato si e' difeso asserendo che l'omessa presentazione era dipesa dalla mancata notificazione della cartolina precetto, evenienza, questa, che, aggiunta all'avvertenza riportata a tergo del congedo illimitato provvisorio, ove era menzionato l'obbligo di presentarsi alla ricezione della cartolina precetto di chiamata alle armi, ha verosimilmente ingenerato nell'imputato il convincimento che il dovere di presentazione sorga solo a seguito della notificazione del precetto personale, e non, come prescrive l'art. 543, secondo comma, del Regolamento di esecuzione approvato con R.D. 3 aprile 1942, n. 1133, con la pubblicazione del manifesto di chiamata alle armi; che alla luce di tali circostanze il Tribunale medesimo "ripropone" questione di legittimita' costituzionale dell'art. 39 del codice penale militare di pace rilevando come questa Corte, pur avendo affermato nella sentenza n. 325 del 1989 che il medesimo art. 39 non limita la disciplina dell'errore di fatto sancita dall'art. 47 del codice penale, ha omesso in quella ed in altre pronunce di entrare "nel merito dell'inescusabilita' dell'ignoranza di diritto delle norme costitutive dei doveri militari"; sicche', rilevato che nella specie l'imputato ha ignorato il contenuto del manifesto, "ma in origine e principalmente ha ignorato la normativa posta dal citato art. 543", e poiche' tale ignoranza e' considerata incondizionatamente inescusabile dall'art. 39 del codice penale militare di pace, il giudice a quo censura quest'ultima norma per violazione del principio della personalita' della responsabilita' penale che questa Corte ha gia' avuto modo di riconoscere con riferimento all'art. 5 del codice penale, formulandosi il conseguente auspicio che la medesima statuizione venga ora estesa alla norma oggetto di impugnativa, "trattandosi pur sempre di materia penale"; che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per essere la stessa analoga ad altra gia' decisa da questa Corte con ordinanza n. 247 del 1991. Considerato che questa Corte - come lo stesso giudice a quo rammenta - ha da tempo affermato il principio che per "ignoranza dei doveri" deve intendersi "ignoranza delle fonti normative dei doveri", mentre "gli atti amministrativi che condizionano il dovere in concreto sono "fatti" od "atti" (come il manifesto) che rendono operante il dovere in astratto disciplinato dalla norma giuridica, e percio' si ricollegano al principio di cui alla prima parte dell'art. 47 del codice penale", cosicche' l'errore sul manifesto, proprio perche' vertente "sul presupposto storico per l'attuazione del dovere in concreto" assume rilevanza "anche nell'area dell'art. 39 del codice penale militare di pace" (v. ordinanza n. 247 del 1991 e sentenza n. 325 del 1989); che lo stesso giudice a quo espressamente afferma, evidenziando per di piu' non pochi elementi a discolpa, che l'imputato "senza dubbio ha ignorato il contenuto del manifesto di chiamata" e che tale errore deve essere ricondotto alla disciplina dell'art. 47 del codice penale, cosicche' viene ad assumere una connotazione di totale irrilevanza ai fini del decidere la dedotta e presupposta ignoranza del citato art. 543 del R.D. n. 1133 del 1942 che lo stesso remittente evoca, non senza un qualche artificio logico, per proporre nuovamente questione di legittimita' costituzionale della regola sancita dal piu' volte citato art. 39 del codice penale militare di pace; e che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;