ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  286-bis  del
 codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l'8 ottobre
 1993  dal Tribunale di Torino sull'impugnazione proposta dal p.m. nei
 confronti di Morabito  Antonio,  iscritta  al  n.  733  del  registro
 ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 52, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella Camera di consiglio del  27  aprile  1994  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Il Tribunale di Torino, chiamato a pronunciarsi sull'appello
 proposto dal pubblico ministero avverso l'ordinanza con la  quale  il
 giudice  per  le  indagini preliminari aveva respinto la richiesta di
 applicazione della misura della custodia  cautelare  in  carcere  per
 essere  l'imputato  affetto  da  AIDS  conclamata,  ha  sollevato, in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 286-bis del codice di procedura penale.
    Dopo   aver   disatteso   la   fondatezza   della   eccezione   di
 illegittimita' proposta dal  pubblico  ministero  in  relazione  agli
 artt.  2,  101 e 111 della Costituzione, il giudice a quo ha ritenuto
 invece non manifestamente infondata  l'eccezione  medesima  sotto  il
 profilo  della violazione del principio di uguaglianza. Osserva a tal
 proposito il rimettente che non sussistono valide ragioni, sul  piano
 logico  e  scientifico, per riservare alle persone affette da AIDS un
 trattamento diverso rispetto  a  quello  previsto  per  quanti  siano
 portatori   di   malattie   altrettanto   gravi,   irreversibili   ed
 ingravescenti, giacche' per costoro l'eventuale applicazione  di  una
 misura diversa dalla custodia in carcere non deriva da una previsione
 generale, ma da un accertamento da operare volta per volta al fine di
 verificare in concreto se le condizioni di salute siano incompatibili
 con  la  detenzione  carceraria,  sempre  che non sussistano esigenze
 cautelari di eccezionale rilevanza.
    Posta, dunque, l'estrema  dinamicita'  e  varieta'  di  situazioni
 patologiche  che l'affezione da HIV determina nei relativi portatori,
 non puo' individuarsi nei confronti di costoro, sostiene il giudice a
 quo, "una situazione di eccezionalita' che giustifichi la  disparita'
 di   trattamento  rispetto  ai  soggetti  colpiti  da  HIV  in  stadi
 (convenzionalmente definiti) diversi, rispetto a  quelli  affetti  da
 altre patologie".
    2.  -  Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato,  chiedendo  che la questione sia dichiarata non fondata per le
 considerazioni  svolte  in  altro  atto  di  intervento  cui  si   e'
 integralmente riportato.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Tribunale  di  Torino solleva questione di legittimita'
 costituzionale dell'art.  286-bis  del  codice  di  procedura  penale
 deducendone  il  contrasto  con  il  principio di uguaglianza sancito
 dall'art. 3  della  Costituzione.  Considerato,  infatti,  rileva  il
 giudice  a  quo,  che  la  norma  impugnata  sancisce  il  divieto di
 applicare la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti
 di coloro che siano affetti da AIDS conclamata o da grave  deficienza
 immunitaria, si determina, a parere del rimettente, una disparita' di
 trattamento rispetto a quanti presentino patologie altrettanto gravi,
 irreversibili  e  ingravescenti,  giacche'  per  costoro "l'esenzione
 dalla custodia in carcere" non scaturisce da una previsione  generale
 connessa  al  tipo  di  malattia,  ma  da una verifica in concreto in
 merito alla non compatibilita' delle  condizioni  di  salute  con  lo
 stato  detentivo  e  sempre  che  non ricorrano esigenze cautelari di
 eccezionale rilevanza. Una disparita'  di  trattamento,  conclude  il
 giudice  a  quo,  che  non  trova  adeguata  giustificazione, poiche'
 difettano, nella specie, elementi alla stregua dei  quali  riguardare
 come eccezionale la particolare patologia presa in considerazione dal
 legislatore nella norma oggetto di impugnativa.
    2.  - La questione non e' fondata. Chiamata infatti a pronunciarsi
 sul tema, in parte analogo, del rinvio obbligatorio della  esecuzione
 della  pena  nei  confronti delle persone affette da AIDS, cosi' come
 stabilito dall'art. 146,  primo  comma,  n.  3,  del  codice  penale,
 aggiunto  dall'art.  2  del  decreto-legge  14  maggio  1993, n. 139,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio  1993,  n.  222,
 questa  Corte ha avuto modo di osservare (v. sentenza n. 70 del 1994)
 come al fondo delle scelte normative operate dal  d.-l.  n.  139  del
 1993,   introduttivo,   fra  l'altro,  della  norma  impugnata,  "sia
 rinvenibile una esigenza tutt'altro che secondaria agli  effetti  del
 bilanciamento che quella scelta coinvolge, giacche' il legislatore ha
 inteso  porre  rimedio a "situazioni di estrema drammaticita'", quali
 sono quelle che  scaturiscono  dalla  particolare  rilevanza  che  il
 problema della infezione da HIV riveste all'interno della popolazione
 carceraria,  "essendo il carcere un luogo in cui si trova concentrato
 un alto numero di soggetti a rischio" (XI Legislatura,  Atto  Senato,
 n. 1240)".
    Nessuna discriminazione e' quindi possibile intravedere tra malati
 "comuni"  e  persone  affette  da  AIDS  circa  il diverso regime che
 presiede  alla  scelta  delle  misure  cautelari,   "in   quanto   le
 caratteristiche affatto peculiari che contraddistinguono quest'ultima
 sindrome  adeguatamente  giustificano  un  trattamento  particolare",
 proprio  perche'  quest'ultimo  si  incentra  "sulla  necessita'   di
 salvaguardare   il   bene   della  salute  nello  specifico  contesto
 carcerario". Una finalita',  dunque,  eterogenea  rispetto  ad  altre
 gravi malattie, in ordine alle quali l'applicazione di misure diverse
 dalla custodia cautelare in carcere e' funzionale esclusivamente alle
 esigenze di salute del singolo.