IL PRETORE OSSERVATO A1) Che il licenziamento disciplinare (cosi' come dalla stessa datrice di lavoro viene definito) e' stato irrogato contestualmente alla contestazione addebiti (la lettera del 13 settembre 1993 contiene contestazione e licenziamento, non potendosi ipotizzare un licenziamento condizionato sia esso sospensivamente che risolutivamente, come vorrebbe parte convenuta, del resto dalla busta paga si evince come la risoluzione sia avvenuta il 13 stesso) e che pertanto non pare rispettato il dettato del secondo e terzo comma dell'art. 7 dello Statuto dei lavoratori sulla previa contestazione degli addebiti, applicabile ex pronuncia Corte costituzionale n. 204/1982 anche ai licenziamenti disciplinari ed ex pronuncia Corte costituzionale n. 427/1989 anche alle imprese non assistite da tutela reale. A2) Che nel presente giudizio non vi sono contestazioni nel merito da parte del ricorrente. A3) Che, premesso cio', la mancanza di una precisa sanzione al licenziamento irrogato senza il rispetto della procedura di cui all'art. 7 dello Statuto dei lavoratori in area ove non sussista la tutela reale ha portato la giurisprudenza ad individuare le soluzioni piu' diverse: a) applicabilita', comunque dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori (trattasi di tesi minoritaria, seguita in particolare da alcuni pretori); b) applicabilita' al licenziamento nullo per tale motivo del disposto dell'art. 1424 del codice civile e conseguentemente sua conversione in licenziamento ad nutum con pagamento di preavviso ex art. 2118 del codice civile (tesi formatasi prevalentemente prima della pronuncia della Corte costituzionale n. 427/1989 e da ultimo quasi abbandonate se non per isolate pronunce: vedasi Cass. 4 marzo 1993, n. 2596 in Foro it. 99, I, 1846 o implicitamente Cass. 3 giugno 1992, n. 6741 in Foro it. 93, 374); c) applicabilita' a tale licenziamento dei principi generali del diritto civile in tema di nullita' dei negozi con conseguente mancata estinzione del rapporto essendo il licenziamento tamquam non esset e decorrenza ex tunc (dalla data del licenziamento viziato) di retribuzione ed altri diritti del lavoratore (vedasi da ultimo Cass. 4 marzo 1992, n. 2596 in Dir. e Prat. Lav. 92, 1148 e Cass. 22 gennaio 1991, n. 542 in Giust. civ. 91, I, 1185); d) applicabilita' comunque dell'art. 8 legge n. 604/1966 e cioe' tutela obbligatoria, considerando tale licenziamento non inefficace ne' nullo ma emesso in carenza di potere, mutuando tale costruzione dal diritto amministrativo in punto atto a formazione progressiva (in tal senso sembrerebbe da ultimo indirizzata la giurisprudenza della suprema Corte: Cass. 5 febbraio 1993, n. 1433, 23 novembre 1992, n. 12486 in Foro it. 93, I, 373). A4) Che, in tale situazione giurisprudenziale, la legge n. 108/1990 sui licenziamenti individuali non ha portato chiarezza, anzi nel prevedere all'art. 1, in area di tutela reale, la sanzione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, cosi' novellato, per ogni tipo di invalidita', ed espressamente la stessa sanzione, indipendentemente dal dato dimensionale, per il licenziamento nullo perche' discriminatorio od antisindacale ex art. 3, ha determinato un vuoto di legislazione in punto licenziamenti viziati ex art. 7 dello Statuto dei lavoratori in area obbligatoria (a cui possono aggiungersi i licenziamenti carenti di forma scritta, questi ultimi espressamente definiti inefficaci dall'art. 2 nuova formulazione della legge n. 604/1966 ma ugualmente non forniti di sanzione), atteso che se e' vero che si e' data un'estensione generalizzata alla tutela obbligatoria, e' anche vero che l'obbligazione alternativa in essa prevista assume carattere specialistico all'interno del diritto civile, ove un atto nullo o inefficace non produce effetti, e quindi di dubbia applicazione analogica. Si aggiunga che il secondo e terzo comma dell'art. 7 dello Statuto dei lavoratori espressamente precisano che una sanzione non formalmente corretta "non si applica" con il che parrebbe che detta sazione disciplinare sia tamquam non esset. Ritiene pertanto il giudicante che l'unica conseguenza possibile, in assenza di un'espressa previsione (nel testo approvato dalla Camera in sede referente si prevedeva l'applicazione al licenziamento disciplinare irrogato in violazione dell'art. 7, secondo e terzo comma dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori con conseguente nullita' dello stesso e reintegrazione, indipendentemente dalle dimensioni dell'impresa, previsione scomparsa nel testo definitivo) sia quella di diritto comune, assumendo la tesi della tutela obbligatoria il carattere di un'escamotage per superare il difetto di forma, forma il cui mancato rispetto in tutto il diritto italiano non consente l'esame del merito. Il che porterebbe pero' a disparita' di trattamento di dubbia fondatezza costituzionale se si pensa che un licenziamento non formalmente corretto ma giustificato nel merito (merito che ovviamente non potrebbe essere preso in esame) risulterebbe piu' pesantemente sanzionato (con il permanere degli obblighi retributivi e normativi) del licenziamento corretto formalmente ma ingiustificato nel merito o addirittura ingiurioso (con la mera tutela risarcitoria). Basti pensare al caso limite del lavoratore sorpreso in flagranza di furto a cui non sia contestato l'addebito che verrebbe ad essere di fatto reintegrato, mentre il lavoratore tacciato di furto e poi completamente scagionato in sede di giudizio, se licenziato in modo formalmente corretto, si vedrebbe risarcire unicamente il danno in misura che puo' addirittura scendere, in caso di rapporto breve, alle 2,5 mensilita'. Non e' chi non veda come detta soluzione lederebbe profondamente il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione; che concludendo: B) Attesa la rilevanza nel presente giudizio della questione di costituzionalita' della norma di cui all'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, cosi' come modificato dall'art. 2 della legge 11 maggio 1990, n. 108, la' ove non prevede anche i licenziamenti viziati ex art. 7, secondo e terzo comma, dello Statuto dei lavoratori, e comunque viziati nella forma, la stessa sanzione nello stesso art. 8 prevista per i licenziamenti privi di giusta causa e giustificato motivo, in aree di tutela obbligatoria, in considerazione del fatto che trattasi di microimpresa, di licenziamento irrogato senza la previa contestazione degli addebiti, e di licenziamento non contestato nel merito. C) Attesa la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' della norma di cui sopra in relazione all'art. 3 della Costituzione, creando il vuoto legislativo che qui si lamenta la possibilita' delle profonde disparita' di trattamento sopra evidenziate.