IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letti gli atti del proc. pen. 46/90 R.G.N.R. nei confronti di: Bugge' Carmelo, n. a Seminara il 2 ottobre 1938 (RC) ivi res. via S. Mercurio, 301 dif. uff. avv. Guerrisi del foro di Palmi; Divino Enrico, n. a Seminara il 18 febbraio 1949, ivi res., via arch. Ferrarese dif. fid. avv. Marco Masseo ed Eleonora Masseo del foro di Palmi, imputati di peculato (art. 314/1981 c.p.v.-110 c.p. per essersi appropriati, in concorso fra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso; avendo la disponibilita' ed il possesso di danaro appartenente al comune di Seminara, il primo quale sindaco ed il secondo quale tesoriere comunale, di somme di danaro appartenute al Comune medesimo in Seminara dal 1974 al giugno 1983 PREMESSA Con richiesta di rinvio a giudizio pervenuta all'ufficio G.I.P. presso questo tribunale, datata 6 luglio 1991, il p.m. esercitava l'azione penale nei confronti dei sunnominati Bugge' Carmelo e Divino Enrico, formulando l'imputazione negli esatti termini di cui sopra. Inoltre, le fonti di prova fondanti l'imputazione venivano indicate con la seguente dicitura: "Rapporto c.c. e atti allegati", atti di cui peraltro non vi e' traccia nel fascicolo processuale e che comunque non sono sufficientemente descritti, non essendo individuati ne' soggetto redigente ne' data del rapporto. All'udienza preliminare odierna il p.m. insisteva nella richiesta di rinvio a giudizio e la difesa chiedeva la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere per insussistenza del fatto nei confronti di entrambi gli imputati. RILEVANZA Ritiene questo g.u.p. che, a mente dell'art. 23 c.p.v. legge n. 87/1953, il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale, essendo nel caso di specie di fatto preclusa al giudice sia la pronuncia del decreto che dispone il giudizio che quella della sentenza di non luogo a procedere. Va infatti osservato che, indipendentemente dall'esatta individuazione dell'oggetto della valutazione di cui all'art. 425 del c.p.p. e pertanto senza entrare nel merito della querelle giurisprudenziale in corso in ordine ai caratteri dell'innocenza apprezzabile dal giudice dell'udienza preliminare (innocenza perche' provata la non colpevolezza - rectius la non responsabilita' penale - innocenza perche' non provata la colpevolezza) nessuna pronuncia puo' comunque essere adottata nel caso in cui i limiti dell'imputazione siano talmente generici da precludere in radice qualunque valutazione. Ed invero, nessun fatto storico puo' essere apprezzato come vero, verosimile, probabile, possibile o falso se manca o e' assolutamente generica sia la descrizione dell'accadimento da apprezzare (imputazione) sia quella degli elementi chiamati a supportare il giudizio (fonti di prova). Ne' in questo caso puo' dirsi di essere in presenza dell'ipotesi di mancanza di prove della colpevolezza, poiche' al giudice non e' dato sapere quale atto dell'incarto processuale sia considerato dall'Accusa come fonte di prova, ne' quale sia l'ipotesi accusatoria rispetto alla quale raffrontare il materiale probatorio raccolto. Infine, non e' proponibile il ricorso all'escamotage della dichiarazione di nullita' della richiesta di rinvio a giudizio, con conseguente restituzione degli atti all'ufficio di procura per la rinnovazione dell'esercizio dell'azione penale in termini piu' "intelligibili". Infatti, il supremo collegio ha in piu' occasioni evidenziato l'abnormita' di un provvedimento di questa natura, non previsto da alcuna disposizione processuale. In altri termini, non e' dato al giudice superare le lacune dell'ordinamento processuale con provvedimenti "creativi" di ipotesi di nullita' non previste, attesa l'assoluta mancanza di corredo sanzionatorio al dettato dell'art. 417 del c.p.p., che pur menziona fra i requisiti della richiesta di rinvio a giudizio l'enunciazione del fatto (lett. b) e l'indicazione delle fonti di prova acquisite (lett. c). (cfr cassazione 5 maggio 1992, Nichele, C.E.D. cassazione n. 191347). Infine, va osservato che il potere del p.m. di modificare l'imputazione e' appunto un potere e non un obbligo per l'organo di accusa e comunque difficilmente, in casi di estrema genericita' del capo di imputazione, sara' possibile considerare semplicemente "diverso" il fatto, e non gia' "nuovo". Pertanto, se l'imputazione non viene modificata, come nel caso di specie o, se il fatto e' da considerare "nuovo" e l'imputato non presta il consenso, il g.u.p. si ritrovera' ad affrontare l'evidenziata impasse decisionale. NON MANIFESTA INFONDATEZZA Cio' premesso, pare a questo g.u.p. che l'art. 417, c.p.p., nella parte in cui non prevede alcuna sanzione per l'inosservanza del precetto processuale, sia in contrasto con il dettato costituzionale sotto diversi profili: In primo luogo e' palese la violazione del diritto di difesa (art. 24 della Costituzione): da quale accusa puo' difendersi l'imputato se il fatto, come descritto nell'imputazione, non e' sufficientemente caratterizzato? Nel caso di specie manca addirittura l'indicazione delle somme che si assumono sottratte e delle modalita' di commissione del reato. A cio' si aggiunga che ove, appunto, la richiesta sia viziata sotto piu' profili, per l'indicazione mancante o erronea delle fonti di prova, sara' addirittura preclusa quella sorta di esegesi del capo di imputazione (pratica a cui questo giudicante ha dovuto far ricorso in piu' occasioni) che, sia pure attraverso lo stravolgimento dei principi costituzionali, spesso consente di ricostruire l'intenzione dell'organo requirente attraverso l'esame del corredo probatorio. Ne', d'altronde, puo' sostenersi che, facendo carico all'ufficio di procura la dimostrazione della colpevolezza dell'imputato, la mancanza di prove conduce necessariamente alla pronuncia di una sentenza a contenuto liberatorio. Sul punto si rinvia alle precedenti osservazioni circa l'impossibilita' logica di una pronuncia di non luogo a procedere in casi consimili. Ed ancora, se cosi' fosse non si comprende quale sia la formula da adottare (perche' il fatto non sussiste, perche' l'imputato non lo ha commesso o altre). Va anche sottolineato che, paradossalmente, la sentenza ex art. 425 del c.p.p. dovrebbe essere pronunciata anche in un quadro di sufficienza o addirittura di completezza del materiale probatorio raccolto: si pensi ad una denuncia estremamente circostanziata, corredata di documenti tali da rendere superflua ogni ulteriore attivita' di indagine al p.m., a cui tuttavia il sistema processuale non puo' non imporre un minimo di diligenza nella redazione della richiesta di rinvio a giudizio. Altro aspetto di incostituzionalita' e' la violazione dell'art. 111: se il combinato disposto degli artt. 417, 424 e 425 implica la scelta della sentenza a contenuto liberatorio, il giudice e' posto di fronte all'assoluta impossibilita' di assolvere all'obbligo motivazionale, perche' non in grado di valutare se il materiale probatorio (che in ipotesi ben puo' esistere ed essere sufficiente per il rinvio a giudizio) e' effettivamente carente o addirittura dimostrativo dell'innocenza dell'imputato. Infine, a giudizio di questo g.u.p. deve ritenersi violato il precetto dell'obbligatorieta' dell'azione penale (art. 112 della costituzione): se e' vero che il g.i.p. svolge un'azione di controllo sull'operato (o sull'inerzia) del p.m. per garantire l'effettivo esercizio dell'azione penale, attraverso gli istituti della c.d. imputazione coatta o quello delle nuove indagini (art. 409 c.p.p.), di fatto la norma costituzionale verrebbe svuotata di contenuto se a fronte di una richiesta di rinvio a giudizio viziata da generalita' del capo di imputazione e/o lacunosa nell'indicazione delle fonti di prova potesse percorrere l'unica strada della sentenza di non luogo a procedere. Conseguentemente, l'interpretazione piu' favorevole all'imputato finirebbe per rendere inoperante il principio costituzionale proprio nei casi piu' macroscopici di negligenza del p.m., identificabili appunto nella redazione approssimativa del capo di imputazione. Visto l'art. 23 della legge 11 febbraio 1953, n. 87.