ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  60,  secondo
 comma,  della  legge  24  novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema
 penale), promossi con  ordinanze  emesse  il  22  novembre  1993  dal
 Pretore  di  Genova,  il  21 dicembre 1993 dal Pretore di Asti, il 26
 novembre 1993 dal Pretore di Milano,  ed  il  20  dicembre  1993  dal
 Pretore  di Modena, Sezione distaccata di Mirandola (n. 3 ordinanze),
 iscritte rispettivamente ai nn. 55,  120,  122,  133,  134,  135  del
 registro  ordinanze  1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica nn. 9 e 13, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Udito nella camera di consiglio dell'11  maggio  1994  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
                           Ritenuto in fatto
    1.   -   Con  tre  ordinanze  dal  contenuto  pressoche'  identico
 pronunciate in altrettanti procedimenti a carico di persone  imputate
 del  reato  di  cui  all'art. 21, primo e terzo comma, della legge 10
 maggio 1976, n. 319, il Pretore  di  Modena,  Sezione  distaccata  di
 Mirandola,   ha   sollevato,   in   riferimento   all'art.   3  della
 Costituzione,  questione  di legittimita' dell'art. 60 della legge 24
 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non consente l'applicazione
 delle sanzioni sostitutive nei confronti  di  chi  sia  imputato  dei
 reati previsti dall'art. 21 della detta legge n. 319 del 1976.
    Rileva  il  giudice  a  quo  che  in  materia  di  reati  a tutela
 dall'inquinamento la preclusione derivante  dalla  norma  di  cui  si
 denuncia  la violazione si rivela assolutamente arbitraria se posta a
 raffronto con altre previsioni aventi identica obiettivita' giuridica
 (la tutela dell'ambiente attuata  mediante  la  previsione  di  reati
 contravvenzionali,  formali e di pericolo) e, oltre tutto, sanzionate
 talora con pene piu' gravi, come  le  fattispecie  contemplate  dagli
 artt.   25,   26   e  27  del  d.P.R.  10  settembre  1982,  n.  915.
 Un'irrazionalita',  peraltro,  rafforzata  dalla  comune   esclusione
 dall'amnistia per entrambe le categorie di reati.
    La  considerazione,  poi, che per tutti gli altri reati in materia
 ambientale succeduti alla legge n. 689  del  1981  (ad  eccezione  di
 quelli   ora   ricordati)   non   sia   prevista  alcuna  preclusione
 all'applicabilita' dell'amnistia,  che  il  decreto-legge  14  giugno
 1993,  n.  187,  convertito dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, abbia
 notevolmente elevato  il  limite  di  applicabilita'  delle  sanzioni
 sostitutive,  e che il decreto-legge 15 novembre 1993, n. 454, sembra
 aver depenalizzato talune delle previsioni di cui alla legge  n.  319
 del  1976,  fa  univocamente  desumere  che  lo scopo perseguito, sul
 punto, dall'art. 60 della legge n. 689 del  1981  "sia  ormai  venuto
 meno,   cosi'   da   comportare   l'illegittimita'  della  disciplina
 censurata, perche' fonte di ingiustificate disparita' di  trattamento
 e, quasi, di anacronismo legislativo".
    2. - Un'analoga questione ha proposto anche il Pretore di Asti con
 ordinanza  del 21 dicembre 1993, denunciando, in riferimento all'art.
 3 della Costituzione,  l'art.  60,  secondo  comma,  della  legge  24
 novembre   1981,   n.   689,   "nella   parte  in  cui  non  consente
 l'applicazione delle pene sostitutive relativamente al reato  di  cui
 all'art. 21, comma 3 legge 10 maggio 1976, n. 319".
    Rileva   il   rimettente   che  tale  esclusione,  introdotta  per
 salvaguardare  piu'  efficacemente  le  acque  (e  gli  altri   corpi
 ricettori)  dagli  scarichi  inquinanti  provenienti  da insediamenti
 produttivi, ha finito per  rivelarsi  contraddittoria  rispetto  alla
 successiva  normazione in materia ambientale relativamente alla quale
 la norma denunciata risulta, invece, inoperante: piu' in particolare,
 la sostituzione delle pene  detentive  era  consentita  per  i  reati
 previsti  dal  d.P.R. 24 maggio 1988, n. 217, emanato per "proteggere
 le acque  dall'inquinamento  provocato  dallo  scarico"  di  sostanze
 pericolose come cadmio, mercurio, etc. Una tipologia di reato analoga
 a  quella  prevista dall'art. 21, terzo comma, della legge n. 319 del
 1976 ed, inoltre, con la comminatoria di una pena edittale  superiore
 nel  massimo.  Tale  d.P.R.  e'  stato  successivamente  abrogato dal
 decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 133, con il  quale  e'  stata
 data  attuazione  a  numerose  direttive  CEE "in materia di scarichi
 industriali  di  sostanze   pericolose   nelle   acque".   Nonostante
 l'analogia  delle  previsioni  e  della  relativa  tutela  nonche' la
 particolare gravita' del regime sanzionatorio, neppure per tali reati
 opera  la  previsione   ostativa   all'applicabilita'   di   sanzioni
 sostitutive.  Con  eccezione  di  quelli previsti dall'art. 18, primo
 comma, del decreto  legislativo  n.  132  del  1992,  concernente  la
 protezione  delle  acque  sotterranee  dall'inquinamento provocato da
 certe sostanze pericolose; e cio' per il richiamo, puro  e  semplice,
 di  tale  norma al sistema sanzionatorio stabilito dalla legge n. 319
 del 1976 e successive modificazioni.
    Conseguenziale,  dunque,   la   violazione   dell'art.   3   della
 Costituzione,  per  la  disparita'  di trattamento relativamente alla
 possibilita' di applicazione delle sanzioni sostitutive, fra il reato
 previsto dall'art. 21, terzo comma, della legge n.  319  del  1976  e
 quelli  previsti  dall'art.  18,  quarto  e quinto comma, del decreto
 legislativo n. 133 del 1992; una disparita'  "che  non  puo'  trovare
 giustificazione alcuna atteso che le norme poste a confronto tutelano
 il  medesimo  bene  (il sistema ecologico idrico o, piu' in generale,
 l'ambiente)". Al contrario  le  fattispecie  previste  dalla  seconda
 delle  due  disposizioni  "riguardano  comportamenti  inquinanti piu'
 pericolosi  (in  relazione  al  tipo  di  sostanze   presenti   negli
 scarichi)" rispetto a quelli contemplati dalla norma che deve trovare
 applicazione  nel  processo a quo, come risulta dal piu' grave regime
 sanzionatorio predisposto nei confronti di essi.
    Richiamate le sentenze costituzionali nn. 249 del 1993 e  175  del
 1971,  il  Pretore ricorda, ancora, la giurisprudenza di questa Corte
 in punto di applicazione del  principio  di  eguaglianza  in  materia
 penale informata ad una sorta di self-restraint, per subito osservare
 che  il  petitum  perseguito  nel  processo  a  quo non e' volto alla
 estensione del divieto di cui all'art. 60 della legge n. 689 del 1981
 ai reati previsti dal decreto legislativo n. 133 del 1992, ma solo  a
 sopprimere l'irrazionale preclusione operante per il reato contestato
 nel   caso   di   specie.  Il  controllo  di  costituzionalita'  puo'
 estendersi, infatti, alle "disposizioni fondate su criteri diversi da
 quelli specificamente indicati o a quelle caratterizzate dalla totale
 assenza di  motivi  che  valgono  a  giustificare  la  disparita'  di
 trattamento".  Una  disparita', appunto, agevolmente rilevabile nella
 comparazione tra le predette ipotesi di reato.
    3. - Una analoga  questione  ha  sollevato  anche  il  Pretore  di
 Genova,   con   ordinanza  del  20  novembre  1993,  denunciando,  in
 riferimento agli artt. 3 e 24 della  Costituzione,  l'art.  60  della
 legge 24 novembre 1981, n. 689, "nella parte in cui stabilisce che le
 pene  sostitutive  non  si  applicano  al reato previsto dall'art. 21
 della legge 10 maggio 1976, n. 316" (recte, n. 319).
    Il profilo di novita'  di  tale  ordinanza  sta  nell'indicazione,
 quale  parametro  di raffronto, anche dell'art. 24 della Costituzione
 per  "violazione  del  diritto  di  difesa  nello   svolgimento   del
 processo", vulnerato dalla detta esclusione, "su di un aspetto che ha
 conseguenze sul piano sostanziale".
    4.  -  Pressoche' identica pure la questione sollevata dal Pretore
 di Milano  con  ordinanza  del  26  novembre  1993,  denunciando,  in
 riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione (per la verita',
 senza  alcuna  motivazione  relativamente agli ultimi due parametri),
 l'illegittimita' dell'art. 60 della legge 24 novembre 1981,  n.  689,
 "nella  parte  in cui esclude l'applicabilita' delle pene sostitutive
 al reato previsto dall'art. 21 della legge 10 maggio 1976, n. 319".
    5. - In nessuno dei sei giudizi si e' costituita la parte  privata
 ne' ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Le  ordinanze  di  rimessione  sollevano questioni in parte
 analoghe ed in parte identiche. I relativi giudizi  vanno,  pertanto,
 riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
   2. - I giudici a quibus dubitano, tutti con riferimento all'art. 3,
 alcuni  di  essi  anche  all'art. 24, altri ancora, all'art. 27 della
 Costituzione,  pure   congiuntamente   chiamati   in   causa,   della
 legittimita' dell'art. 60, primo comma, della legge 24 novembre 1981,
 n. 689, nella parte in cui non consente l'applicazione delle sanzioni
 sostitutive   delle  pene  detentive  brevi  relativamente  ai  reati
 previsti dagli artt. 21 e 22 della  legge  10  maggio  1976,  n.  319
 (norme per la tutela delle acque dall'inquinamento).
    Piu'  in particolare, in relazione agli addebiti di volta in volta
 contestati - ed  alle  cui  relative  previsioni  questa  Corte  deve
 circoscrivere  il  suo  esame  per  evidenti  ragioni  attinenti alla
 rilevanza - ci si duole della sottrazione dal regime generale di  cui
 agli artt. 53 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, di una
 consistente  parte  del  sistema sanzionatorio della legge n. 319 del
 1976, e, precisamente, delle ipotesi di reato previste per chi, senza
 avere  richiesto  la  prescritta  autorizzazione,  apra  o   comunque
 effettui nuovi scarichi in tutte le acque superficiali o sotterranee,
 interne  e  marine,  sia pubbliche che private, nonche' in fognature,
 nel suolo  e  nel  sottosuolo,  per  chi  continui  ad  effettuare  o
 mantenere  gli  scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata negata o
 revocata, ovvero per chi, effettuando al momento di entrata in vigore
 della legge scarichi nei corpi ricettori,  non  presenti  domanda  di
 autorizzazione   o   di  rinnovo,  non  ottemperi  alle  disposizioni
 dell'art. 25 della detta  legge,  o,  avendo  presentato  la  domanda
 mantenga  lo  scarico  dopo che la domanda stessa e' stata respinta o
 l'autorizzazione  revocata;  comportamenti  sanzionati  con  la  pena
 dell'arresto da due mesi a due anni, alternativa alla pena pecuniaria
 e  con  applicazione,  in  ogni  caso,  della pena dell'arresto se lo
 scarico superi  i  limiti  di  accettabilita'  di  cui  alle  tabelle
 allegate  alla legge n. 319 del 1976, nei rispettivi limiti e modi di
 applicazione (art. 21); nonche' per chiunque effettui o mantenga  uno
 scarico   senza   osservare   tutte   le  prescrizioni  indicate  nel
 provvedimento di autorizzazione, condotte relativamente alle quali la
 legge in  esame  prevede  la  pena  dell'arresto  fino  a  due  anni,
 alternativa  alla  pena pecuniaria (art. 22), anche in tal caso senza
 possibilita' di applicazione delle sanzioni sostitutive.
    3. - Il comune richiamo  all'art.  3  della  Costituzione  risulta
 formulato   attraverso   la   concomitante   evocazione   di   tertia
 comparationis da cui scaturirebbe  l'arbitrarieta'  della  esclusione
 stabilita  dalla norma censurata; in primo luogo, le previsioni degli
 artt. 25, 26 e 27 del d.P.R.  10  settembre  1982,  n.  915,  nonche'
 dell'art.  15 d.P.R. 24 maggio 1988, n. 217, successivamente abrogato
 dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n.  133,  aperte  al  regime
 delle  sanzioni  sostitutive,  nonostante  che, tanto sul piano della
 tutela penale quanto sul piano del regime sanzionatorio, si tratti di
 fattispecie ancor piu' gravi  di  quelle  per  cui  opera  l'ostacolo
 derivante dall'art. 60 della legge n. 689 del 1981.
    4. - La questione e' fondata.
    Occorre  premettere  che  la  legge  24  novembre  1981,  n.  689,
 nell'introdurre il sistema  dei  divieti  oggettivi  all'applicazione
 delle sanzioni sostitutive, ha, in via generale, e salvo le eccezioni
 stabilite  dall'art.  60,  ultimo  comma  (reati previsti dalle leggi
 relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro e all'igiene sul
 lavoro,  nonche'  dalle  leggi in materia edilizia e urbanistica e in
 materia di armi da sparo, munizioni ed esplosivi,  quando  per  detti
 reati  la  pena  detentiva  non  e' alternativa a quella pecuniaria),
 costruito un sistema preclusivo conformato in modo tale da richiamare
 precetti sia del codice  penale  sia  di  leggi  speciali  (relative,
 queste   ultime,   peraltro,   alla   sola  tutela  dall'inquinamento
 atmosferico e  delle  acque)  mediante  un'indicazione  nominatim  di
 singole  fattispecie  di  reato.  Un assetto che, in quanto ricalcato
 sulle tradizionali esclusioni  dal  beneficio  dell'amnistia,  mostra
 gia'  di  per se' una qualche incongruenza, se non altro considerando
 che, mentre  la  detta  causa  estintiva  del  reato  opera  solo  de
 praeterito,   le  sanzioni  sostitutive  sono  destinate  ad  operare
 soprattutto de futuro.
    Proprio relativamente al precetto ora censurato, la dottrina  ebbe
 subito occasione di segnalare come l'assenza di un richiamo, generale
 o  specifico,  ma  comunque  ratione  materiae,  avrebbe  precluso al
 legislatore,  attesa  la  natura  tassativa  dell'elenco   risultante
 dall'art. 60, di estendere il divieto oltre i testi di legge indicati
 nel  secondo  comma,  ferma  restando,  ovviamente,  la  facolta'  di
 coinvolgere,  nella  esclusione,  mediante   i   necessari   richiami
 contenuti in testi di legge successivi, altre fattispecie di reato.
    Un  segnale  della  illegittimita'  latente della norma denunciata
 risulta, del resto, dal ricorso al giudizio di questa  Corte  per  la
 sopravvenienza  di norme disciplinanti materie identiche od analoghe,
 a partire dal d.P.R. 10  settembre  1982,  n.  915,  attuativo  delle
 direttive   CEE   relative   ai   rifiuti,   allo   smaltimento   dei
 policlorodifenili  e  dei  policlorotrifenili,  nonche'  dei  rifiuti
 tossici   e   nocivi,   una   questione   dichiarata   manifestamente
 inammissibile (ordinanza n. 261 del 1986)  perche'  sollecitante  una
 pronuncia additiva in materia penale.
    5.  -  L'articolarsi  della  disciplina a tutela dall'inquinamento
 perviene  ad  una  prima  sistemazione,  dovuta  in  parte  anche  al
 sovrapporsi  alla normativa vigente, con il d.P.R. 24 maggio 1988, n.
 217, attuativo delle direttive CEE concernenti i valori limite e  gli
 obiettivi di qualita' per gli scarichi di talune sostanze pericolose.
 Il   regime  sanzionatorio  dettato  da  tale  normativa  che,  pure,
 prevedeva pene piu' elevate nel massimo  per  chi  effettuasse  nuovi
 scarichi  nelle acque o in fognature senza autorizzazione, ovvero con
 autorizzazione sospesa, rifiutata o revocata (art. 15, secondo comma)
 ovvero per chi, nell'effettuare uno scarico, avesse superato i valori
 limite  stabiliti  dal  detto  d.P.R.  o  non  avesse   osservato   i
 provvedimenti   integrativi   adottati  dalle  autorita'  competenti,
 nonostante rendesse applicabile, per quanto da esso non espressamente
 previsto, le disposizioni di cui alla legge 10 maggio 1976, n. 319, e
 successive modificazioni ed integrazioni, non istituendo  un  diretto
 legame  rispetto  al regime sanzionatorio derivante dall'applicazione
 della legge n. 319 del 1976, consentiva, ancora, l'applicazione delle
 sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi.
    6. - Si andava predisponendo, dunque, un vero  e  proprio  sistema
 repressivo   "antinquinamento"  -  talora  con  dirette  interferenze
 nell'area della legge n. 319 del 1976 - dal quale  rimaneva  estraneo
 il regime dei divieti di cui all'art. 60 della legge n. 689 del 1981,
 con  l'unica  eccezione  derivante dal decreto legislativo 27 gennaio
 1992,  n.  132,  attuativo  della  direttiva  CEE,   concernente   la
 protezione  delle  acque  sotterranee  dall'inquinamento provocato da
 certe sostanze pericolose. Tale normativa,  rendendo  applicabile  in
 materia  di  sanzioni "agli scarichi diretti e indiretti previsti dal
 presente" decreto le disposizioni generali contemplate dalla legge 10
 maggio 1976, n. 319,  e  successive  modificazioni  ed  integrazioni,
 finiva per coinvolgere nell'area della esclusione anche le violazioni
 del detto decreto legislativo.
    Infine,  nel  decreto  legislativo  27  gennaio  1992,  n. 133, di
 attuazione di talune direttive comunitarie  in  materia  di  scarichi
 industriali di sostanze pericolose nelle acque, abrogativo del d.P.R.
 24  maggio  1988,  n.  217,  ancora, con significative incursioni nel
 regime  della  legge  10  maggio  1976,  n.  319,   alla   disciplina
 maggiormente  repressiva rispetto alla legge n. 319 del 1976 (v. art.
 18,   primo,   secondo   e   terzo    comma)    fa    da    riscontro
 l'applicabilita'delle   sanzioni  sostitutive,  nessun  richiamo  ne'
 diretto ne' indiretto all'art. 60 della legge n. 689 del 1981 essendo
 individuabile.  Eppure  si  tratta  di  fattispecie  aventi  identica
 obiettivita'  giuridica  rispetto  alle  ipotesi di reato di cui agli
 artt. 21 e  22  della  legge  n.  319  del  1976  e  piu'  gravemente
 sanzionate,  prevedendosi  l'arresto  sino  a  tre  anni per chiunque
 effettui  nuovi  scarichi  nelle   acque   o   in   fognature   senza
 autorizzazione,   ovvero  con  autorizzazione  sospesa,  rifiutata  o
 revocata, per chi, effettuando uno scarico esistente nelle acque o in
 fognature, non presenti la  domanda  di  autorizzazione  nel  termine
 previsto,  ovvero continui ad effettuarlo con autorizzazione sospesa,
 rifiutata o revocata.
    7. - Alla perdurante immobilita' nella materia  del  regime  delle
 sanzioni sostitutive ed ai conseguenti riverberi quanto alla coerenza
 ed alla ragionevolezza del sistema ha fatto, invece, da significativo
 riscontro, una sorta di "parcellizzazione" delle fattispecie a tutela
 dall'inquinamento, ai fini delle esclusioni oggettive dall'amnistia.
    E  cio'  a  partire  dall'art.  2,  lettera c, n. 3, del d.P.R. 18
 dicembre 1981, n. 744, che, nel riprodurre l'art. 60, secondo  comma,
 della legge n. 689 del 1981, fa salva l'ipotesi che il reato consista
 nella  mancata  presentazione  della  domanda  di autorizzazione o di
 rinnovo di cui all'art. 15, secondo comma, della  legge  n.  319  del
 1976;  per  seguire  con  il  d.P.R.    16 dicembre 1986, n. 865, che
 all'art.  2,  oltre  a  riprodurre  nuovamente  la  disposizione  ora
 ricordata,   introduce,   fra  i  divieti  oggettivi  di  concessione
 dell'amnistia, tra l'altro, i reati previsti  dall'art.  9,  sesto  e
 settimo comma, della legge 16 aprile 1973, n.  171 (interventi per la
 salvaguardia  di  Venezia),  cosi'  come  sostituito  dall'art. 1 del
 decreto-legge 10 agosto 1976, n. 544, convertito, con  modificazioni,
 dalla  legge  8  ottobre  1976,  n.  690,  salvo  che  si  tratti  di
 inquinamento organico di lieve entita'  provocato  dalla  lavorazione
 non industriale dei prodotti ittici (art.  2, primo comma, lettera c,
 n.  3),  nonche'  dagli artt. 26, 27, 29 e 32 del d.P.R. 10 settembre
 1982, n. 915 (norme sullo smaltimento dei  rifiuti),  per  terminare,
 quindi,  con  l'art.  2,  primo comma, lettera e, n. 4, del d.P.R. 12
 aprile 1990, n. 75, che esclude dal beneficio i reati previsti  dagli
 artt.  21,  22  e  23, secondo comma, e 24- bis della legge 10 maggio
 1976,  n. 319 (salvo la riserva prima ricordata), nonche' dagli artt.
 24, 25 e 26 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 208,  e  dall'art.  15  del
 d.P.R. 24 maggio 1988, n. 217.
    Una   asimmetria,   quella  rilevabile  tra  esclusioni  oggettive
 dall'amnistia ed esclusioni  oggettive  dalle  sanzioni  sostitutive,
 significativa,   pero',   di   una   certa  vischiosita'  legislativa
 nell'accomunare nel divieto fattispecie lesive di un identico bene  o
 interesse.
    8.  -  Poste  tali  premesse,  non  puo' non essere rimarcato come
 l'assetto normativo successivo alle previsioni dell'art. 60,  secondo
 comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, si e' andato arricchendo
 di  fattispecie  di  reato  che,  mentre,  da  un  lato, per campo di
 materia, presentano caratteristiche identiche a quelle attinte  dalla
 norma   ora  ricordata  (la  tutela  dell'ambiente  da  attivita'  di
 inquinamento  idrico),  dall'altro  lato  restano  designate  da   un
 giudizio  di  valore  ancor piu' negativo rispetto a quello formulato
 relativamente ai reati previsti dagli artt. 21 e 22  della  legge  10
 maggio  1976,  n.  319. Cosi' da dar vita ad un sistema assolutamente
 squilibrato, restando assoggettate al trattamento preclusivo soltanto
 le previsioni espressamente indicate dalla norma denunciata. La detta
 sopravvenienza, se posta a  raffronto  con  il  carattere  del  tutto
 eccezionale  del regime derogatorio all'applicabilita' delle sanzioni
 sostitutive, rende, per cio' solo, arbitrario il trattamento disposto
 in relazione alle previsioni dell'art. 60  della  legge  24  novembre
 1981, n. 689.
    Cosicche',  nei confronti di reati contrassegnati dalla lesione di
 un identico bene  giuridico  puo'  qui  ripetersi  che  "finisce  per
 risultare ictu oculi carente di ragionevolezza e si presenta per cio'
 stesso  lesivo  del  principio di eguaglianza, un complesso normativo
 che consente di beneficiare delle sanzioni sostitutive a chi ha posto
 in essere, fra due condotte gradatamente lesive  dell'identico  bene,
 quella  connotata da maggiore gravita', discriminando, invece, chi ha
 realizzato il fatto che meno  offende  lo  stesso  valore  giuridico"
 (sentenza n. 249 del 1993).
    9.  -  E'  incontestabile  che l'introduzione del divieto da parte
 della  norma  ora  denunciata  corrisponde  ad  una  precisa   scelta
 legislativa  volta  a  presidiare,  attraverso la riduzione del campo
 applicativo delle sanzioni sostitutive, interessi  contrassegnati  da
 una  particolare rilevanza collettiva, in quanto connessi alla tutela
 della salubrita' dell'ambiente; ed in effetti, allorche'  il  divieto
 venne  introdotto,  i  due  testi  normativi  indicati  dall'art. 60,
 secondo comma,  della  legge  n.  689  del  1981  rappresentavano  la
 disciplina   fondamentale   diretta   a  proteggere  tale  interesse;
 coerentemente, non soltanto, con il regime delle esclusioni oggettive
 dall'amnistia sopra ricordate, ma anche con il sistema di  esclusione
 dalla  depenalizzazione (art. 34, lettere g ed h) e della piu' severa
 possibilita' di accesso all'oblazione (art. 127 della stessa legge).
    Non   viene,   pero',   qui   in    considerazione    l'intrinseca
 irrazionalita'  del divieto, come si e' visto, sicuramente congruo in
 relazione all'assetto normativo presente al  momento  di  entrata  in
 vigore  della  legge  n.  689  del  1981,  ma  soltanto  la discrasia
 scaturente dall'assenza di analoghe norme protettive nella  specifica
 materia   della   tutela   dall'inquinamento   e  da  cui  deriva  la
 sopravvenuta irragionevolezza del permanere di un  regime  preclusivo
 rispetto  a fattispecie di reato conformate in modo tale da provocare
 una disciplina ingiustificatamente piu' severa nonostante l'identita'
 dell'interesse protetto ed i giudizi di valore  ancor  piu'  negativi
 espressi sotto il profilo sanzionatorio dalle successive previsioni.
    10.  -  Tutto  cio' rendera' necessario al legislatore, al fine di
 scongiurare  il  prodursi  di  ulteriori  squilibri  e  di  ulteriori
 arbitrarie  discriminazioni,  di pervenire ad una piu' puntuale opera
 di coordinamento del regime dei  divieti,  certo  sovrapponendo,  ove
 cio'  si  renda  necessario,  un  sistema  di esclusioni per campo di
 materia, in ogni caso rifuggenti da mere indicazioni nominative,  non
 una  sola volta alla base di giudizi di irragionevolezza (v. sentenza
 n. 249 del 1993). Tanto piu' che il decreto-legge 14 giugno 1993,  n.
 187,  convertito  dalla  legge 12 agosto 1993, n. 296, mentre, per un
 verso,  ha  ampliato  l'ambito   di   operativita'   delle   sanzioni
 sostitutive,  estendendo l'entita' della pena concretamente irrogata,
 per un altro verso, ha soppresso -  coerentemente  al  decisum  della
 ricordata  sentenza  n.  249  del  1993  -  ogni legame con le regole
 relative  alla  competenza;  con  una  diretta  incidenza   di   tali
 disposizioni  sul  regime  dell'applicazione  della pena su richiesta
 delle parti di cui agli artt. 444 e seguenti del codice di  procedura
 penale,  una  volta affermata la cumulabilita' delle due richieste, i
 cui conseguenti effetti deflattivi possono risultare consistentemente
 rafforzati.
    Il tutto senza contare i precetti modificativi dell'art. 23, terzo
 comma, della legge n.  319  del  1976,  derivanti,  dall'art.  2  del
 decreto-legge  15  novembre  1993,  n. 454 (non convertito in legge),
 "reiterato" dal decreto-legge 14 gennaio 1994, n. 31 (non  convertito
 in legge), quindi, dal decreto-legge 17 marzo 1994, n. 177 (anch'esso
 non  convertito  in  legge),  ed, infine, dal decreto-legge 16 maggio
 1994, n. 292 (non ancora convertito in legge), il quale prevede,  per
 l'inosservanza  dei limiti di accettabilita' fissati per gli scarichi
 dalle regioni, ai sensi dell'art.  14,  secondo  comma,  della  detta
 legge,  nei  rispettivi  limiti  e  modi  di  applicazione,  non piu'
 l'irrogazione di  una  pena,  ma  la  comminatoria  di  una  sanzione
 amministrativa.
    11.   -   Deve,   dunque,   essere   dichiarata   l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 60, secondo comma, della legge  24  novembre
 1981,  n.  689, nella parte in cui esclude che le pene sostitutive si
 applichino ai reati previsti dagli artt.  21  e  22  della  legge  10
 maggio   1976,   n.   319   (norme   per   la   tutela   delle  acque
 dall'inquinamento).   Restano,   conseguentemente,   assorbiti    gli
 ulteriori  profili di illegittimita' avanzati da taluni dei giudici a
 quibus.