ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita'  costituzionale  degli  artt.  3,  ottavo
 comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento
 di fine rapporto e norme in materia pensionistica) e 15, terzo comma,
 della  legge  30  aprile  1969,  n.  153 (Revisione degli ordinamenti
 pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), promossi  con
 le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza emessa il 18 marzo 1993 dal Pretore di Treviso nel
 procedimento civile vertente tra  Garbin  Raffaele  e  l'I.N.P.S.  ed
 altro,  iscritta  al  n. 234 del registro ordinanze 1993 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  22,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1993;
     2)  ordinanza emessa il 28 aprile-22 giugno 1993 dal Tribunale di
 Pordenone nel  procedimento  civile  vertente  tra  Maccan  Pietro  e
 l'I.N.P.S.,   iscritta  al  n.  20  del  registro  ordinanze  1994  e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  6,  prima
 serie speciale, dell'anno 1994;
    Visti gli atti di costituzione di Maccan Pietro e dell'I.N.P.S.;
    Udito nell'udienza pubblica del 10 maggio 1994 il Giudice relatore
 Ugo Spagnoli;
    Udito l'avv. Carlo De Angelis per l'I.N.P.S.;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con ordinanza del 28 aprile 1993, il Tribunale di Pordenone
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale - per contrasto
 con gli articoli 3 e 38 della Costituzione - dell'articolo 3,  ottavo
 comma,  della  legge  29  maggio  1982  n.  297,  secondo cui "per le
 pensioni liquidate con decorrenza successiva al 30  giugno  1982,  la
 retribuzione   annua   pensionabile   per   l'assicurazione  generale
 obbligatoria per l'invalidita', la  vecchiaia  ed  i  superstiti  dei
 lavoratori  dipendenti  e'  costituita dalla quinta parte della somma
 delle retribuzioni percepite in costanza di  rapporto  di  lavoro,  o
 corrispondenti  a  periodi  riconosciuti  figurativamente,  ovvero ad
 eventuale  contribuzione  volontaria,  risultante  dalle  ultime  260
 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione".
    Il caso che il Tribunale di Pordenone doveva giudicare  riguardava
 il  signor  Pietro  Maccan,  il  quale aveva cessato di lavorare alle
 dipendenze di  terzi  nel  1979,  dopo  aver  maturato  un'anzianita'
 contributiva di oltre 28 anni, di per se' sufficiente ad assicurargli
 il diritto alla pensione di vecchiaia, una volta che avesse raggiunto
 l'eta'  pensionabile.  In  attesa  di  quel momento, il Maccan si era
 dedicato - dal 1983 al 1988 - all'attivita' di "pescatore  autonomo".
 Tale  attivita' era soggetta a contribuzione obbligatoria I.N.P.S. da
 corrispondere - secondo la legge 13 marzo 1958 n. 250 - sulla base di
 un salario medio convenzionale notevolmente inferiore  rispetto  alle
 retribuzioni   medie   dei   lavoratori  dipendenti.  In  virtu'  del
 meccanismo previsto dal citato articolo 3, ottavo comma, della  legge
 n. 297 del 1982, la sua pensione era stata calcolata sulla base della
 retribuzione  contributiva degli ultimi cinque anni di contribuzione,
 il che aveva determinato un importo di lire 317.436 mensili, in luogo
 di lire 693.487, quale  sarebbe  stato  l'importo  della  prestazione
 previdenziale  che  si  sarebbe  ottenuto escludendo la contribuzione
 versata come pescatore autonomo sia dal  calcolo  della  retribuzione
 contributiva  media,  sia dal moltiplicatore che esprime le settimane
 di contribuzione.
    Secondo il  giudice  a  quo,  il  meccanismo  sopra  descritto  e'
 irrazionalmente  discriminatorio  nei  confronti di quegli assicurati
 che,  per  un  qualunque  motivo,  scelgano  o  siano  costretti   ad
 esercitare un'attivita' meno retribuita nel quinquennio precedente la
 decorrenza  della  pensione.  Esso  altera,  inoltre,  il  necessario
 equilibrio tra  contribuzioni  versate  e  trattamento  pensionistico
 ricevuto.
    Nell'ordinanza di rimessione si ricorda che la Corte, con sentenza
 n.  307  del  1989,  ha  gia'  deciso  una  questione per molti versi
 analoga, dichiarando  l'illegittimita'  costituzionale  del  medesimo
 articolo  3, ottavo comma, della legge n. 297 del 1982 nella parte in
 cui  non  prevedeva  che,  in   caso   di   prosecuzione   volontaria
 nell'assicurazione   generale   obbligatoria  per  l'invalidita',  la
 vecchiaia e i superstiti da parte del lavoratore dipendente che abbia
 gia' conseguito, in costanza di rapporto  di  lavoro,  la  prescritta
 anzianita'  assicurativa  e  contributiva,  la pensione liquidata non
 possa  essere  inferiore   a   quella   che   sarebbe   spettata   al
 raggiungimento   dell'eta'   pensionabile   sulla   base  della  sola
 contribuzione obbligatoria. Il fatto che, nell'ipotesi ora in  esame,
 sia  una  contribuzione  di  carattere  obbligatorio a determinare il
 depauperamento anziche' l'incremento della prestazione  pensionistica
 non  consente - secondo il giudice a quo - di sottrarre il meccanismo
 normativo,  anche  per  questo  versante,  al  medesimo  giudizio  di
 irragionevolezza espresso dalla suddetta pronunzia.
    2.  -  Costituendosi  nel  giudizio davanti a questa Corte, Pietro
 Maccan  ha  ribadito  gli  argomenti  enunciati  dal   Tribunale   di
 Pordenone,  ricordando  in particolare come la stessa ratio decidendi
 della sentenza n. 307 del 1989 era stata applicata  dalla  successiva
 sentenza   n.   428   del   1992   per   dichiarare  l'illegittimita'
 costituzionale del medesimo articolo 3, comma 8, della legge  n.  297
 del  1982  nella  parte in cui non consentiva, in caso di pensione di
 anzianita',   il   ricalcolo   della   pensione   stessa,   dopo   il
 raggiungimento   dell'eta'   pensionabile,   sulla  base  della  sola
 contribuzione obbligatoria, qualora cio'  portasse  ad  un  risultato
 piu'  favorevole  all'assicurato.  Secondo  la  difesa  della  parte,
 l'elemento di diversita' del caso ora in esame rispetto a quelli  che
 la  Corte ha gia' esaminato - e cioe' il carattere obbligatorio e non
 facoltativo della contribuzione aggiuntiva - non e' idoneo a influire
 sulla ratio decidendi, essendo comunque irrazionale che si  determini
 un  decremento  pensionistico  quale  esclusiva  conseguenza  di  una
 maggior contribuzione.
    La stessa difesa osserva, infine, che il legislatore  ha  compreso
 la  necessita'  di  neutralizzare talune incongrue conseguenze che le
 variazioni della retribuzione possono  determinare  sul  livello  del
 trattamento  pensionistico  ed  infatti, con l'articolo 1 del decreto
 legislativo 11 agosto 1993 n. 373, ha adottato, per i  lavoratori  di
 nuova   assunzione,  il  criterio  di  escludere  dal  calcolo  della
 retribuzione media pensionabile  quelle  retribuzioni  che  siano  di
 importo  inferiore  di  oltre  il  20  per  cento rispetto alla media
 stessa.
    3.  -  Si  e'  costituito  anche  l'I.N.P.S.,  rimettendosi   alla
 decisione  della Corte, ma rilevando la diversita' della questione in
 esame rispetto a quelle gia' esaminate e  decise  dal  giudice  delle
 leggi con le sentenze nn. 307 del 1989 e 428 del 1992, nelle quali il
 giudizio  di  irrazionalita'  era  incentrato  sul  contrasto  tra la
 funzione tipica della contribuzione volontaria -  che  e'  quella  di
 produrre  un  trattamento  pensionistico  piu'  favorevole  -  ed  il
 contrario effetto che invece la  contribuzione  volontaria  produceva
 nelle   ipotesi   considerate  in  ragione  di  un  perverso  effetto
 collaterale del meccanismo normativo.
    4. - Analoga questione e' stata sollevata dal Pretore  di  Treviso
 con  ordinanza  del  18 marzo 1993 (r.o. n. 234/1993) nel corso di un
 procedimento civile promosso, nei confronti dell'I.N.P.S. da Raffaele
 Garbin, il quale era stato per 30 anni dipendente  di  una  Cassa  di
 risparmio, in qualita' di impiegato di concetto e, dopo la cessazione
 di  tale  rapporto,  aveva  prestato,  negli  anni 1985, 1986 e 1987,
 attivita' lavorativa molto limitata (pari a  17  giornate  lavorative
 nel  primo  anno,  20  nel secondo e 16 nel terzo) alle dipendenze di
 un'azienda  agricola.  Quest'ultima  aveva  per  lui  corrisposto   i
 contributi previdenziali ragguagliati alla misura convenzionale annua
 stabilita  dall'articolo  15  della  legge 30 aprile 1969 n. 153, che
 prevede  una  sorta  di  integrazione  contributiva  a   favore   dei
 lavoratori  agricoli  ai  quali  risulti  accreditato  un  numero  di
 contributi inferiore ad un anno. Per effetto dell'articolo 3,  ottavo
 comma,  della legge 29 maggio 1982 n. 297, l'I.N.P.S. aveva calcolato
 la  pensione  dovuta  al  ricorrente  assumendo   come   retribuzione
 dell'ultimo  quinquennio  lavorativo sia la retribuzione percepita in
 qualita' di impiegato bancario (per un biennio) sia  la  retribuzione
 media  di  un bracciante agricolo avventizio (per l'ultimo triennio).
 In tal modo il ricorrente aveva subi'to una macroscopica  diminuzione
 del  trattamento  pensionistico  rispetto  a  quanto  avrebbe  potuto
 ottenere  qualora  la  retribuzione  delle   ultime   260   settimane
 lavorative   fosse   stata   calcolata,   secondo  la  richiesta  del
 ricorrente, facendo esclusivo riferimento al suo rapporto  di  lavoro
 con la Cassa di risparmio.
    Il   Pretore   di   Treviso   denunzia  altresi'  l'illegittimita'
 costituzionale dell'articolo 15, terzo comma, della legge n. 153  del
 1969,  "nella  parte  in  cui  prevede  una integrazione contributiva
 figurativa anche nei casi in cui  essa  comporta  un  pregiudizio  al
 lavoratore  sotto  il  profilo  del  trattamento pensionistico" senza
 limitarsi, cioe', a rendere possibile l'utilizzazione dei  contributi
 figurativi  soltanto  se  essa determini un risultato piu' favorevole
 per il lavoratore.
    Il  Pretore  osserva  che,  nel  caso  di  specie,  l'applicazione
 combinata  delle  due  norme  porta  ad un risultato in contrasto con
 l'art. 3 della  Costituzione,  sotto  il  profilo  del  principio  di
 ragionevolezza.  La  riduzione  del  trattamento pensionistico che il
 meccanismo indicato determina, si pone in contraddizione non solo con
 l'intero assetto normativo in materia previdenziale, ma anche con  la
 ratio  della  stessa normativa impugnata. Entrambe le disposizioni in
 esame,  infatti,  se  considerate  isolatamente,   sono   chiaramente
 ispirate  ad  un  principio  di  favore  per  il  lavoratore:  a)  la
 disciplina del calcolo della pensione, imponendo un riferimento  alle
 ultime 260 settimane di attivita' (cinque anni), risponde all'intento
 di  assicurare  un trattamento pensionistico almeno teoricamente piu'
 elevato;  b)  la  norma  sui  lavoratori  agricoli,  d'altra   parte,
 prevedendo  un  meccanismo  di  integrazione  contributiva  a  carico
 dell'ente   previdenziale,   intende   garantire    un    trattamento
 pensionistico  minimo anche a quei lavoratori che abbiano prestato la
 loro attivita' in modo precario e discontinuo.
    Anche il Pretore di Treviso ricorda, a sostegno della censura,  la
 sentenza  n.  307  del  1989,  ma  il  richiamo  e' esteso anche alla
 sentenza  n.  421   del   1991,   con   cui   e'   stata   dichiarata
 l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 4, primo comma della legge
 n. 152 del 1968 che imponeva la liquidazione  dell'indennita'  premio
 di   servizio   corrisposta   dall'I.N.A.D.E.L.   sulla   base  della
 retribuzione degli ultimi dodici mesi di servizio senza  tener  conto
 della maggior retribuzione percepita in precedenza.
    Secondo  il  giudice  a  quo,  le norme impugnate sono altresi' in
 contrasto con gli artt. 36 e 38 della Costituzione, in  quanto  danno
 luogo ad un trattamento pensionistico palesemente inadeguato rispetto
 sia all'effettivo apporto contributivo fornito nella parte conclusiva
 dell'attivita'  lavorativa complessiva, sia alla qualita' e quantita'
 del  lavoro   prestato   durante   il   servizio   attivo   (profilo,
 quest'ultimo,  che  rileva data la natura retributiva riconosciuta al
 trattamento pensionistico dalla consolidata giurisprudenza di  questa
 Corte).
    5.   -   Si   e'  costituito  in  giudizio  l'I.N.P.S.,  deducendo
 l'inammissibilita' e, in subordine,  l'infondatezza  della  questione
 sollevata dal Pretore di Treviso.
   La difesa dell'istituto rileva in primo luogo che dalla motivazione
 dell'ordinanza   di   remissione  non  risulta  quale  sarebbe  stato
 l'importo della pensione che l'interessato avrebbe  ricevuto  per  il
 lavoro  svolto  presso  la  Cassa  di risparmio senza tener conto del
 periodo   di   contribuzione   relativo   all'attivita'    lavorativa
 successivamente  svolta  quale  salariato  agricolo. Il giudice a quo
 inoltre non avrebbe tenuto conto - secondo la difesa dell'I.N.P.S.  -
 che il Garbin, all'atto della cessazione del rapporto con la Cassa di
 risparmio, non aveva ancora raggiunto l'eta' minima pensionabile.
    Nel merito, l'istituto contesta l'argomento formulato dal Pretore,
 secondo  cui  sia  l'articolo 3, ottavo comma, della legge n. 297 del
 1982, sia l'articolo 15, terzo comma, della legge n.  153  del  1969,
 sarebbero  "chiaramente  ispirati  ad  un  principio di favore per il
 lavoratore", rispetto alla normativa precedentemente  in  vigore.  Al
 contrario  -  osserva  l'I.N.P.S.  - il sistema di calcolo introdotto
 dalla legge del 1982 e'  meno  favorevole  di  quello  in  precedenza
 previsto  dall'articolo  26, terzo comma, della legge n. 160 del 1975
 secondo cui la retribuzione media annua pensionabile era data dai tre
 gruppi di retribuzione piu' favorevoli  nel  decennio  precedente  la
 pensione,   fossero   questi   collocati  nell'ultimo  quinquennio  o
 anteriormente. Ne' l'applicabilita'  di  una  legge  posteriore  piu'
 sfavorevole  puo' dar luogo a dubbi di legittimita' costituzionale in
 quanto, come affermato da ultimo con la sentenza  n.  243  del  1993,
 "non   puo'   contrastare   con   il  principio  di  uguaglianza,  un
 differenziato  trattamento  applicato  alla   stessa   categoria   di
 soggetti,  ma  in momenti diversi nel tempo, perche' lo stesso fluire
 di questo costituisce di per  se'  un  elemento  diversificatore"  in
 rapporto  a  situazioni concernenti sia gli stessi soggetti, come gli
 altri componenti dell'aggregato sociale.
                        Considerato in diritto
    1. - La norma che il Tribunale  di  Pordenone  ed  il  Pretore  di
 Treviso  sottopongono  all'esame  di  questa  Corte  e' rappresentata
 dall'articolo 3, ottavo comma, della legge 29  maggio  1982  n.  297,
 secondo  cui  "Per le pensioni liquidate con decorrenza successiva al
 30 giugno 1982 la retribuzione annua pensionabile per l'assicurazione
 generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti
 dei lavoratori dipendenti e'  costituita  dalla  quinta  parte  della
 somma delle retribuzioni percepite in costanza di rapporto di lavoro,
 o  corrispondenti  a  periodi riconosciuti figurativamente, ovvero ad
 eventuale  contribuzione  volontaria,  risultante  dalle  ultime  260
 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione".
    La  retribuzione  annua  media  pensionabile  -  che  costituisce,
 insieme  all'anzianita'  contributiva,   uno   dei   due   principali
 coefficienti  di  calcolo  per  la determinazione della pensione - e'
 quindi, per effetto della norma impugnata -  pari  ad  un  quinto  di
 quella  delle  ultime  260  settimane di contribuzione antecedenti la
 decorrenza della pensione stessa. I giudici  a  quibus  rilevano  che
 questo  meccanismo determina, in talune ipotesi, conseguenze che essi
 giudicano irrazionali e quindi contrastanti con l'articolo  3,  oltre
 che  con  gli  articoli  36  e  38  della  Costituzione. Tali ipotesi
 riguardano i  casi  in  cui  il  lavoratore,  gia'  in  possesso  del
 requisito  della  anzianita'  contributiva  minima, abbia subi'to, in
 coincidenza con il periodo di riferimento (le ultime 260 settimane di
 contribuzione) o nel corso di esso, una riduzione della  retribuzione
 contributiva   di   tale   misura   da   non  essere  compensata  dal
 corrispondente incremento  dell'anzianita'  contributiva  e  tale  da
 determinare,  quindi,  una  riduzione  del  trattamento pensionistico
 complessivo rispetto a quello che sarebbe stato liquidato se, in quei
 periodi di minor reddito lavorativo, egli non avesse ne' lavorato ne'
 versato alcuna contribuzione.
    Con riferimento al caso di specie (riguardante un lavoratore  che,
 dopo  30  anni  di servizio alle dipendenza di una Cassa di risparmio
 come impiegato di concetto, aveva prestato per un triennio  attivita'
 estremamente  limitata  come  lavoratore  agricolo),  il  Pretore  di
 Treviso  denunzia  altresi'  l'illegittimita'  costituzionale  -  con
 riferimento agli stessi parametri - dell'articolo  15,  terzo  comma,
 della  legge  30  aprile  1969  n.  153  "nella  parte in cui prevede
 un'integrazione contributiva figurativa anche nei casi  in  cui  essa
 comporta   un   pregiudizio   al  lavoratore  sotto  il  profilo  del
 trattamento pensionistico".
    2.  -  In  primo  luogo  deve  essere  disattesa  l'eccezione   di
 inammissibilita'   opposta   dalla  difesa  dell'I.N.P.S.  in  ordine
 all'ordinanza del Pretore di Treviso.
    Il fatto che il giudice a quo non abbia  precisato  quale  sarebbe
 stato  l'importo  della  pensione  liquidabile  senza tener conto del
 periodo di contribuzione come salariato agricolo, non e' sufficiente,
 a far ritenere  l'ordinanza  priva  di  motivazione  in  ordine  alla
 rilevanza,  posto  che il Pretore ha dato conto di aver accertato che
 tale  importo  sarebbe  stato   notevolmente   maggiore   di   quello
 effettivamente liquidato.
    Ne'   alcun   rilievo   puo'  essere  riconosciuto  al  fatto  che
 l'interessato, all'atto della cessazione del rapporto con la Cassa di
 risparmio, non avesse ancora raggiunto l'eta' minima pensionabile. Si
 tratta, infatti,  di  circostanza  del  tutto  estranea  rispetto  ai
 termini  della  questione,  posto  che  quest'ultima  non riguarda il
 momento di maturazione del diritto al trattamento  pensionistico,  ma
 l'ammontare di questo al raggiungimento dell'eta' pensionabile.
    3.  -  Nel  merito  e'  fondata la questione concernente il citato
 articolo 3, ottavo comma, della legge n. 297 del 1982.
    Con le sentenze nn. 307 del 1989 e 428 del 1992, questa  Corte  ha
 gia'  esaminato  gli  effetti che il meccanismo stabilito dalla norma
 impugnata determinava in talune ipotesi particolari  ed  ha  ritenuto
 che   fosse   irrazionale   e   privo  di  giustificazione  che  alla
 prosecuzione volontaria nell'assicurazione da  parte  del  lavoratore
 che abbia gia' conseguito l'anzianita' contributiva minima prescritta
 per  il  diritto  a  pensione,  possa  conseguire il risultato di una
 pensione di vecchiaia inferiore a quella che gli sarebbe spettata ove
 avesse omesso di effettuare la contribuzione volontaria.
    L'incongruenza logica di un  simile  risultato  con  le  finalita'
 proprie  della  contribuzione  volontaria  e'  stata  indicata, nelle
 suddette pronunzie,  come  elemento  meramente  rafforzativo  di  una
 valutazione  di  irrazionalita'  che  la  questione  oggi  sottoposta
 all'esame di questa Corte consente di riaffermare  in  radice  ed  in
 termini piu' generali.
    Le  varie  leggi  che  si  sono  succedute a partire dal d.P.R. 27
 aprile 1968 n. 488 hanno variamente disciplinato l'individuazione del
 periodo di  riferimento  per  la  determinazione  della  retribuzione
 pensionabile   perseguendo,  di  volta  in  volta,  la  finalita'  di
 semplificare il sistema, ovvero di garantire al lavoratore  una  piu'
 favorevole  base  di  calcolo  per  la  liquidazione  della pensione,
 oppure,  al  contrario,  di  attenuare  il  disavanzo   del   sistema
 previdenziale.   Le   scelte  operate  al  riguardo  dal  legislatore
 rientrano  nell'ambito  della  discrezionalita'  politica,  ma   esse
 possono  essere  sindacate  da  questa Corte nella misura in cui esse
 diano luogo a risultati palesemente irrazionali o  comunque  contrari
 ai principi costituzionali che regolano la materia.
    Orbene,  e'  palesemente contrario al principio di razionalita' di
 cui all'articolo 3 della Costituzione - "che  implica  l'esigenza  di
 conformita'  dell'ordinamento  a  valori  di  giustizia e di equita'"
 (sentenza n. 421 del 1991)  che  all'inserimento  di  un  periodo  di
 contribuzione  obbligatoria  nella  base  di  calcolo  della pensione
 consegua,  in  un  sistema  che  prende  in  considerazione  per   la
 determinazione  della retribuzione pensionabile solo l'ultimo periodo
 lavorativo (in quanto si presume piu' favorevole per il  lavoratore),
 come  unico  effetto, un depauperamento del trattamento pensionistico
 di vecchiaia rispetto a quello gia' ottenibile ove  in  tale  periodo
 non  vi  fosse  stata  contribuzione  alcuna ed il periodo stesso non
 fosse stato quindi computabile a nessun effetto (neppure, quindi,  ai
 fini  della  determinazione dell'anzianita' contributiva): e', cioe',
 irragionevole e ingiusto che a maggior lavoro  e  a  maggior  apporto
 contributivo   corrisponda   una  riduzione  della  pensione  che  il
 lavoratore avrebbe  maturato  al  momento  della  liquidazione  della
 pensione per effetto della precedente contribuzione.
    Questo   e'  invece  quanto  puo'  verificarsi,  per  effetto  del
 meccanismo delineato dalla norma in esame, allorquando le ultime  260
 settimane  di  contribuzione  precedenti la decorrenza della pensione
 comprendano periodi di contribuzione obbligatoria (non  necessari  ai
 fini  del  perfezionamento  del  requisito  della  minima  anzianita'
 contributiva)  di  importo  notevolmente  inferiore  a  quello  della
 contribuzione   obbligatoria   precedente.   E  tale  depauperamento,
 incidendo in questo caso sulla proporzionalita'  tra  il  trattamento
 pensionistico  e  la  quantita'  e  la  qualita'  del lavoro prestato
 durante il servizio attivo, viola anche l'articolo 36, oltre  che  il
 principio di adeguatezza di cui all'articolo 38, secondo comma, della
 Costituzione.
    Questo  si  e' verificato nei casi rappresentati dall'ordinanza di
 remissione per effetto di nuove attivita' di lavoro meno retribuite.
    La questione e' percio' fondata e l'impugnato articolo  3,  ottavo
 comma,  deve  quindi essere dichiarato costituzionalmente illegittimo
 nella parte in cui non prevede che, nel  caso  di  esercizio  durante
 l'ultimo  quinquennio  di contribuzione di attivita' lavorativa, meno
 retribuita da parte di un lavoratore che  abbia  gia'  conseguito  la
 prescritta  anzianita'  contributiva, la pensione liquidata non possa
 essere  comunque  inferiore  a  quella  che  sarebbe   spettata,   al
 raggiungimento  dell'eta'  pensionabile,  escludendo  dal computo, ad
 ogni effetto,  i  periodi  di  minore  retribuzione,  in  quanto  non
 necessari ai fini del requisito dell'anzianita' contributiva minima e
 calcolando  invece  la  precedente  contribuzione  obbligatoria ed il
 connesso piu' ristretto arco temporale lavorativo.
    4. - La censura proposta  dal  Pretore  di  Treviso  relativamente
 all'articolo 15, terzo comma, della legge 30 aprile 1969 n. 153, deve
 pertanto  ritenersi  sostanzialmente  superata.  Puo' tuttavia essere
 ricordato che, in ossequio  al  principio  di  solidarieta',  non  e'
 necessario,   per   la   legittimita'   costituzionale   dell'obbligo
 contributivo, che a ciascuna contribuzione corrisponda un  incremento
 della prestazione previdenziale.