ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 425 del codice
 di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 2 dicembre 1993
 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di  Ivrea
 nel  procedimento  penale  a  carico  di  Racchio Giovanni Leonterio,
 iscritta al n. 65 del registro  ordinanze  1994  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  10, prima serie speciale,
 dell'anno 1994;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio  dell'8  giugno  1994  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Ritenuto  che  il  giudice  per  le indagini preliminari presso il
 Tribunale di Ivrea ha sollevato, in riferimento agli artt. 97,  primo
 e secondo comma, e 107, terzo comma, della Costituzione, questione di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  425  del codice di procedura
 penale, nel testo risultante a seguito della sentenza di questa Corte
 n. 41 del 1993 e dell'art. 1 della  legge  8  aprile  1993,  n.  105,
 "nella  parte in cui non consente al giudice dell'udienza preliminare
 di pronunciare sentenza di non luogo  a  procedere  per  mancanza  di
 imputabilita',  pur  avendo  ora  tale giudice la possibilita' di una
 penetrante   cognizione   nel   merito,    svincolata    dall'estremo
 dell'"evidenza"  (quello  cioe'  che  aveva  motivato  la sentenza n.
 41/93);
      che osserva il remittente che  l'attuale  sistema,  creatosi  in
 conseguenza   della   stratificazione   di   interventi  modificativi
 dell'art. 425, "impedisce  al  giudice  dell'udienza  preliminare  di
 svolgere  la  sua funzione di filtro per il dibattimento e gli toglie
 la possibilita' di pronunciarsi nell'ambito dei suoi poteri su  fatti
 per  i quali e' comunque competente, cosi' obbligando il Tribunale ..
 a celebrare il dibattimento per fatti non controversi e per  i  quali
 non  si potra' mai pervenire ad una sentenza di condanna, con inutile
 dispendio di organizzazione, energie lavorative e spese";
      che e' intervenuto in giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
 ministri,   eccependo   in   primo   luogo  l'inammissibilita'  della
 questione, in quanto non introduce elementi  di  rilievo  rispetto  a
 quanto  gia'  statuito  dalla Corte con la sentenza n. 41 del 1993, e
 concludendo, comunque, per l'infondatezza della medesima.
    Considerato  che   l'eccezione   di   inammissibilita'   sollevata
 dall'Avvocatura  dello  Stato  deve  essere rigettata, in quanto essa
 attiene palesemente al merito della questione;
      che, in ordine al  riferimento  all'art.  97,  primo  e  secondo
 comma,   della   Costituzione  (censura  che  deve  essere  esaminata
 unitariamente,  dato  lo  stretto  collegamento  tra  i   due   commi
 richiamati),  deve  ribadirsi  che  il principio del buon andamento e
 della  imparzialita'  dell'amministrazione,  alla  cui  realizzazione
 detto   parametro   vincola  la  disciplina  dell'organizzazione  dei
 pubblici  uffici,   pur   potendo   riferirsi   anche   agli   organi
 dell'amministrazione della giustizia (sentt. nn. 18 del 1989 e 86 del
 1982),  attiene  esclusivamente  alle leggi concernenti l'ordinamento
 degli uffici giudiziari  e  il  loro  funzionamento  sotto  l'aspetto
 amministrativo,  mentre  e' del tutto estraneo al tema dell'esercizio
 della funzione giurisdizionale, nel suo complesso e in  relazione  ai
 diversi provvedimenti che costituiscono espressione di tale esercizio
 (cfr. sent. n. 376 del 1993);
     che del pari chiaramente infondato si rivela il richiamo all'art.
 107,  terzo  comma, della Costituzione - secondo cui "i magistrati si
 distinguono fra loro soltanto  per  diversita'  di  funzioni"  -,  in
 quanto  tale precetto concerne essenzialmente lo status giuridico dei
 magistrati, nell'ambito del quale mira a  precludere  diversita'  per
 gradi  gerarchici, ovvero arbitrarie categorizzazioni non sorrette da
 ragioni di ordine funzionale (cfr. sentt. nn. 50 e 123 del  1970,  86
 del  1982):  con  la  conseguenza che non puo' essere invocato - come
 nella  fattispecie  -  per  censurare  l'ambito delle funzioni che la
 legge assegna ai vari organi giurisdizionali in ragione delle diverse
 fasi in cui il processo si articola (cfr. cit. sent. n. 50 del 1970);
      che,  in  conclusione,  la  questione  deve  essere   dichiarata
 manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.