IL GIUDICE ISTRUTTORE Sciogliendo la riserva formulata all'udienza 22 dicembre 1993, osserva: A) L'attore ha ricusato il nominato C.T.U. De Filippis Como, che doveva accertare l'entita' dei danni alle cose (autovettura) da lui lamentati, avendo il De Filippis dichiarato di avere a volte lavorato come perito della convenuta "Assitalia". La ricusazione va rigettata, in quanto l'art. 51 n. 3 del c.p.c. seconda parte riguarda rapporti di credito o debito attuali, e cioe' in corso, o comunque prevedibili in un immediato futuro, perche' fondati su un rapporto di collaborazione continuativo e non occasionale. Ai sensi degli artt. 54, terzo comma, e 63 cpv del c.p.c., il difensore dell'attore va condannato ad una pena pecuniaria di lire ventimila. B) L'attore si e' opposto in udienza a che al teste Quarta Antonio venisse posta la domanda capitolata a verbale all'udienza 22 febbraio 1993 dalla convenuta assicurazione: "Vero che l'incidente si e' verificato con mezzi diversi da quelli indicati dall'attore". In effetti, secondo la comparsa di risposta, il Quarta avrebbe svolto perizia sull'auto dell'attore per conto della assicurazione, escludendo che vi fosse stata collisione tra veicoli. E' indubbio che la deposizione del Quarta sulla circostanza contestata avrebbe carattere di testimonianza non su fatti conosciuti de visu e/o de auditu, bensi' su valutazioni concernenti la dinamica della causazione dei danni lamentati. Essa quindi non sarebbe ammissibile. Ne' l'inammissibilita' potrebbe essere sanata dalla mancata proposizione di reclamo ex art. 178 cpv. del c.p.c. avverso l'ordinanza 17 maggio 1993 del precedente giudice istruttore, che ammise il mezzo di prova. Trattasi infatti di inammissibilita' non meramente formale, bensi' derivante dalla violazione di uno specifico divieto di legge. Una testimonianza di tal fatta e' estranea, ed anzi contraria, al sistema probatorio delineato dall'ordinamento. In proposito deve richiamarsi la generale categoria dell'inutilizzabilita', che, in precedenza soltanto implicita nel sistema processuale, e' stata codificata dall'art. 191 del c.p.p., il quale, essendo espressione di un principio generale, si applica anche nei giudizi civili. A questo punto, pero', deve emanarsi l'eccezione di incostituzionalita' formulata dalla convenuta assicurazione nelle note autorizzate del 31 dicembre 1993. Infatti il Quarta, con la testimonianza ritenuta inammissibile, avrebbe sostanzialmente dovuto deporre in qualita' di consulente. Ma l'art. 201 del c.p.c. consente alle parti di avvalersi in modo utile di propri consulenti tecnici solo qualora sia nominato un consulente di ufficio. In caso contrario, le relazioni scritte dei consulenti di parte sono prive di valore probatorio e il giudice non ha l'obbligo di esaminarle; tanto meno i consulenti possono partecipare alle udienze ed esprimere le loro osservazioni, come invece previsto dall'art. 201 cpv. del c.p.c. Questa limitazione, comunque discutibile, e' da ritenersi contrastante con i principi costituzionali, desumibili dall'art. 24 della Costituzione, come individuabili nell'attuale momento storico. Un'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale di decenni, ormai fatta propria dalla Corte costituzionale, configura il diritto di difesa di cui al primo e secondo comma dell'art. 24 della Costituzione come diritto di difendersi provando, "diritto alla prova". Tale elaborazione ha portato alla formulazione dell'art. 190 del c.p.p. del 1988, secondo il quale sono le parti a poter (sempre) richiedere le prove, mentre i casi di prova officiosa sono tipici. Se tanto avviene nel processo penale, pur dominato dall'interesse pubblico alla punizione dei colpevoli ed all'assoluzione degli innocenti, a maggior ragione dovrebbe avvenire nel processo civile, nel quale sono di solito in gioco diritti disponibili: sicche' non si vede perche' le parti potrebbero disporre dei diritti sostanziali, senza poter provare liberamente il fondamento degli stessi. Il problema nella specie sarebbe meno grave, qualora l'ordinamento avesse escluso in ogni caso la possibilita' di nominare un consulente tecnico: in tal caso si sarebbe di fronte ad un divieto probatorio, di cui eventualmente valutare l'irrazionalita'. Il fatto e' che l'art. 201 del c.p.c. rovescia senza alcuna valida ragione la regola posta, oltre che dall'art. 190 del c.p.p., dall'art. 115 del c.p.c. (le prove di parte sempre, quelle officiose in casi tipici), consentendo alle parti di dedurre le proprie prove (consulenti) solo subordinatamente all'assunzione di sempre possibili prove del giudice (consulente d'ufficio). Vi e' quindi, rispetto al generale principio di cui all'art. 115 del c.p.c., una deroga manifestamente irrazionale, e pertanto contrastante anche con l'art. 3 della Costituzione. Per escludere le denunciate illegittimita', non puo' farsi riferimento alla classificazione secondo la quale la consulenza di ufficio non e' mezzo di prova, ma mezzo di ausilio del giudice, cui fornisce le cognizioni tecniche mancanti, e secondo la quale il consulente di parte ha funzioni paragonabili a quelle dell'avvocato. Il consulente di parte sara' anche come un avvocato, ma, nel caso previsto dall'art. 201 cpv. del c.p.c., puo' deporre senza rinunciare al suo incarico, ed anzi proprio nell'espletamento dell'incarico. Per non parlare del consulente di parte nel processo penale, il quale, pur avendo anch'egli funzioni paragonabili a quelle dell'avvocato, puo' non soltanto essere esaminato, ma anche, con le sue dichiarazioni, essere cosi' convincente da rendere superflua una perizia ex artt. 224 e 508 del c.p.p. (trib. Lecce 3 gennaio 1992, in "foro ital.", 1992, II, p. 463 s.). La consulenza di ufficio sara' anche un ausilio per il c.d. peritus peritorum, ma proprio per questo consente di dimostrare, e cioe' di provare, come taluni fatti processualmente rilevanti si siano verificati. In cio' essa non differisce dal mezzo di ausilio del giudice penale costituito dalla perizia penale, che viene disposta "quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche" (art. 220 c.p.p.). E' evidente la rilevanza nel presente giudizio delle prospettate questioni di costituzionalita'. Attraverso il loro accoglimento, infatti, sarebbe possibile escutere il Quarta come consulente di parte, pur avendo escluso che possa testimoniare sulla circostanza sopra indicata. Ne' il diritto alla prova dell'assicurazione convenuta potrebbe essere tutelato consentendo alla stessa di nominare Quarta consulente di parte rispetto alla c.t.u. di cui si intende incaricare De Filippis Cosimo, la quale dovrebbe avere per oggetto solo l'entita' dei danni lamentati dall'attore richiedente, e non la dinamica del sinistro dedotto in causa.