ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma
 sesto-bis, della legge 27 aprile 1989, n. 154, (Conversione in legge,
 con  modificazioni,  del  decreto-legge  2 marzo 1989, n. 69, recante
 "Disposizioni urgenti in materia di imposta sul reddito delle persone
 fisiche  e  versamento  di  acconto  delle   imposte   sui   redditi,
 determinazione  forfettaria  del reddito e dell'I.V.A., nuovi termini
 per la presentazione della  dichiarazione  da  parte  di  determinate
 categorie  di  contribuenti,  sanatoria di irregolarita' formali e di
 minori infrazioni, ampliamento degli imponibili e contenimento  delle
 elusioni,  nonche'  in  materia  di  aliquote I.V.A. e di tasse sulle
 concessioni governative"), promosso con ordinanza emessa il 23 giugno
 1993  dalla  Corte  costituzionale  -  in  relazione  ai  giudizi  di
 costituzionalita'  proposti  dalla  Commissione  tributaria  di primo
 grado di Biella con ordinanza del 19 novembre 1990 (R.O. n.  135  del
 1991)  e  dalla  Commissione  tributaria di primo grado di Torino con
 ordinanze del 24 maggio 1991 e del 4 ottobre 1991 (R.O. nn. 730,  747
 e  748  del  1991,  e  69 del 1993) - iscritta al n. 447 del registro
 ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 36 prima serie speciale dell'anno 1993;
    Udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 1994 il Giudice  relatore
 Enzo Cheli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  n.  294 del 24 giugno 1993 (R.O. n. 447 del
 1993), la Corte costituzionale ha disposto la trattazione  innanzi  a
 se stessa della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2,
 comma  sesto-bis, della legge 27 aprile 1989, n. 154, "nella parte in
 cui prevede un trattamento tributario privilegiato rispetto al regime
 ordinario - mediante l'abbattimento della base imponibile al 60%  del
 reddito  percepito  -  a  favore degli assegni vitalizi percepiti dai
 soggetti inclusi nelle categorie elencate  dagli  artt.  24,  secondo
 comma,  e  29, penultimo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600,
 in riferimento agli artt. 3 e 53, primo comma, della Costituzione".
    La  questione  e'  stata  sollevata  nel  corso  dei  giudizi   di
 legittimita'  costituzionale promossi dalla Commissione tributaria di
 primo grado di Biella con ordinanza del 19 novembre 1990 (R.O. n. 135
 del 1991) e dalla Commissione tributaria di primo grado di Torino con
 tre ordinanze del 24 maggio 1991 (R.O. n. 730, 747 e 748 del 1991)  e
 con una ordinanza del 4 ottobre 1991 (R.O. n. 69 del 1993).
    2.  -  I  giudizi  nel  cui  ambito la questione in esame e' stata
 sollevata si fondano sui presupposti seguenti:
       a)  nel  procedimento  promosso  da  Giovanni   Samory   contro
 l'Intendenza  di  Finanza  di  Vercelli  avverso  il silenzio-rifiuto
 maturato sulla istanza di rimborso  dell'imposta  sul  reddito  delle
 persone  fisiche  corrisposta  in  relazione  alla pensione percepita
 negli anni 1988 e 1989, la Commissione tributaria di primo  grado  di
 Biella,  con  ordinanza  del 19 novembre 1991 (R.O. n. 135 del 1991),
 dichiarava rilevante e non manifestamente infondata - con riferimento
 agli artt. 3 e 53, primo comma, della Costituzione - la questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma sesto-bis, della legge
 27  aprile  1989,  n.  154  (che ha convertito, con modificazioni, il
 decreto-legge 2 marzo 1989, n. 69), in relazione  agli  artt.  1  del
 d.P.R.  29 dicembre 1973, n. 1092, 24, secondo comma, e 29, penultimo
 comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n.  600,  nonche'  in  relazione
 agli  artt. 47, primo comma, lett. h), del d.P.R.22 dicembre 1986, n.
 917, e 33, terzo comma, del d.P.R. 4  febbraio  1988,  n.  42,  nella
 parte  in  cui  tali norme "limitano ad alcune categorie il beneficio
 dell'assoggettamento  in  misura  ridotta  (sessanta  per  cento)  ad
 imposta   I.R.Pe.F.   degli   importi   corrisposti  per  trattamento
 pensionistico".
    Il giudice remittente osserva che la norma impugnata - equiparando
 i vitalizi di cui al secondo comma dell'art. 24 ed al penultimo comma
 dell'art. 29 del d.P.R.  29  settembre  1973,  n.  600  alle  rendite
 vitalizie  di  cui  all'art. 47, primo comma, lett. h), del d.P.R. 22
 dicembre 1986, n. 917 - comportava, in relazione all'art.  33,  terzo
 comma,   del   d.P.R.  4  febbraio  1988,  n.  42,  l'assoggettamento
 all'imposta sul reddito delle persone fisiche  dovuta  sugli  assegni
 vitalizi  spettanti  ai  parlamentari  cessati  dalla  carica  (ed ai
 soggetti inclusi nelle categorie  equiparate)  nella  misura  ridotta
 conseguente  all'abbattimento  della  base imponibile al 60 per cento
 dell'ammontare di detti assegni.
    Ad avviso del giudice a quo, una riduzione  dell'imponibile  -  se
 puo'  trovare  fondamento  nei  confronti  delle indennita' di carica
 spettanti ai parlamentari in relazione alle spese  straordinarie  che
 gli stessi, nell'esercizio del loro mandato, son tenuti ad affrontare
 -  non  troverebbe, invece, alcuna giustificazione nel momento in cui
 tali soggetti cessino dalle loro  funzioni.  I  parlamentari  (e  gli
 appartenenti alle categorie equiparate), una volta cessata la carica,
 verrebbero,  infatti,  a  trovarsi,  ai fini dell'imposta sul reddito
 delle persone fisiche, in una posizione del tutto identica  a  quella
 propria  della  generalita'  dei  dipendenti  pubblici  collocati  in
 pensione, con la conseguenza che il regime  di  privilegio  accordato
 dalla  normativa impugnata verrebbe ad assumere carattere arbitrario,
 ponendosi in contrasto sia con il principio  di  eguaglianza  sancito
 dall'art.  3  della  Costituzione sia con la regola dettata dall'art.
 53, primo comma, della Costituzione, secondo cui tutti sono tenuti  a
 concorrere  alle  spese  pubbliche  in  ragione  della loro capacita'
 contributiva;
       b) nei procedimenti promossi da Mario Aubert, Mario Pignatelli,
 Giuseppe Danese e Arturo  Sofi  contro  l'Intendenza  di  Finanza  di
 Torino avverso il silenzio-rifiuto maturato sulle istanze di rimborso
 dell'imposta  sul  reddito  delle  persone  fisiche corrisposta dagli
 stessi sul trattamento di pensione relativo agli anni 1988 e 1989, la
 Commissione tributaria di primo grado di Torino, con le ordinanze  n.
 730,  747  e  748 del 1991 e con l'ordinanza n. 69 del 1993, tutte di
 identico contenuto, sollevava analoga questione di  costituzionalita'
 nei  confronti  dell'art.  2,  comma sesto-bis, della legge 27 aprile
 1989, n. 154, "nella parte in cui non ricomprende tra  i  destinatari
 di  detta  norma  la  pensione  corrisposta al personale del pubblico
 impiego".
    Anche in queste ordinanze la questione veniva motivata sul rilievo
 che la normativa impugnata avrebbe dato  vita  ad  un  ingiustificato
 regime  di privilegio contrastante con gli artt. 3 e 53, primo comma,
 della Costituzione.
    3. - A seguito dell'udienza pubblica  del  5  maggio  1992  questa
 Corte  adottava  l'ordinanza  istruttoria 22 maggio 1992, mediante la
 quale si disponeva di acquisire presso la Camera dei deputati  ed  il
 Senato  della  Repubblica  elementi  informativi  in ordine al regime
 degli assegni vitalizi concessi ai parlamentari cessati dal  mandato,
 al fine di poter comparare tale regime - in relazione alla contestata
 lesione  del  principio  di  eguaglianza  di  cui  all'art.  3  della
 Costituzione - da un lato, con quello delle rendite vitalizie di  cui
 all'art,  47,  primo comma, del d.P.R. n. 917 del 1986 e, dall'altro,
 con quello delle pensioni spettanti ai dipendenti pubblici  collocati
 a riposo.
    In  risposta  a  tale  ordinanza, con lettera del 1 marzo 1993, il
 Presidente della  Camera  dei  deputati  trasmetteva  il  regolamento
 vigente della previdenza per i deputati, lo statuto ed il regolamento
 della  Cassa  di  previdenza  per  i  deputati previgenti all'attuale
 disciplina nonche' un appunto riepilogativo  dei  cambiamenti  subiti
 dall'istituto  dell'assegno vitalizio a partire dal 1956, appunto nel
 quale venivano esposte le peculiarita' della disciplina  dell'assegno
 vitalizio  e,  in  particolare,  le  caratteristiche  suscettibili di
 differenziare tale disciplina da quella del trattamento di quiescenza
 previsto per i dipendenti statali.
    A sua volta, il Presidente del Senato, con  lettera  del  4  marzo
 1993,  trasmetteva  il  testo  aggiornato  ed  i testi precedenti del
 regolamento per  la  previdenza  e  assistenza  ai  senatori  e  loro
 familiari,  nonche'  un  parere  pro-veritate  acquisito  dal  Senato
 nell'ottobre 1991 in tema  di  contribuzioni  al  servizio  sanitario
 nazionale dovute in relazione agli assegni vitalizi spettanti agli ex
 parlamentari,  richiamando anche l'appunto trasmesso dalla Camera dei
 deputati  in  ragione  del  rigoroso  parallelismo  che   ha   sempre
 caratterizzato lo status del parlamentare nelle due Camere.
    Successivamente,  con  lettera  del  2  giugno 1993, il Presidente
 della Camera dei deputati, ad integrazione  delle  informazioni  gia'
 trasmesse   il  1  marzo  1993,  faceva  rilevare  che  l'Ufficio  di
 Presidenza della Camera aveva  apportato,  in  data  1  aprile  1993,
 alcune  modificazioni  al regolamento della previdenza per i deputati
 in linea con un  piu'  generale  disegno  di  riforma  della  materia
 dell'assegno vitalizio.
    4.  - Esaurita l'istruttoria, i giudizi proposti dalle Commissioni
 tributarie  di  Biella  e  di  Torino  venivano  ripresi   in   esame
 all'udienza pubblica dell'8 giugno 1993, a seguito della quale questa
 Corte  adottava  l'ordinanza  n.  294  del  24 giugno 1993, che forma
 oggetto del presente giudizio.
    5. - Con tale ordinanza la Corte ha rilevato:
       a)  che  la  questione proposta dalle Commissioni tributarie di
 Biella e di Torino investiva l'art. 2, comma sesto-bis,  della  legge
 27 aprile 1984, n. 154, nella parte in cui tale disposizione limitava
 il trattamento fiscale privilegiato risultante dal combinato disposto
 dell'art.  47,  primo comma, lett. h) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n.
 917, e dell'art. 33, terzo comma, del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42 -
 consistente nell'abbattimento al 60 per cento della  base  imponibile
 ai  fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche - ai vitalizi
 percepiti dalle categorie richiamate negli artt. 24, secondo comma, e
 29, penultimo comma, del d.P.R. 29  settembre  1973,  n.  600,  senza
 estendere  lo  stesso  trattamento  a  favore della generalita' delle
 pensioni percepite dal personale del pubblico impiego;
       b) che la questione era stata sollevata  con  riferimento  agli
 artt.  3 e 53, primo comma, della Costituzione, sul presupposto della
 sostanziale   identita'   degli   assegni   vitalizi   spettanti   ai
 parlamentari  cessati  dal  mandato  (o  ai  soggetti  inclusi  nelle
 categorie equiparate) con le pensioni ordinarie spettanti ai pubblici
 dipendenti in quiescenza;
       c) che le informazioni assunte presso la Camera dei deputati ed
 il Senato della Repubblica, a seguito della ordinanza istruttoria del
 22 maggio 1992, avevano posto in evidenza elementi che concorrevano a
 differenziare il regime giuridico degli assegni  vitalizi  dovuti  ai
 parlamentari  cessati dalla carica da quello delle pensioni ordinarie
 spettanti ai pubblici dipendenti collocati a riposo, senza di  contro
 offrire  giustificazioni  in  ordine  alla equiparazione, conseguente
 dalla norma impugnata, tra il trattamento fiscale  di  detti  assegni
 vitalizi  e  quello  delle  rendite  vitalizie di cui al primo comma,
 lett. h), dell'art. 47 del testo unico approvato  con  il  d.P.R.  22
 dicembre 1986, n. 917;
       d)  che,  ai  fini  del giudizio sulla questione proposta dalle
 Commissioni tributarie di Biella e di Torino - che mira ad  estendere
 a  tutta  l'area  delle  pensioni  connesse  al  pubblico  impiego il
 trattamento fiscale privilegiato riconosciuto dalla  norma  impugnata
 nei   confronti   degli  assegni  vitalizi  spettanti  a  determinate
 categorie - si  presentava  pregiudiziale  valutare  la  legittimita'
 costituzionale,  sempre  con  riferimento  agli  artt.  3 e 53, primo
 comma, della Costituzione, dello  stesso  art.  2,  comma  sesto-bis,
 della  legge  27  aprile  1989,  n.  154,  nella  parte  in  cui tale
 disposizione prevede" un trattamento fiscale privilegiato rispetto al
 regime ordinario - mediante l'abbattimento della base  imponibile  al
 60  per cento del reddito percepito - a favore degli assegni vitalizi
 percepiti dai soggetti inclusi nelle categorie elencate  dagli  artt.
 24,  secondo  comma,  e  29,  penultimo  comma, del d.P.R. n. 600 del
 1973".
    Muovendo da tali premesse la  Corte  ha  sollevato  dinanzi  a  se
 stessa la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma
 sesto-bis,  della  legge  27 aprile 1989, n. 154, nei termini innanzi
 richiamati.
    6. - La questione e' stata esaminata nell'udienza pubblica  del  7
 giugno 1994.
    Alla stessa udienza sono state riprese in esame anche le ordinanze
 innanzi  elencate delle Commissioni tributarie di Biella e di Torino,
 insieme con  altre  ordinanze,  di  contenuto  analogo,  trasmesse  -
 successivamente  alla  pubblicazione  dell'ordinanza  n.  254  /93 di
 questa  Corte - dalle Commissioni tributarie di primo grado di Torino
 (R.O. n. 346 e 347 del 1993), di Piacenza (R.O.  n.  422  e  678  del
 1993) e di Bergamo (R.O. n. 136 del 1994).
    7.  -  Va  rilevato  che, nelle more del giudizio, l'art. 2, comma
 sesto-bis,  della  legge  27  aprile  1989,  n.  154,  oggetto  della
 questione,  e'  stato abrogato ad opera dell'art. 14, comma diciotto,
 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, recante "Interventi  correttivi
 di finanza pubblica".
                        Considerato in diritto
    1.  -  La  questione  in  esame investe l'art. 2, comma sesto-bis,
 della legge 27 aprile 1989, n. 154 "nella parte  in  cui  prevede  un
 trattamento  tributario  privilegiato  rispetto al regime ordinario -
 mediante l'abbattimento della base imponibile al  60  per  cento  del
 reddito  percepito  -  a  favore degli assegni vitalizi percepiti dai
 soggetti inclusi nelle categorie  elencate  agli  artt.  24,  secondo
 comma e 29, penultimo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in
 riferimento agli artt. 3 e 53, primo comma, della Costituzione".
    La  norma  impugnata  -  che,  successivamente  alla pubblicazione
 dell'ordinanza di questa Corte n. 294 del  1993,  e'  stata  abrogata
 dall'art.  14, comma diciotto, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 -
 disponeva che "a decorrere dalla data di entrata in vigore del  testo
 unico  delle  imposte  sui  redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre
 1986, n. 917, i vitalizi di cui al secondo comma dell'art. 24  ed  al
 penultimo  comma  dell'art. 26, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600,
 si intendono, ad ogni effetto, equiparati alle rendite  vitalizie  di
 cui  al  comma  primo,  lettera  h),  dell'art.  47  del  testo unico
 approvato con il citato d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917".
    L'equiparazione "ad  ogni  effetto"  cosi'  disposta  tra  assegni
 vitalizi  dovuti,  in  dipendenza  della  cessazione  dalla carica, a
 favore dei parlamentari e delle categorie equiparate  elencate  negli
 artt. 24, secondo comma, e 29, penultimo comma, del d.P.R. n. 600 del
 1973,  e  rendite  vitalizie,  costituite  a  titolo  oneroso, di cui
 all'art. 47, primo comma, lett. h) del d.P.R. 22  dicembre  1986,  n.
 917,  consentiva  ai  titolari  degli  stessi  assegni  di godere del
 trattamento fiscale privilegiato in  precedenza  concesso,  ai  sensi
 dell'art.  33,  terzo  comma,  del  d.P.R. 4 febbraio 1988. n. 42, ai
 titolari delle rendite vitalizie e  consistente  nell'assoggettamento
 all'imposta  sul  reddito  delle persone fisiche nella misura ridotta
 commisurata al 60 per cento dell'ammontare percepito.
    Nei confronti di tale disposizione, nella parte in cui  consentiva
 un   trattamento  tributario  privilegiato  a  favore  degli  assegni
 vitalizi dei parlamentari  cessati  dal  mandato  e  delle  categorie
 equiparate,  questa  Corte,  con  l'ordinanza  di  cui  e'  causa, ha
 sollevato questione di legittimita'  costituzionale  con  riferimento
 agli artt. 3 e 53, primo comma, della Costituzione.
    2. - Va in primo luogo confermata l'ammissibilita' della questione
 proposta.
    Come  gia'  rilevato  nell'ordinanza di rimessione, la questione -
 venendo a investire la legittimita' costituzionale della norma che ha
 introdotto un trattamento fiscale privilegiato a favore degli assegni
 vitalizi percepiti dai  parlamentari  cessati  dal  mandato  e  dalle
 categorie  equiparate - si presenta rilevante e pregiudiziale ai fini
 della decisione da assumere nei giudizi  pendenti  innanzi  a  questa
 Corte  in  relazione  alle  ordinanze  di  rimessione  adottate dalle
 Commissioni tributarie di Biella  e  di  Torino  e  richiamate  nelle
 premesse  di  fatto:  ordinanze,  che,  deducendo  la  violazione del
 principio di eguaglianza, chiedono l'adozione  di  una  pronuncia  di
 tipo  addittivo,  diretta  non ad eliminare, ma ad ampliare l'area di
 operativita'  della  norma  di  privilegio,  estendendo  a  tutte  le
 pensioni  del  pubblico impiego il trattamento fiscale concesso dalla
 norma impugnata soltanto a favore dei vitalizi spettanti  a  soggetti
 determinati  in  conseguenza  della  cessazione dall'esercizio di una
 carica pubblica.
    Ne'  sulla  rilevanza  della  questione   in   esame   ha   inciso
 l'abrogazione  della  norma  di  cui e' causa disposta con l'art. 14,
 comma diciotto, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, dal momento che
 questo evento, in relazione alla  sua  efficacia  temporale,  non  ha
 coinvolto  neppure  indirettamente  i giudizi instaurati innanzi alle
 Commissioni tributarie  di  Biella  e  di  Torino,  che  attengono  a
 controversie    conseguenti    da    domande   di   restituzione   (o
 riliquidazione)  di  imposte  sul  reddito  delle   persone   fisiche
 corrisposte  da  pensionati del pubblico impiego con riferimento agli
 anni 1988 e 1989.
    3. - Nel merito la questione e' fondata.
    La  fondatezza  della  questione   non   discende,   peraltro,   -
 diversamente  da  quanto  sostenuto nelle ordinanze delle Commissioni
 tributarie di Biella e di Torino - da una lesione  del  principio  di
 eguaglianza  conseguente  dalla  diversita'  del  trattamento fiscale
 concesso a posizioni sostanzialmente identiche, quali  sarebbero,  da
 un   lato,   quelle  dei  titolari  di  assegni  vitalizi  goduti  in
 conseguenza della cessazione di determinate  cariche  e,  dall'altro,
 quelle  dei  titolari  di pensioni ordinarie derivanti da rapporti di
 impiego pubblico.
    Tra le due situazioni - nonostante la presenza di  alcuni  profili
 di affinita' - non sussiste, infatti, una identita' ne' di natura ne'
 di   regime   giuridico,  dal  momento  che  l'assegno  vitalizio,  a
 differenza della  pensione  ordinaria,  viene  a  collegarsi  ad  una
 indennita'  di carica goduta in relazione all'esercizio di un mandato
 pubblico: indennita' che, nei suoi presupposti e nelle sue finalita',
 ha sempre  assunto,  nella  disciplina  costituzionale  e  ordinaria,
 connotazioni  distinte  da quelle proprie della retribuzione connessa
 al rapporto di pubblico impiego.
    La diversita' tra assegno vitalizio e pensione - pur  variando  in
 relazione   alla   diversa  tipologia  dei  vitalizi  previsti  dalla
 legislazione  in  vigore  -  assume,   d'altro   canto,   un'evidenza
 particolare  in  relazione  ai  vitalizi  spettanti  ai  parlamentari
 cessati dal mandato, dal  momento  che  questo  particolare  tipo  di
 previdenza  ha  trovato  la  sua  origine  in una forma di mutualita'
 (Casse di previdenza per i deputati ed i senatori istituite nel 1956)
 che si  e'  gradualmente  trasformata  in  una  forma  di  previdenza
 obbligatoria  di  carattere  pubblicistico,  conservando  peraltro un
 regime speciale che trova il suo  assetto  non  nella  legge,  ma  in
 regolamenti  interni delle Camere (v. il regolamento della previdenza
 per  i  deputati,  approvato  il  30  ottobre  1968,  con  successive
 modificazioni,  ed  il regolamento per la previdenza ed assistenza ai
 senatori  e  loro  familiari,  approvato  il  23  ottobre  1968,  con
 successive modificazioni).
    L'evoluzione  che,  nel  corso del tempo, ha caratterizzato questa
 particolare forma di  previdenza  ha  condotto  anche  a  configurare
 l'assegno  vitalizio  -  secondo  quanto e' emerso dai dati acquisiti
 presso la Presidenza delle due Camere - come istituto che, nella  sua
 disciplina  positiva, ha recepito, in parte, aspetti riconducibili al
 modello pensionistico e, in parte, profili tipici  del  regime  delle
 assicurazioni  private. Con una tendenza che di recente ha accentuato
 l'assimilazione del regime dei contributi a carico dei deputati e dei
 senatori a quello proprio dei premi assicurativi (v., in particolare,
 la delibera dell'Ufficio di Presidenza della Camera dei  deputati  n.
 61/93  e  del  Consiglio  di  presidenza del Senato n. 44/93, dove si
 stabilisce, a fini fiscali, di includere i  contributi  stessi  nella
 base  imponibile  dell'indennita'  parlamentare "in analogia ai premi
 assicurativi destinati a costituire le rendite vitalizie").
    4. - Se la diversita' di natura e  di  regime  che  distingue  gli
 assegni  vitalizi  dalle  pensioni ordinarie non consente, dunque, di
 accogliere  la  questione  sotto  il  profilo  della  violazione  del
 principio  di eguaglianza, la questione risulta, invece, fondata, con
 riferimento agli artt. 3 e 53, primo comma, della Costituzione, sotto
 il profilo dell'inesistenza di una ragionevole giustificazione  della
 equiparazione  operata,  attraverso la norma impugnata, tra il regime
 fiscale degli assegni vitalizi e quello delle rendite  vitalizie,  al
 fine  di  concedere ai primi il trattamento privilegiato riconosciuto
 dalla legge a favore delle seconde.
    Tale   equiparazione   non   risulta,   invero,   giustificata   o
 giustificabile  sul  piano della razionalita' tributaria, dal momento
 che gli assegni vitalizi concessi ai parlamentari cessati dal mandato
 ed alle categorie assimilate, se, da  un  lato,  non  possono  essere
 equiparati  alle pensioni ordinarie del pubblico impiego, dall'altro,
 non possono neppure identificarsi, ai fini del  trattamento  fiscale,
 con le rendite vitalizie costituite a titolo oneroso, di cui all'art.
 47, primo comma, lett. h) del d.P.R. n. 917 del 1986.
    Il  trattamento  fiscale disposto a favore delle rendite vitalizie
 costituite a titolo oneroso dall'art. 33, terzo comma, del d.P.R.  n.
 42   del  1988  (con  l'abbattimento  al  60  per  cento  della  base
 imponibile) trova, invero, la sua spiegazione sia nel fatto che dette
 rendite vengono costituite mediante provvista di un capitale a totale
 carico del beneficiario della rendita - e, pertanto, anche come forma
 di incentivo al risparmio privato -  sia  nel  fatto  che  lo  stesso
 beneficiario,  nel  momento  in  cui viene a godere della rendita, ha
 gia'  provveduto  a  versare  le  imposte  sulle  quote  di  capitale
 destinate  a  risparmio.  La riduzione della base imponibile rispetto
 alle rendite riscosse viene, dunque, in questo caso, a  rappresentare
 un  correttivo giustificato dall'esigenza di evitare l'onere ingiusto
 di una doppia imposizione.
    Tali presupposti non ricorrevano, invece, - in relazione al regime
 dei vitalizi vigente al momento dell'adozione della norma impugnata -
 nei confronti degli assegni erogati a favore dei parlamentari cessati
 dalla carica, le cui contribuzioni, oltre  ad  essere  integrate  con
 quote  a  carico  dell'erario,  risultavano,  al  pari dei contributi
 pensionistici,  suscettibili  di  detrazione  dalla  base  imponibile
 rappresentata dagli importi dell'indennita' di carica.
    Stante  l'assenza  di una identita' di presupposti, specificamente
 attinenti alla materia fiscale, tra rendite vitalizie di cui all'art.
 47, lett. h) del d.P.R. n. 917 del 1986 e gli assegni vitalizi di cui
 agli artt. 24, secondo comma, e 29, penultimo comma del d.P.R. n. 600
 del 1973, non sussistevano, pertanto, ragioni idonee a  giustificare,
 rispetto  ai  due istituti, l'identita' di trattamento fiscale che si
 e' inteso perseguire attraverso la norma impugnata. Norma  che  -  va
 ricordato  - fu approvata dal Senato con l'adozione contestuale di un
 ordine del  giorno  che  impegnava  il  Governo  a  provvedere  "alla
 sollecita  emanazione  di  norme  interpretative  al  fine di evitare
 conseguenze di ordine fiscale" (v. seduta del 20 aprile 1989 e o.d.g.
 Mancino ed altri, in Atti Senato, X legislatura, pagg. 41 ss).
    L'assenza di motivi idonei a giustificare la riduzione della  base
 imponibile  operata attraverso la norma in esame, conduce, dunque, ad
 affermare l'illegittimita' della stessa, per violazione degli artt. 3
 e 53, primo comma, della Costituzione.