IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha pronunciato la saguente ordinanza.
    Visto   il  ricorso  n.  1528/1991  proposto  da  Allocca  Benito,
 rappresentato e difeso dall'avv. Riccardo Marone,  presso  lo  stesso
 elettivamente  domiciliato  in  Napoli alla via Cesario Console n. 3,
 contro Ministero per i beni culturali e ambientali,  in  persona  del
 ministro   in   carica,   rappresentato   e   difeso  dall'Avvocatura
 distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ope legis,  e  nei
 confronti  del comune di Pollica, in persona del sindaco pro-tempore,
 n.c., per l'annullamento del decreto ministeriale in  data  3  maggio
 1991,  recante  l'annullamento  della determinazione sindacale n. 563
 del 18 aprile 1990, con la quale era stato rilasciato  il  nulla-osta
 ex  art.  7 della legge 28 giugno 1939, n. 1497 per opere edilizie in
 zona vincolata;
    Visto l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
 statale;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Vista la sentenza parziale decisa in pari data;
    Visti gli atti di causa;
    Alla pubblica udienza del  1  dicembre  1993,  relatore  il  dott.
 Donadono, uditi gli avv.ti G. Marone e Saltelli.
                               F A T T O
    Con  decreto del 3 maggio 1991, il Ministro per i beni culturali e
 ambientali, su conforme parere  n.  6466  del  2  aprile  1991  della
 Soprintendenza  per  i  beni  ambientali  di  Salerno  e Avellino, ha
 annullato il nulla-osta n. 523 del 18  aprile  1990,  rilasciato  dal
 sindaco   di   Pollica   in  favore  del  sig.  Benito  Allocca,  per
 l'esecuzione in zona vincolata di opere  edilizie  consistenti  nella
 realizzazione  di  un  sottotetto, a livello di copertura, relativo a
 fabbricato sito in localita' Calamona.
    In  particolare,  l'autorita'  ministeriale  ha  rilevato  che  il
 suddetto  intervento  edilizio sarebbe inibito dall'art.  1-quinquies
 del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito in legge 8 agosto  1985,
 n.   431,  che,  nelle  more  dell'adozione  dei  piani  territoriali
 paesistici,   consente   unicamente   le   opere   di   manutenzione,
 consolidamento  o  restaturo, non comportanti alterazione dello stato
 dei luoghi e dell'aspetto esteriore degli edifici.
    Con  ricorso  notificato  il  9 e 13 luglio 1991, l'interessato ha
 impugnato  il  suddetto  decreto,  deducendone  l'illegittimita'  per
 diversi motivi di violazione di legge ed eccesso di potere.
    L'amministrazione dei beni culturali e ambientali si e' costituita
 in giudizio, resistendo al gravame.
    All'esito   degli  incombenti  istruttori  disposti  con  sentenza
 interlocutoria n. 213 del 2 luglio 1993, questa sezione, con sentenza
 parziale decisa contestualmente alla presente ordinanza, ha  respinto
 tutte  le  censure  concernenti  aspetti  diversi dall'applicabilita'
 dell'art. 1-quinquies del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito in
 legge 8 agosto 1985, n. 431.
                             D I R I T T O
    1. - Il  ricorrente  ha  dedotto  l'illegittimita'  dell'impugnato
 provvedimento  nella  parte  in  cui,  per annullare l'autorizzazione
 sindacale rilasciata, su delega regionale, ai sensi dell'art. 7 della
 legge   n.   1497/1939,   ravvisa   il   perdurante   assoggettamento
 dell'immobile  interessato dai progettati lavori edilizi al regime di
 salvaguardia imposto dall'art.  1-quinquies,  aggiunto  al  d.l.  27
 giugno  1985,  n.  312,  in  sede di conversione dalla legge 8 agosto
 1985, n. 431, anche dopo la scadenza del termine del 31 dicembre 1986
 previsto dall'art. 1- bis per l'adozione da parte delle  regioni  dei
 piani territoriali paesistici.
    Per   quanto   riguarda   la   durata   del  vincolo  assoluto  di
 immodificabilita' dello stato dei luoghi sancito  dalla  c.d.  "legge
 Galasso",  questa  sezione  ha  in  passato  sostenuto che la mancata
 approvazione  della  pianificazione  paesaggistica  da  parte   della
 regione, nel termine all'uopo fissato del 31 dicembre 1986, determina
 la decadenza del regime di salvaguardia. Il divieto di trasformazioni
 urbanistiche  ed edilizie opererebbe, pertanto, nella sua assolutezza
 fino alla consumazione del termine certus quando espresso  nel  primo
 comma  del  citato  art.  1-  bis,  ferma  restando la permanenza del
 vincolo  derivante  dalla  dichiarazione  di  particolare   interesse
 paesaggistico e la conseguente sottoposizione delle aree in questione
 previsto  per  i  beni tutelati in base alla legge n. 1497/1939 anche
 dopo la cessazione del  divieto  assoluto  di  immodificabilita'  del
 territorio  (cfr.  t.a.r.  Campania,  sez. prima 26 febbraio 1991, n.
 23).
    Questa sezione ha ritenuto che tale interpretazione fosse  indenne
 da  ogni  ipotizzabile profilo di incostituzionalita', armonizzandosi
 con il principio della necessaria delimitazione temporale dei vincoli
 comportanti lo svuotamento dei diritti dominicali senza indennizzo, e
 garantendo  al  tempo  stesso  l'interesse   primario   alla   tutela
 ambientale,   comunque  salvaguardato  dall'assoggettamento,  in  via
 permanente, dei beni vincolati al particolare regime autorizzativo da
 parte delle autorita' ministeriali e regionali, o di quelle  subdele-
 gate.
    Senonche'  l'orientamento  ormai dominante nella giurisprudenza e'
 nel senso che il regime di immodificabilita' assoluta dello stato dei
 luoghi e'  destinato  a  permanere  in  vigore  fino  alla  effettiva
 adozione   dei  piani  da  parte  della  regione,  ovvero,  da  parte
 dell'autorita'  ministeriale;  sarebbe,  percio',  ininfluente  sulla
 vigenza  delle  emisure di salvaguardia il decorso del termine del 31
 dicembre 1986, indicato nel primo comma dell'art. 1- bis del d.l. n.
 312/1985, come modificato dalla legge  n.  431/1985.  Tale  scadenza,
 infatti,   avrebbe   l'unico  scopo  di  regolamentare  temporalmente
 l'esercizio dei poteri della regione e dello stato, assolvendo ad una
 funzione sollecitatoria nei confronti della  prima  ed  inibendo  per
 converso,    fino    a   quel   momento,   l'intervento   sostitutivo
 dell'autorita' ministeriale previsto dal secondo comma  dello  stesso
 art. 1- bis.
    Tale   interpretazione   e'  seguita  sia  dalla  maggioranza  dei
 tribunali amministrativi, ivi compresi alcuni che, in un primo  tempo
 avevano aderito all'opposta soluzione (cfr., per tutti, questo stesso
 t.a.r.  Campania  sez. II, 28 settembre 1992, n. 210, nonche' sez. V,
 28 luglio 1992, n. 249; t.a.r. Lombardia, sez. Brescia,  27  novembre
 1989,  n.  1134; t.a.r. Lazio, sez. II, 17 giugno 1987, n. 1042), sia
 dal giudice  amministrativo  di  appello  (cfr.  c.s.,  sez.  VI,  31
 dicembre  1988,  n.  1351;  17  ottobre  1988,  n.  1126),  sia dalla
 giurisprudenza penale (cfr. cass.,  ss.uu.,  15  marzo  1989,  n.  3;
 ss.uu., 23 aprile 1993, n. 4).
    2.  -  Questo  collegio  ha  pertanto  ritenuto  di  aderire  alle
 conclusioni di una elaborazione giurisprudenziale da considerare alla
 stregua di "diritto vivente" (cfr. anche t.a.r. Campania, 11 novembre
 1993, n. 361). Nel contempo va  rilevato,  tuttavia,  che  il  quadro
 normativo cosi' emergente - comportante la reiezione dell'impugnativa
 proposta   dal   ricorrente   -  suscita  dubbi,  non  manifestamente
 infondati, sulla incostituzionalita' dell'art. 1-quinquies del  d.l.
 n.  312/85,  aggiunto  dalla  legge di conversione n. 431/1985, nella
 parte in  cui  non  prevede  una  delimitazione  temporale,  certa  e
 predeterminata,  della durata del divieto assoluto e generalizzato di
 modificazioni all'assetto del territorio compreso  nei  cd.  "decreti
 Galassini"  (cfr.  gia'  in tema t.a.r. Campania, sez. I, 11 novembre
 1993, ord. n. 362).
    Invero la giurisprudenza ha costantemente disatteso  le  eccezioni
 sulla  illegittimita'  costituzionale  in  parte qua della cd. "legge
 Galasso". E'  stato  infatti  rilevato  che  quest'ultima,  imponendo
 all'amministrazione    regionale   ovvero   a   quella   ministeriale
 l'adozione, obbligatoria e non piu'  meramente  facoltativa,  di  una
 pianificazione  a  tutela  dell'ambiente,  comporterebbe  comunque la
 previsione di un  termine  finale  del  vincolo  assoluto,  ancorche'
 indeterminato   nella  sua  concreta  durata;  peraltro,  la  mancata
 approvazione  del  piano  da   parte   dell'autorita'   costituirebbe
 inosservanza   di   un  dovere,  che  non  sarebbe  priva  di  tutela
 giurisdizionale,  in  quanto   i   soggetti   interessati   sarebbero
 legittimati  a  ricorrere  al  giudice  amministrativo  per  ottenere
 l'adempimento del suddetto obbligo.  Si  osserva,  inoltre,  che  non
 sarebbe  costituzionalmente illegittima l'imposizione alla proprieta'
 privata di limitazioni intrinseche alla natura  dei  beni  dotati  di
 valore  paesistico,  costituenti  una  categoria  originariamente  di
 diritto pubblico.
    Una  prima  considerazione  viene   in   evidenza:   le   suddette
 argomentazioni  non sembrano idonee a superare il dubbio di contrasto
 della normativa in questione con l'art. 3 della Costituzione. Emerge,
 infatti, una disparita' di trattamento tra i soggetti  propietari  di
 beni ubicati in regioni nelle quali si e' provveduto all'approvazione
 dei  piani,  rispetto  ai  soggetti  proprietari  di  beni ubicati in
 regioni  nelle  quali  tanto  l'autorita'  regionale,  quanto  quella
 statale  competente  in  via  sostitutiva, rimangono inadempienti ben
 dopo la scadenza fissata dal legislatore. Tale scadenza, peraltro, si
 riferisce  alla  sola amministrazione regionale, laddove l'intervento
 ministeriale non risulta condizionato da  nessun  termine,  sia  pure
 ordinatorio.
    La  discriminazione  appare  tanto  piu' grave, in quanto la causa
 della sperequazione  e'  imputabile  ad  un  comportamento  omissivo,
 palesemente  illegittimo,  dell'autorita'. Il che estende il sospetto
 di incostituzionalita' anche alla violazione del  principio  di  buon
 andamento  ed  imparzialita'  dell'attivita'  amministrativa  sancito
 nell'art. 97 della Costituzione.
    Sotto altro profilo, la norma qui impugnata  si  palesa  anche  in
 conflitto con l'art. 42 della Costituzione.
    Come   noto,  e'  stata  riconosciuta  la  natura  sostanzialmente
 espropriativa di quelle limitazioni che incidono  sulle  facolta'  di
 utilizzazione  dei beni in misura tale da determinare uno svuotamento
 di rilevante entita' delle attribuzioni  connaturali  al  diritto  di
 proprieta'  (cfr.  Corte  cost.  9-29  maggio 1968, n. 55). E' stato,
 altresi', precisato che le facolta'  concernenti  l'utilizzo  a  fini
 edificatori  dei  suoli  continua ad inerire al diritto di proprieta'
 (cfr. Corte cost. 30 gennaio 1980, n. 5) che non puo' essere  gravato
 indefinitamente   da   vincoli   che,  per  lo  stato  di  incertezza
 determinato, sottraggono la possibilita' di una adeguata e  razionale
 disponibilita'  del  bene e ne diminuiscono notevolmente il valore di
 scambio (cfr. Corte cost.,  27  aprile-12  maggio  1982,  n.  92;  n.
 55/1968 cit.).
    In  effetti la salvaguardia ex lege posta dall'art. 1-quinquies (e
 dall'art. 1- ter) del d.l. n. 312/1985 pone un vincolo  assoluto  di
 portata  analoga, quanto agli effetti sullo ius aedificandi, a quello
 che  si  instaura  allorche'  la  normativa  urbanistica   condiziona
 l'utilizzazione  edilizia  dei suoli al preventivo perfezionamento di
 una pianificazione attuativa.
    Giova osservare, fin d'ora, che  la  misura  interdittiva  non  si
 riferisce  ad  una  intera  categoria  di  beni,  e  non interessa la
 generalita' dei soggetti, ma piuttosto incide a titolo individuale su
 determinate, per quanto vaste, aree territoriali; per cui non si puo'
 affermare che essa costituisca una limitazione tipica del  regime  di
 appartenenza  regolante  tutti  i  beni  rientranti  in  una speciale
 categoria. Va  inoltre  rilevato  che  la  salvaguardia  ex  lege  e'
 finalizzata  alla  formazione  di  una  strumentazione,  di cui viene
 riconosciuto il  carattere  urbanistico,  nonostante  la  particolare
 valenza  ambientale e le interconnessioni che giustificano un modello
 organizzativo improntato al principio di leale cooperazione tra Stato
 e regioni (cfr. Corte costituzionale 24-27 giugno 1986, n. 151).
    Orbene, siffatti vicoli sono stati riconosciuti compatibili con  i
 precetti  costituzionali, sotto il duplice profilo della tutela della
 proprieta'  privata  e  del  principio  di  uguaglianza,   solo   sul
 presupposto  necessario della prefissione di un ragionevole limite di
 tempo per l'operativita' del divieto, destinato a decadere qualora lo
 strumento esecutivo  non  sia  tempestivamente  approvato.  Cio'  ha,
 appunto,  indotto  a ritenere tuttora vigente l'art. 2 della legge 19
 novembre 1968, n. 1187,  nella  parte  in  cui  stabilisce  un  limte
 quinquennale  alle  disposizioni degli strumenti urbanistici generali
 comunque comportanti vincoli di inedificabilita' (cfr.  Corte  cost.,
 27  aprile-12  maggio 1982, n. 92; c.s., ad. plen., 2 aprile 1984, n.
 7; Cass. ss.uu., 10 giugno 1983, n. 3987).
    Non   e'   superfluo  sottolineare  che  l'adunanza  plenaria  del
 consiglio di Stato ha ritenuto, nella medesima  decisione  n.  7/1984
 sopra citata che i soggetti interessati sono legittimati a promuovere
 gli  interventi  sostitutivi  ovvero  ad agire in via giurisdizionale
 avverso     il      comportamento      illegittimamente      omissivo
 dell'amministrazione,   senza  che  cio'  eliminasse  i  sospetti  di
 incostituzionalita' di una interpretazione diversa  della  disciplina
 urbanistica.
    Senonche',  la  dominante  giurisprudenza  -  nel richiamarsi alle
 suddette  considerazioni  per   giustificare,   ora,   la   manifesta
 infondatezza   delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale  in
 materia - afferma in sintensi che:
       a) un termine certus an, sebbene incertus quando,  e'  comunque
 fissato  dalla  legge, con riferimento all'adozione dei piani ex art.
 1- bis;
       b)  l'ordinamento  contempla   gli   strumenti   per   ottenere
 l'adempimento   dell'obbligo  di  provvedere  alla  formazione  della
 pianificazione paesaggistica.
    Al riguardo, il collegio ritiene che le argomentazioni addotte per
 escludere ogni contrasto con l'art. 42 della Costituzione  non  siano
 del tutto convincenti.
    Infatti,  non solo e' stato chiarito che, nelle materie coperte da
 riserva di legge, la mancata delimitazione temporale di  un  termine,
 riguardante  l'esercizio  di  potesta'  autoritative  che incidano su
 posizioni soggettive riconosciute e garantite dalla Costituzione, non
 e' idonea a soddisfare l'obbligo del legislatore di  "determinare  in
 modo tassativo lo spazio di tempo" di assoggettamento del diritto; ma
 e'  stato  altresi'  precisato  che  tale  diritto  "non  puo' essere
 degradato ad interesse occasionalmente protetto in rapporto al dovere
 dell'amministrazione di  esercitare  correttamente  (  ..il)  potere"
 (cfr. Corte cost. 31 gennaio-2 febbraio 1990, n. 41).
    La  fattispecie  del giudice delle leggi nella richiamata sentenza
 riguardava precetti indubbiamente diversi, coinvolgendo, in  tema  di
 assolvimento  del  servizio militare di leva, il valore delle "difesa
 della Patria" e quello della "liberta'  personale"  (artt.  52  e  23
 della  Costituzione); e sarebbe incongruo prospettare nella specie un
 parallelismo od una graduazione con valori  disomogenei  come  quelli
 della  "tutela  del paesaggio" e della "proprieta' privata" (art. 9 e
 42 della Costituzione).
    Tuttavia sembra al collegio pur sempre valido,  nel  caso  qui  in
 esame  il  principio  di  fondo  che l'indeterminatezza temporale per
 l'esercizio  di  un  potere  non  soddisfa,  nonostante   la   tutela
 giurisdizionale,  il  dovere  del  legislatore  di prevedere comunque
 termini tassativi, nelle materie coperte da riserva di legge.
    Inoltre, e' stato ribadito da ultimo "l'esigenza di delimitare nel
 tempo  l'esercizio  della  potesta'   espropriativa   si   pone   con
 particolare  vigore  nell'ipotesi  che  la  dichiarazione di pubblica
 utilita' si contenuta direttamente nella legge o si riferisca  a  de-
 terminate  categorie  di  opere,  quando manchi, cioe', uno specifico
 atto amministrativo che dichiari la pubblica  utilita'"  (cfr.  Corte
 costituzionale 17-30 marzo 1992, n. 141).
    Tale  principio  sembra invero applicabile non solo ai casi in cui
 la proprieta' privata sia assoggettata  a  procedure  finalizzate  al
 trasferimento  coattivo del diritto di proprieta', ma anche quando il
 perseguimento dell'interesse generale e' affidato all'imposizione  di
 vincoli  che,  sebbene  non  preordinati alla espropriazione in senso
 stretto, siano di intensita' tale da comportare uguale sacrificio per
 le posizioni soggettive interessate.
    Sotto  altro  profilo,   la   prevalente   giurisprudenza   assume
 l'insussistenza   di   dubbi   sulla  costituzionalita'  della  norma
 impugnata, dal momento che i vincoli correlati  alla  protezione  del
 paesaggio  non  hanno  carattere espropriativo, poiche' corrisponde a
 caratteristiche intrinseche dei beni tutelati.
    L'affermazione di principio, per  quanto  condivisibile  nei  suoi
 presupposti  (cfr.  Corte  costituzionale 9-29 maggio 1968, n. 56; 23
 aprile-6 maggio 1976, n. 106, nonche' da ultimo Corte costituzionale,
 11-20 luglio 1990, n.  344),  non  appare  del  tutto  pertinente  ed
 applicabile alla fattispecie in esame.
    I  beni  dotati  di  particolare  interesse  ambientale subiscono,
 invero, i limiti immanenti al regime che ne disciplina  l'utilizzo  e
 la  disponibilita', ed in tale ambito si puo' convenire che i vincoli
 sanciti dalla legge sono immanenti alla natura  del  bene.  In  altre
 parole,  la  fruizione del bene ambientale e' condizionata ab origine
 dalla concorrenza  sul  medesimo  oggetto  dell'interesse  dominicale
 connesso  alla  sua  utilita'  individuale  e dell'interesse pubblico
 connesso alla  concomitante  utilita'  sociale,  in  armonia  con  il
 disposto del secondo comma dell'art. 42 della Costituzione.
    Tali  considerazioni,  tuttavia,  sicuramente riferibili al regime
 ordinario dei beni tutelati, non si attagliano pienamente a misure di
 caratere  dichiaratamente  eccezionale.  In  sostanza,   il   divieto
 assoluto   di   immodificabilita',  nella  logica  della  legge,  non
 corrisponde tanto ad una esigenza di tutela del bene in se',  perche'
 tale  funzione  era e continua ad essere assolta dagli accertamenti e
 dalle   valutazioni    demandate    all'amministrazione,    allorche'
 quest'ultima  e' chiamata a verificare la compatibilita' di possibili
 modifiche dello stato dei luoghi vincolati. Sia la  disciplina  della
 legge  n.  1497/1939,  ma  anche  quella  della  legge  n.  431/1985,
 prevedono tuttora la possibilita' per il proprietario di disporre del
 bene,  purche'  gli  interventi  siano  debitamente  autorizzati.  Il
 vincolo   prodotto   dalla   certazione  e  declaratoria  del  pregio
 ambientale era e resta di tipo relativo in quanto  l'inedificabilita'
 e'    pur    sempre    la    conseguenza    dell'eventuale    diniego
 dell'autorizzazione, statuito in via amministrativa sulla base di uno
 specifico  accertamento  istruttorio  delle  qualita'   estetiche   e
 ambientali e di una apposita valutazione tecnico-discrezionale.
    Per  conto,  il divieto di immodificabilita' in esame ha piuttosto
 una funzione strumentale di garanzia, strettamente  finalizzata  alla
 definizione  di un nuovo sistema di governo globale e pianificato del
 territorio. L'effetto prodotto dai decreti di cui agli artt. 1- ter e
 1-quinquies della "legge Galasso" non puo'  essere  considerato  come
 una  limitazione  intrinseca  alla natura dei beni, perche' esula dal
 regime sostanziale di regolamentazione degli stessi, ed al  contrario
 configura  una  misura di tipo cautelare, come tale necessariamente e
 tipicamente  temporanea.  Del  resto   l'assolutezza   della   misura
 interdittiva  non  deriva  da  un  concreto e specifico apprezzamento
 dell'autorita' amministrativa, come per il vincolo relativo,  ma  as-
 sume  caratteri  di  generalita'  e  di  astrattezza,  su  vaste zone
 territoriali, coincidenti in qualche  caso  con  l'ambito  di  intere
 circoscrizioni  comunali,  in  funzione  di  una specificazione della
 concreta portata del vincolo, sostanzialmente rinviata  sine  die  al
 contenuto della futura pianificazione.
    Tutto  cio'  porterebbe  ad  escludere che la salvaguardia ex lege
 possa essere assimilata, quanto alla  possibilita'  di  comprimere  a
 tempo indeterminato e senza ristoro i diritti dominicali incisi dalla
 sua  portata precettiva, ai vincoli di edificazione che costituiscono
 il regime di appartenenza tipico delle bellezze naturali.
    Va inoltre considerato un ulteriore aspetto. Il  vincolo  assoluto
 di   immodificabilita'   corrisponde   all'esigenza,  fondamentale  e
 vivamente avvertita nel tessuto sociale, di garantire, nella  maniera
 piu'   rigorosa,   che  il  territorio  non  subisca  alcun  tipo  di
 modificazione durante il periodo necessario alla elaborazione  di  un
 unovo   disegno   programmatico   riguardante   la  protezione  e  la
 valorizzazione dell'ambiente. Non vi e' dubbio che la drastica misura
 di salvaguardia - nell'ottica del legislatore,  rispondente  peraltro
 alla  logica  del  comune  buon  senso  -  persegue  concretamente un
 beneficio in una materia concernente  valori  di  primaria  rilevanza
 costituzionale.
    E'  pero'  del  pari riscontrabile che tale beneficio, come spesso
 accade, non e' privo di corrispondenti costi, sotto molteplici e  non
 trascurabili  aspetti,  alcuni  dei  quali  ugualmente  di  rilevanza
 costituzionale.  La  immodificabilita'  del  territorio  implica   la
 paralisi  generalizzata,  nelle aree in questione, di ogni iniziativa
 costruttiva e  cioe'  l'inibizione,  in  primo  luogo,  dell'edilizia
 privata, che non sempre e necessariamente assume patologici caratteri
 speculativi,  ma  rappresenta  anche  un  comparto imprenditoriale di
 importanza non marginale, in alcune zone, per investimenti e  livelli
 occupazionali  (art.  41 della Costituzione). Non solo: il blocco non
 puo' che riferirsi anche sull'edilizia residenziale pubblica e  sulle
 possibilita' di accesso dei cittadini alla proprieta' dell'abitazione
 (art.  47  della  Costituzione).  Ne'  vi  sarebbe motivo di ritenere
 esclusi dal divieto  imposto  ex  lege,  in  mancanza  di  specifiche
 contrarie disposizioni, gli interventi in materia di opere pubbliche;
 il  che  implica, evidentemente, riflessi su ampi e rilevanti settori
 dell'operativita' amministrativa e delle attivita' economiche.
    Orbene se il periodo di  salvaguardia  ha  una  sua  delimitazione
 temporale  nella  legge, i costi sociali ed economici contrapposti ai
 benefici per il  patrimonio  ambientale  sono  riconducibili  ad  una
 precisa    e    trasparente    scelta    politica   imputabile   alla
 discrezionalita' del  legislatore.  Per  contro,  l'indeterminatezza,
 coniugata  con  l'assolutezza del divieto risulta in contrasto con il
 principio di buon andamento dell'amministrazione,  dettato  nell'art.
 97   della   Costituzione,   nella   misura   in   cui  le  autorita'
 amministrative preposte  alla  tutela  ambientale  restano  di  fatto
 totalmente  arbitre  di determinare l'indefinita compressione di ogni
 altro interesse economico e sociale; e questo non gia' in base ad una
 responsabile e ponderata composizione di tuti gli interessi, di varia
 natura, interferenti nel piano, ma a causa della mera inerzia.
    In tal modo, la misura di salvaguardia non puo' essere considerata
 come strumentale alla pianificazione, ma diviene  sostanzialmente  la
 ingessatura,  non  priva  di  oneri per i singoli e la collettivita',
 delle inefficienze della pubblica amministrazione.
    In  considerazione  non  si  palesa  manifestamente  infondata  la
 questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  1-quinquies  del
 d.l.  27  giugno  1985,  n.  312, convertito con modificazioni nella
 legge 8 agosto 1985, n. 431, nella parte in cui non  prevede  che  il
 divieto  di  ogni modificazione dell'assetto del territorio e di ogni
 opera edilizia comportante  alterazione  dello  stato  dei  luoghi  e
 dell'aspetto  degli  edifici  sia  efficace  non  oltre il termine di
 cinque anni, previsto in via generale, per l'applicazione dei vincoli
 di inedificabilita', dell'art. 2 della legge  19  novembre  1968,  n.
 1187,  ovvero  non  oltre il termine del 31 dicembre 1986 sancito per
 l'approvazione da parte delle regioni dei piani di  cui  all'art.  1-
 bis dello stesso d.l.
    La  prospettata  questione  e'  altresi'  rilevante  ai fini della
 definitiva  decisione  del  ricorso,   in   quanto   l'illegittimita'
 costituzionale  della  citata disposizione legislativa determinerebbe
 la fondatezza delle doglianze dedotte dal ricorrente, in ordine  alla
 falsa  applicazione  del  vincolo  assoluto  di immodificabilita' dei
 luoghi.
    3. - Tutto  cio'  considerato,  va  disposta  la  sospensione  del
 giudizio   in   corso   e  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale, per la decisione  sulle  questioni  pregiudiziali  di
 legittimita'  costituzionale,  siccome rilevanti e non manifestamente
 infondate, mandando la segreteria per gli adempimenti di  competenza,
 ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.