IL COMMISSARIO REGIONALE PER IL RIORDINAMENTO DEGLI USI CIVICI Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa demaniale iscritta al n. 31 del ruolo generale contenzioso del 1993, vertente tra il comune di Popoli in persona del sindaco in carica non comparso e Cafarelli Leandro Maurizio residente in Popoli, corso Gramsci, vico 12, n. 2, elettivamente domiciliato in L'Aquila, corso Federico II, n. 36, presso e nello studio del dott. proc. Fabrizio Fiore, dal quale e' rappresentato e difeso come da mandato a margine della comparsa di costituzione. Oggetto: accertamento natura di fondi rustici pretesi demaniali civici. Conclusioni del dott. proc. Fiore: si chiede che il commissario per gli usi civili voglia dichiarare in via principale il prorpio difetto di giurisdizione; in subordine, previo riconoscimento dei miglioramenti apportati sui fondi, dichiarare l'infondatezza dell'istanza commissariale. Svolgimento del processo Con istanza pervenuta il 31 marzo 1993, assunta al protocollo con il n. 626/g 105/93, Leandro Maurizio Cafarelli rimetteva a questo commissariato il mod. 5 dem n. 12487839 B (in effetti 12487840 C) con allegate le fotocopie di atti di trasferimento a suo nome di terreni ubicati in agro di Popoli "nell'eventualita' che sugli stessi dovessero sussistere gravami al titolo di cui all'obbligo della denuncia di utilizzo di beni di proprieta' dello Stato, delle aziende autonome statali, delle regioni, delle provincie e dei comuni". Questo commissario interpretava la suddetta istanza come richiesta di accertamento se sui fondi rustici acquistati dal Cafarelli con i rogiti per notari Felicetti e Gioffre' in data, rispettivamente, 16 settembre 1973 rep. n. 594 e 22 ottobre 1986 rep. n. 21883 sussistessero, o meno, gravami di diritti di usi civici e, quindi, l'obbligo della denuncia del loro utilizzo e del pagamento del tributo per cui, essendo emerso dagli atti demaniali custoditi nella conservatoria dell'ufficio, che tali beni classificati di natura demaniale civica risultavano abusivamente occupati da Domenico Di Battista e da Galli Zugaro Vincenzo e reintegrati, con ordinanze del commissario agli usi civici del tempo, al comune di Popoli, e denotando il comportamento del Cafarelli una contestazione implicita della rilevata qualitas soli onde doveva essere considerato un abusivo occupatore degli stessi predii, lo conveniva innanzi a se', insieme al comune piu' volte nominato, ad oggetto di sentir dichiarare la natura demaniale da uso civico dei fondi tutti descritti nei rogiti; per l'effetto sentir dichiarare la nullita' assoluta ed insanabile degli atti di disposizione, ivi compresi i due contratti notarili, suaccennati, ed ordinarne la reintegra allo stesso ente territoriale con la condanna del Cafarelli al loro immediato rilascio nella disponibilita' di controparte. All'udienza prefissata si costituiva soltanto il Cafarelli il quale, nel contestare la prospettata natura demaniale civica dei beni da lui acquistati con i richiamati strumenti notarili, insisteva perche' fosse disposto un accurato accertamento peritale anche ai fini dell'accertamento dei notevoli miglioramenti da lui asseritamente apportati ai medesimi, dei quali si riservava di chiedere la legittimazione. Questo commissario, ritenutane la necessita', disponeva una consulenza tecnica, assegnando al c.t.u. nominato nella persona del dott. Fabio Andreassi l'incarico di riferire se i terreni in questione potessero essere considerati di natura demaniale civica o allodiale, se essi fossero coltivati e migliorati ai sensi dell'art. 9 della legge n. 1766/1927 e se interrompessero la continuita' dei demani; tutto cio' previo accesso e descrizione dei luoghi ed esame dei documenti tutti esistenti nei pubblici uffici. Depositata la relazione peritale dalla quale si evinceva che tutti i fondi in discorso potevano essere considerati di natura demaniale civica, per essere stati riconosciuti tali sia dall'istruttore demaniale avv. Speranza Relleva che ebbe a redigere la relazione storico giuridica dei beni comuni di Popoli, che dal perito dott. ing. Gaetano Lorito che ebbe a redigere il progetto di verifica e sistemazione dei demani della stessa citta' in data 5 maggio 1937, approvato e pubblicato nelle forme di legge ed aggiornato dal perito geom. Umberto Cantelmi con il suo progetto in data 7 gennaio 1964, anche esso regolarmente approvato e pubblicato, la causa e' stata riservata per la sentenza sulle conclusioni del solo Cafarelli trascritte in epigrafe. Motivi della decisione Il procuratore del convenuto Cafarelli ha chiesto in linea preliminare che sia dichiarato il difetto di giurisdizione di questo commissario a decidere l'insorta controversia, per essere stata quest'ultima iniziata d'ufficio sulla base di poteri ormai inesistenti, in conformita' a quanto hanno deciso le sezioni unite della cassazione che con pluralita' di decisioni (cfr. tra le tante cass. 23 gennaio 1994, n. 2858) hanno sancito coma "a seguito dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 616/1977, il commissario non e' piu' legittimato a intraprendere d'ufficio le controversie giudiziarie, avendo perduto il relativo potere che era di natura esclusivamente incidentale, poiche' gli derivava dalle funzioni amministrative da detto d.P.R. (art. 66) trasferite alle regioni alle quali e' demandata, quindi, la tutela dei diritti di usi civici; a tal fine le regioni esercitano i poteri amministrativi ad esse conferiti dalle leggi e promuovono le azioni nelle varie sedi giurisdizionali e, quindi, anche davanti al commissario nelle materie di sua giurisdizione". Non v'e' dubbio che la questione sollevata dal Cafarelli sia rilevante, perche' se dovesse ritenersi corretta dal punto di vista costituzionale siffatta interpretazione abrogativa dell'art. 29, secondo comma, della legge 16 giugno 1927, n. 1766, e se dovesse ritenersi che nella specie il commissario ha iniziato d'ufficio il presente giudizio, non potendo considerarsi ricorso l'istanza avanzata dall'interessato e richiamata nelle premesse, il giudicante dovrebbe accogliere la suddetta richiesta, con la conseguenza che nella prevedibile mancanza di ogni richiesta da parte della regione Abruzzo o del comune - il cui comportamento e' sintomatico non essendosi costituito - o dell'interessato, non si potrebbe piu' accertare la natura dei beni in disputa che continuerebbero, pertanto, ad essere occupati dal Cafarelli. Il giudicante con l'ordinanza del 20 aprile 1994, n. 25 di cron. ha gia' sollevato la questione di illegittimita' dell'art. 29 della legge n. 1766/1927 se interpretato come hanno fatto le sezioni della Corte di cassazione con le sentenze in data 28 gennaio 1994, nn. 858, 859, 860, 861 e 862 ma la reitera con la presente, giacche' il caso ora in esame e' diverso, dal punto di vista procedurale, poiche' in questo esiste soltanto come si e' detto, l'istanza dell'interessato, interpretata come ricorso, mentre nell'altro procedimento gia' all'esame della Corte costituzionale esiste un vero e proprio ricorso da parte, pero', non della regione, ma di alcuni consiglieri circoscrizionali. Inoltre nella causa in esame e' rilevante anche la questione di costituzionalita' degli artt. 9 e 10 della legge n. 1766/1927, 30 e 31 del regolamento di esecuzione approvato con r.d. 26 febbraio 1928, n. 332, e 66 del d.P.R. n. 616/1977 riguardanti il beneficio della legittimazione delle terre demaniali civiche abusivamente occupate, se interpretati come ha fatto la Corte di cassazione a sezioni unite con la sentenza 10 dicembre 1993, n. 12158, con la quale ha sancito l'estraneita' dopo l'entrata in vigore del d.P.R. n. 616/1977 al procedimento di legittimazione, del commissario, avendo egli perduto ogni funzione amministrativa in precedenza attribuitagli. La questione e' rilevante perche' se Cafarelli Leandro dovesse inoltrare - come si e' riservato di fare - istanza di legittimazione dei terreni da lui attualmente occupati, dovrebbe il giudicante dichiarare il proprio difetto di giurisdizione e trasmettere l'istanza stessa alla regione Abruzzo, competente a decidere sulla medesima secondo le sezioni unite. Nella motivazione della sentenza su citata si legge, a giustificazione del dichiarato assoluto difetto di giurisdizione del commissario, quanto segue: "il settimo comma della norma in esame (l'art. 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616) ha altresi' stabilito che l'approvazione delle legittimazioni di cui all'art. 9 della legge n. 1766/1927 e' effettuata con decreto del Presidente della Repubblica d'intesa con la regione interessata. Pertanto al procedimento di legittimazione resta estraneo il commissario il quale perde ogni funzione amministrativa in precedenza attribuitagli e mantiene solo il potere giurisdizionale in ordine alle controversie riguardanti l'esistenza, la natura e l'estensione dei diritti di cui all'art. 1 della legge n. 1766/1927 (art. 29 stessa legge)". Ora tale interpretazione dell'art. 66 anzidetto e' sospetta di incostituzionalita' per contrasto con il principio della ragionevolezza previsto dall'art. 3 della Costituzione. Ed infatti il sistema normativo vigente in materia di usi civici deve essere ricostruito alla stregua del suddetto d.P.R. il cui art. 66 (quinto, sesto e settimo comma) ha trasferito alle regioni tutte le funzioni amministrative gia' esercitate dagli organi dello Stato, con la sola eccezione dell'approvazione delle legittimazioni che e' rimasto di spettanza dell'amministrazione statale in quanto disposta con d.P.R. a seguito di intesa con la regione interessata. Ne consegue che quest'ultima deve prestare solo "l'intesa" perche' il Capo dello Stato possa approvare la legittimazione, non approvarla essa stessa, poiche' in tal caso il legislatore avrebbe espressamente stabilito che "l'approvazione delle legittimazioni e' effettuata dalla regione interessata" il che', invece, non ha fatto, per cui la competenza relativa alle legittimazioni non e' stata affatto trasferita alle regioni ai sensi del sesto comma della suddetta norma, come pretendono le sezioni unite, ma e' rimasta attribuita alla competenza statale, ivi compreso il potere del commissario di adottare l'ordinanza di legittimazione. In tali sensi si e' pronunciato il Consiglio di Stato, sezione sesta, con la sentenza 21 febbraio 1983, n. 100, e con il parere della sezione seconda 16 dicembre 1987, n. 2525, con il quale ha ribadito chiaramente che anche dopo il suddetto d.P.R. permangono funzioni amministrative statali relativamente alle legittimazioni e per tali funzioni continua ad essere operante la norma contenuta nell'art. 10 della legge n. 1766/1927 la quale nell'ambito dell'apparato statale individua nel commissario l'organo competente a concedere la legittimazione, salvo l'atto finale del Presidente della Repubblica d'intesa con la regione interessata. L'interpretazione delle sezioni unite viola anche il principio sancito dall'art. 97 della Costituzione secondo cui nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilita' proprie dei funzionari, giacche' sottrae al commissario ed al Capo dello Stato una competenza riconosciuta ad essi da un preciso disposto di legge e di regolamento per attribuirla ad enti estranei alla pubblica amministrazione che ne sono privi. Passando quindi, ad esaminare la questione del potere ufficioso del commissario nel promovimento delle azioni demaniali si rileva che il fulcro delle argomentazioni contenute nella sentenza n. 858/1994 con le quali le sez. un. lo ritengono estinto dopo l'entrata in vigore del d.P.R. n. 616/1977 e' basato sul seguente rilievo: poiche' secondo la giurisprudenza anteriore al suddetto d.P.R. il potere ufficioso di promovimento dell'azione demaniale da parte del commissario era incidentale, eventuale ed accessorio giacche' solo in occasione dello svolgimento delle sue funzioni amministrative e da esse era direttamente derivato, il trasferimento di queste ultime alle regioni avrebbe determinato, parallelamente, la perdita del citato potere ufficioso, privato dell'unico fondamento che lo giustificava (cfr. anche sent. sez. unite 28 gennaio 1994, n. 859, 860, 861 e 862). Sostanzialmente le sez. unite hanno tacitamente abrogato l'art. 29, primo comma, della legge n. 1766/1927 anche se hanno parlato di "espunzione", dopo che la Corte costituzionale ha dichiarato per ben tre volte manifestamente inammissibile ed inammissibile la questione di costituzionalita' della stessa norma. Ora la interpretazione di cui alla sentenza 28 gennaio 1994, n. 850, e' sospetta di incostituzionalita' anzitutto perche' viola il principio della ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione. Premesso, invero, che essa si pone in netto contrasto con la sentenza 1$ aprile 1993, n. 133, della Corte costituzionale la quale ha chiaramente sancito che esulano elementi di incostituzionalita' dal potere di impulso ufficioso concesso al commissario, derivando lo stesso da una scelta discrezionale compiuta dal legislatore e che per raggiungere a tutti i costi lo scopo di vanificare gli effetti della norma medesima, le sezioni unite l'hanno "espunta" dall'ordinamento giuridico, il che equivale ad abrogarla tacitamente, si rileva che l'abrogazione tacita di una disposizione legislativa intanto e' possibile in quanto il relativo procedimento conduca ad un risultato univoco, il che non puo' dirsi essere avvenuto nella fattispecie. L'abrogazione tacita o implicita si ha quando la volonta' del legislatore di togliere efficacia alla legge precedente risulti da uno dei due modi seguenti: a) dall'incompatibilita' delle nuove disposizioni con le precedenti; b) dal fatto che la nuova legge regola interamente la materia gia' regolata dalla legge anteriore (art. 15 disposizioni sulla legge generale). Orbene e' chiaro che nessuno dei due casi suindicati ricorre nella specie, giacche' l'art. 66, quarto, quinto e sesto comma, del d.P.R. n. 616/1977 si e' solo limitato a precisare quali funzioni amministrative, in materia di usi civici, sono state trasferite alle regioni, in attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382, e non ha affatto abrogato il potere d'impulso ufficioso del commissario, per cui non si ravvisa alcuna incompatibilita' di tale norma con quelle precedenti di cui alla legge 16 giugno 1927, n. 1766, ed al regolamento di esecuzione, approvato con r.d. 26 febbraio 1928, n. 332; ne' la suddetta disposizione regola l'intera materia degli usi civici di cui alla citata legge ed al citato regolamento di esecuzione, ma si limita solo a sancire l'anzidetto trasferimento di funzioni amministrative. Viola inoltre, il principio della ragionevolezza anche l'affermazione della Corte di cassazione che la giurisdizione del commissario sia solo quella "incidentale" rispetto alle operazioni di liquidazione e, comunque, a quelle lato sensu amministrative. In realta' le tre espressioni, promiscuamente usate dalla giurisprudenza di "incidentalita'" "strumentalita'" e "prevalenza" per definire i rapporti tra le due funzioni esercitate dal commissario prima del 1977 e successivamente, quanto al beneficio della legittimazione di cui agli artt. 9 e 10 della legge n. 1766/1927 ed alla liquidazione dei compensi spettanti agli utenti dei diritti di usi civici sui terreni demaniali civici espropriati per la costruzione di opere di pubblica utilita', prevista dall'art. 12 della legge 1994, n. 97, non sono affatto preordinate a sottolineare una scala di valori qualitativi concretantesi in una subordinazione dell'attivita' giurisdizionale rispetto a quella amministrativa con la conseguenza che l'attrazione di quest'ultima (supposta come piu' importante) nella competenza delle regioni avrebbe alterato, comprimendoli, i poteri ufficiosi del commissario, ma sono invece, dirette ad evidenziare le correlazioni tra le due sfere di competenze sul piano del loro rispettivo contenuto: da un lato quelle amministrative prevalentemente inerenti alla liquidazione degli usi civici, dall'altro quelle giurisprudenziali volte principalmente all'argomento fondamentale, dell'accertamento demaniale della qualitas soli. In definitiva il principio dell'incidentalita' esprime solo il punto di incontro tra le due funzioni: quella amministrativa regionale cessa ed inizia quella giurisdizionale quando sorga la necessita' di accertare il diritto degli usi civici. Una diversa correlazione e' smentita proprio dal rilievo, evidenziato da numerose sentenze delle stesse sezioni unite, secondo il quale non e' necessario che sia pendente il procedimento amministrativo per l'inizio dell'azione giudiziaria (cfr. cass. 7 maggio 1974, n. 1261; 20 luglio 1971, n. 2365) con la conseguente autonomia delle due azioni ritenuta in numerose sentenze (cfr. cass. sent. 9 luglio 1968, n. 2352; 10 ottobre 196, n. 2425; 23 ottobre 1961, n. 2346); comunque in nessun caso il potere ufficioso di promovimento dell'azione demaniale riconosciuto al commissario dalla cassazione sia prima che dopo l'entrata in vigore del cennato d.P.R. n. 616/1977 e' stato posto in relazione con l'incidentalita' della competenza giurisdizionale affermata nelle sentenze su citate (cass. 2 marzo 1967, n. 470; 29 aprile 1954, n. 1318; 4 dicembre 1991, n. 3922; 4 agosto 1989, n. 3586). Quanto sopra e' tanto esatto che di tutti i procedimenti esaminati dalle sezioni unite nell'udienza del 10 dicembre 1993 nessuno era stato instaurato in seguito ad opposizione agli atti di verifica demaniale. Concludendo e' certo che l'art. 29 della legge n. 1766/1927 ha attribuito al commissario una duplicita' di funzione con contenuto e natura autonoma e diversificata, unitamente all'impulso ufficioso, del quale la Corte costituzionale ha affermato la costituzionalita' con la richiamata sentenza. Pertanto ci si trova di fronte ad una situazione veramente abnorme: da un lato la Corte costituzionale ha ritenuto non affetto da incostituzionalita' l'impulso ufficioso del commissario; dall'altro lato la cassazione, delusa da tale statuizione e sostituendosi al legislatore ed al giudice delle leggi ha "espunto" il suddetto articolo dall'ordinamento giuridico con una mera operazione cerebrina che rinnega la sua precedente costante e consolidata giurisprudenza e viola i canoni fondamentali della materia perche' ignora la giurisdizione esercitata in via principale dal commissario, come si e' avuto modo di rilevare con la propria precedente ordinanza del 20 aprile 1994, n. 25, di cron. le cui argomentazioni debbono qui intendersi integralmente trascritte anche per quanto concerne gli ulteriori profili di incostituzionalita' in relazione agli artt. 24, 99, 104, 109 e 9 della Costituzione, osservandosi, quanto al principio del conflitto o contrasto di interessi tra rappresentante e rappresentati, che esso e' tanto importante che, lungi dall'essere confinato ai soli procedimenti amministrativi, come a torto assume la Corte di cassazione, ha valenza non solo anche nei procedimenti giudiziari, ma persino nel diritto costituzionale, essendo stato richiamato in occasione della formazione del nuovo governo nazionale e risolto con il sistema della garanzia da parte del Capo dello Stato, garanzia che il giudicante invoca dalla Corte costituzionale. Tutte le osservazioni che precedono convincono della non manifesta infondatezza delle dedotte questioni di incostituzionalita' dell'interpretazione data all'art. 29 anzidetto ed all'art. 66 del d.P.R. n. 616/1977 dalle sezioni unite civili della cassazione per cui il presente giudizio va sospeso ai sensi dell'art. 25 della legge n. 87/1953 e gli atti rimessi all'esame della Corte costituzionale.