IL PRETORE
    Letti gli atti del procedimento n. 128/94 r.g. pretura  di  Modena
 nei confronti di Maletti Carlo e Maletti Marco;
    Considerato  che  essi  sono imputati del reato previsto dall'art.
 21, terzo comma, della legge n. 319/1976 per avere, nella  rispettiva
 qualita' di legale rappresentante e direttore tecnico del Salumificio
 Maletti   S.p.a.,   effettuato  scarichi  in  pubblica  fognatura  in
 violazione  dei  parametri  di  legge,  con  specifico  riguardo   ai
 materiali in sospensione;
    Considerato  che  all'udienza  del 3 marzo 1994 il difensore degli
 imputati, munito di procura speciale, ha chiesto  l'applicazione  per
 entrambi,  ai  sensi  dell'art.  444 del c.p.p., della pena di giorni
 trenta di arresto, sostituita con la corrispondente pena pecuniaria a
 norma dell'art. 53 della legge n. 689/1981, sollevando  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  60  della  legge n. 689/1981
 nella parte in cui esclude l'applicabilita' delle sanzioni sostituite
 al reato previsto dall'art. 21, terzo comma, della legge Merli;
    Considerato che il p.m. si e' associato all'eccezione della difesa
 ed ha prestato  il  consenso  sulla  misura  della  pena,  ovviamento
 subordinato all'alloggiamento della questione di costituzionalita';
                             O S S E R V A
    L'art.  60,  secondo comma, della legge n. 689/1981 stabilisce che
 le sanzioni sostitutive non si  applicano  ai  reati  previsti  dagli
 artt.  21  e  22  della  legge n. 319/1976 (norme per la tutela delle
 acque dall'inquinamento) e dagli artt. 9, 10, 14, 15, 18 e  20  della
 legge n. 615/1966 (provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico).
    Il legislatore del 1981 aveva escluso dal beneficio delle sanzioni
 sostitutive tutti i reati a tutela dell'ambiente previsti dalle leggi
 all'epoca vigenti, ritenendo che cio' fosse opportuno per le esigenze
 di  prevenzione  generale  e  per  la particolare importanza del bene
 tutelato, appartenente alla collettivita'.
    Dopo il 1981 sono state emanate numerose leggi di rilievo penale a
 tutela dell'ambiente (d.P.R. n. 915/1982, d.P.R. n.  203/1988,  della
 legge  n.  475/1988)  ed  altre  a  tutela  dello  specifico  settore
 interessato  dalla  norma  impugnata,  cioe'  l'inquinamento   idrico
 (d.P.R.  n. 217/1988, poi abrogato, decreti legislativi nn. 132 e 133
 del 1992).
    Per  tutte  le  fattispecie di reato introdotte dalla legislazione
 ambientale successiva al 1981 e' possibile il ricorso  alle  sanzioni
 sostitutive,  secondo la disciplina generale dell'art. 53 della legge
 n. 689/1981.
    Dal confronto tra la normativa generale (art. 53  della  legge  n.
 689/1981)  e  quella  derogatoria dettata dall'art. 60 della legge n.
 689/1981 per i reati di cui all'art.  21  della  legge  Merli  emerge
 un'ingiustificata disparita' di trattamento.
    L'art.  53  della  legge n. 689/1981 e' applicabile, in assenza di
 qualsiasi esclusione  oggettiva,  ai  reati  introdotti  dal  decreto
 legislativo n. 133/1992.
    Tale  decreto  da'  attuazione  (in  maniera  del tutto acritica e
 assolutamente non coordinata alla  legislazione  nazionale)  a  sette
 direttive   CEE  in  materia  di  scarichi  industriali  di  sostanze
 pericolose nelle acque.
    L'art. 18 del decreto riproduce, con i necessari adattamenti,  gli
 artt. 21 e 22 della legge n. 319/1976.
    Lasciando  da  parte  le problematiche relative al rapporto tra la
 nuova disciplina e la legge Merli nonche' ogni valutazione in  ordine
 alla  maggiore  o minore pericolosita' delle condotte incriminate dal
 decreto n. 133/1992 (inspiegabilmente  esso  punisce  con  pena  piu'
 severa,  rispetto  a  quella dell'art. 21 dalla legge n. 319/1976, lo
 scarico senza  autorizzazione  e  con  pena  meno  grave  nel  minimo
 edittale  lo  scarico  in  violazione  dei  limiti  tabellari),  puo'
 senz'altro rilevarsi come i due gruppi di norme tutelino non solo  lo
 stesso bene, cioe' l'ambiente, ma lo stesso settore dell'inquinamento
 idrico,  attraverso ipotesi contravvenzionali certamente assimilabili
 e per struttura e per il tipo di sanzioni inflitte.
    La possibilita' di applicare le sanzioni sostituitive  a  tutti  i
 reati  introdotti dal decreto n. 133/1992 e l'esclusione dal suddetto
 beneficio dei reati di  cui  all'art.  21  della  legge  n.  319/1976
 costituisce una violazione del principio di uguaglianza e di coerenza
 dell'ordinamento giuridico.
    In  particolare,  non  riesce  in  alcun  modo  a giustificarsi la
 sostituibilita' della pena dell'arresto  fino  a  tre  anni  prevista
 dall'art.  18,  primo  comma, del d.l. n. 133/1992, posto che questa
 fattispecie  riveste  maggiore  gravita',   collegata   al   tipo   e
 all'entita' della pena inflitta, rispetto alla corrispondente ipotesi
 descritta dall'art. 21, primo comma, della legge n. 319/1976.
    Analogamente,   appare   privo   di   ragionevolezza   il  diverso
 trattamento riservato al reato di cui all'art. 21, terzo comma, della
 legge n. 319/1976 rispetto a quello previsto per  l'art.  18,  quarto
 comma,  che,  oltre  a  comminare  una  sanzione identica nel massimo
 edittale (due anni di arresto), concerne scarichi di sostanze che  lo
 stesso decreto definisce pericolose.
    La  violazione  dell'art.  3 della Costituzione risulta in maniera
 altrettanto netta qualora  si  adoperi,  come  termine  normativo  di
 confronto,  la disciplina generale dettata in tema di smaltimento dei
 rifiuti.
    Il d.P.R. n. 915/1982 e  la  legge  Merli  appaiono  omologhi  per
 valori  costituzionali  difesi  (l'ambiente)  e  per la tipologia dei
 reati previsti.
    I  due  testi  normativi  si sovrappongono in piu' punti: l'art. 1
 lett. a) legge n. 319/1976 nel descrivere l'oggetto  della  legge  si
 riferisce  agli  scarichi anche sul suolo e nel sottosuolo e l'art. 1
 del d.P.R. n. 915/1982 impone che nell'attivita' di  smaltimento  dei
 rifiuti debba essere evitato ogni rischio di inquinamento dell'acqua.
    Lo  smaltimento  dei  liquami  e dei fanghi residuati dai cicli di
 lavorazione e dai processi di depurazione ricade sotto la  previsione
 del  d.P.R.  n.  915/1982  o dalla legge n. 319/1976 a seconda che si
 tratti o meno di rifiuti tossici e nocivi  (art.  2  della  legge  n.
 319/1976 e art. 2, penultimo comma, del d.P.R. n. 915/1982).
    Il  rischio  di  un  concorso  apparente  di  norme  ha indotto il
 legislatore  ad  escludere   espressamente   l'applicabilita'   delle
 disposizioni  sullo  smaltimento  dei  rifiuti agli scarichi regolari
 dalla legge n. 319/1976 (vedi art. 2,  ultimo  comma  del  d.P.R.  n.
 915/1982).
    Lo  stesso  legislatore,  in  altri  settori  dell'ordinamento, ha
 riservato ai reati in materia di inquinamento idrico e di smaltimento
 dei  rifiuti  un  identico  trattamento,  ad  esempio,   escludendoli
 entrambi dal beneficio dell'amnistia.
    Quanto detto rende fondato il dubbio che la disciplina derogatoria
 dettata  dall'art.  60  della  legge n. 689/1981 per i reati previsti
 dall'art.  21  della  legge  Merli  sia  contraria  al  principio  di
 eguaglianza.
    Su  tale  principio  si  fonda  l'obbligo  del  legislatore di non
 trattare difformemente  le  situazioni  da  esso  stesso  considerate
 assimilabili.
    Come  affermato  da un'attenta dottrina, ogni norma giuridica deve
 essere applicata a tutte le fattispecie in cui ricorrono le  esigenze
 da  cui  e'  sorta e solo ad esse; una differente regolamentazione e'
 giustificata solo da diversita' reali adeguatamente ponderate e  con-
 siderate.  Se  essa  e' frutto di disattenzione, di scarsa conoscenza
 della realta' normativa, di  mancata  coordinazione,  deve  ritenersi
 contraria all'art. 3 della Costituzione.
    Non  puo'  ragionevolmente  sostenersi  che  se la norma impugnata
 disponeva e dispone di un'adeguata ragione  giustificativa,  cio'  e'
 sufficiente  a  farla  ritenere  rispettosa  del  principio  generale
 d'uguaglianza, quand'anche il legislatore abbia omesso di  estenderla
 ad   altre   fattispecie,   meritevoli   di  sottostare  alla  stessa
 disciplina.
    La diversita' di trattamento, qualora non sia sorretta  da  alcuna
 razionale  giustificazione)  di  cui dovrebbe trovarsi traccia almeno
 nei  lavori  preparatori  delle  leggi),  costituisce  comunque   una
 violazione  del  canone  di  coerenza  che,  nel campo delle norme di
 diritto, e' l'espressione del principio di eguaglianza,  inteso  come
 norma di chiusura ed ultima garanzia del sistema.
    Poiche'  la  Corte costituzionale ha sempre ritenuto inammissibili
 iniziative dirette a sollecitare pronunzie additive in materia penale
 (vedi ordinanza n. 261 del 10 dicembre 1986), non potrebbe ravvisarsi
 una incostituzionalita' per la mancata estensione dell'art. 60  della
 legge  n. 689/1981 ai reati a tutela dell'ambiente introdotti dopo il
 1981.
    L'unica strada da percorrere e' quindi quella che mira a provocare
 una pronuncia  della  Corte  nel  senso  della  illegittimita'  della
 disciplina derogatoria.
    Peraltro,  l'esame  della  normativa  emessa  dopo  il  1981 rende
 fondato il dubbio che il legislatore  abbia  completamente  perso  di
 vista  lo scopo originariamente perseguito attraverso la disposizione
 dell'art. 60.
    Il legislatore ha consentito il ricorso alle sanzioni  sostitutive
 per tutti i reati a tutela dell'ambiente introdotti con leggi succes-
 sive  al  1981  (d.P.R.  n.  915/1982;  d.P.R.  n. 203/1988; legge n.
 475/1988; d.l. n. 133/1992); non si e'  attivato  per  eliminare  le
 inevitabili  discrasie  che si sono verificate in seguito all'aumento
 di competenza del pretore disposto  dal  nuovo  codice  di  procedura
 penale  (vedi  sentenza  della  Corte  costituzionale n. 249 del 5-19
 maggio 1993); con la legge n. 296/1993  ha  notevolmente  elevato  il
 limite  di  applicabilita' delle sanzioni sostitutive portandolo fino
 ad un anno ed ha addirittura esteso le sanzioni di cui all'art. 53 ai
 reati di competenza del tribunale.
    Appare  quindi  non  manifestamente  infondata  la  questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  60  della  legge n. 689/1981
 nella  parte  in  cui   esclude   l'applicabilita'   delle   sanzioni
 sostitutive per il reato di cui all'art. 21, terzo comma, della legge
 n. 319/1976, per violazione del principio di eguaglianza.
    La questione e' inoltre rilevante ai fini del giudizio in corso.
    Dall'accoglimento   o   dal   rigetto   della  stessa  dipende  la
 possibilita' di  applicare  agli  imputati  la  sanzione  sostitutiva
 richiesta in sede di patteggiamento.
    Allo stato non pare vi siano elementi per l'immediata declaratoria
 di cause di non punibilita' ai sensi dell'art. 129 del c.p.p.
    L'accusa formulata dal p.m. e' sorretta dal certificato di analisi
 da  cui  risulta  il  superamento del limite fissato dalla tabella c)
 quanto ai materiali in sospensione.
    Il fatto addebitato agli imputati appare, allo stato,  di  modesta
 gravita'.
    Il  possesso  da parte della ditta di regolare autorizzazione allo
 scarico in fognatura  (vedi  memoria  depositata  dal  difensore  con
 allegati),  il  superamento dei limiti tabellari relativo ad un unico
 parametro ed in misura particolarmente modesta, l'incensuratezza  dei
 due  imputati, costituiscono elementi di giudizio atti a far ritenere
 adeguata l'applicazione  del  beneficio  della  sanzione  sostitutiva
 richiesta in sede di patteggiamento.