IL TRIBUNALE MILITARE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato, all'udienza del 5 luglio 1994, la seguente ordinanza. 1. - In data 2 giugno 1994 il militare Cadinu Francesco, nato a Nuoro il 17 giugno 1973 ed ivi residente in via Benedetto Croce n. 52, in atto detenuto nel carcere militare di Roma perche' condannato con sentenza in data 18 febbraio 1993 del tribunale militare di Cagliari (irrevocabile il 16 maggio 1993) alla pena di mesi due e giorni venti di reclusione militare per il reato di diserzione (art. 148 del c.p.m.p.) ha chiesto di essere ammesso al beneficio dell'affidamento in prova ad un comando o ente militare a norma dell'art. 3, primo comma n. 1 della legge 29 aprile 1983, n. 167. Risulta dagli atti e segnatamente dal certificato penale che il Cadinu e' stato condannato in data 26 gennaio 1990 dal g.u.p. presso il tribunale per i minori di Cagliari alla pena (sospesa) di mesi dieci e giorni venti di reclusione e L. 120.000 di multa per i reati di rapina, sequestro di persona e violenza privata in concorso. Per tale motivo una precedente istanza di affidamento in prova presentata il 15 aprile 1993 dal Cadinu e' stata dichiarata inammissibile con ordinanza di questo tribunale in data 22 marzo 1994 a norma dell'art. 1, secondo comma, 4a ip. della legge n. 167/1983. La reiterazione dell'istanza, nel caso in esame, non da' luogo ad inamissibilita', posto che tra la prima domanda (peraltro presentata in stato di liberta') e la seconda (presentata durante la detenzione) intercorre un consistente lasso di tempo (15 aprile 1993-2 giugno 1994) che "consente la riproposizione della richiesta, essendo questa inammissibile solo ove sia, oltre che identica alla precedente, basata sui medesimi elementi" (Relaz. prog. prel. in Gazzetta Ufficiale supp. ord. n. 2 del 24 ottobre 1988, serie generale, pag. 147). Nondimeno anche l'istanza presentata in data 2 giugno 1994 dovrebbe essere dichiarata inammissibile, per gli stessi motivi della precedente, a norma del citato art. 1, secondo comma, 4a ip. della legge n. 167/1983. 2. - Peraltro, prima di pervenire alla sopraindicata conclusione il tribunale ritiene di dover prospettare il dubbio circa la conformita' dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 167/1983 all'art. 3 della Costituzione. Detto art. 1, secondo comma, che prevede una serie di reati militari per i quali e' escluso lo speciale affidamento del condannato militare, nonche' l'ulteriore preclusione derivante dall'aver riportato precedente condanna per rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione o per reati commessi a fine di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale, si colloca, in sostanza nell'alveo di quanto previsto dall'art. 47, secondo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, successivamente modificato dall'art. 4 della legge 12 gennaio 1977, n. 1. In proposito e' appena il caso di ricordare che la disposizione dell'ordinamento penitenziario da ultimo citata, introdotta nell'ultima fase di apprrovazione della legge n. 354/1975 e poi mantenuta (con la sola esclusione della preclusione derivante da precedente condanna per reati della stessa indole) dall'art. 4 della legge n. 1/1977, era stata inserita al fine di placare in qualche misura l'allarme sociale provocato da gravi fatti che avevano profondamente scosso l'opinione pubblica; tale norma, peraltro, era stata oggetto negli ambienti accademici e giudiziari di un ampio dibattito e di critiche vivacissime. Mentre, infatti da piu' parti si era prospettato il dubbio di costituzionalita' della norma de qua per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, molti, d'altro canto, avevano posto in evidenza che la disposizione di cui trattasi era incompatibile con il principio dell'individualizzazione del trattamento penitenziario che, cosi' come previsto dalla legge n. 354/1975, presupponeva sia la garanzia tecnica di tutti gli interventi rieducativi previsti, sia la garanzia giudiziale dell'attribuzione di ogni competenza in tema di decisioni sulle misure alternative alla magistratura di sorveglianza. Nonostante le numerose perplessita' sopra esposte la norma in discorso per ben due volte era uscita indenne dal vaglio della Corte costituzionale. Con la sentenza n. 107/1980 la Corte aveva infatti evidenziato che "i lavori preparatori della legge n. 354/1975 dimostra(vano) che il legislatore, rendendo inapplicabile ad una data serie di delitti le 'misure alternative alla detenzione', (aveva) inteso fronteggiare piu' efficacemente condotte criminose che possono considerarsi di particolare pericolosita', per la loro frequenza e per i loro effetti, e che danno luogo ad accentuati allarmi nella societa' contemporanea". "Disposizioni del genere" aveva precisato nella circostanza la Corte "sono naturalmente opinabili, sia per cio' che riguardano in modo esplicito, sia per cio' che escludono dalla loro previsione. Ma si tratta di scelte che non si prestano a venire censurate e, meno ancora, modificate da parte della Corte, nei termini indicati dal giudice a quo: allo stesso modo che di regola appartengono alla discrezionalita' legislativa, tanto la definizione delle varie figure di reato, quanto il ricorso ai relativi provvedimenti di clemenza. Cio' basta a far concludere, con riferimento ad entrambi i commi dell'art. 3, che le norme impugante non ledono il principio costituzionale di eguaglianza". D'altra parte la Corte aveva escluso ogni contrasto delle norme impugnate con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione osservando che "la funzione ed il fine della pena non si esauriscono nella 'sperata emenda" del reo, ma hanno di mira esigenze irrinunciabili di 'dissuasione, prevenzione, difesa sociale'". Successivamente l'art. 47, secondo comma, dell'ordinamento penitenziario era stato impugnato sotto il profilo dell'incopletezza dell'elencazione dei reati ostativi che, a giudizio dei ricorrenti, non teneva conto di altre fattispecie poste a tutela di beni di rilievo preminente nella scala dei valori costituzionali. In tale circostanza la Corte con la sentenza n. 29/1984 aveva affermato la propria incompetenza sul punto, evidenziando che, trattandosi di emettere una sentenza additiva con effetti sfavorevoli, la scelta spettava al legislatore. 3. - Quanto mai provvidamente, dunque, il legislatore con la legge n. 663/1986 cancello' dall'art. 47 dell'ordinamento penitenziario la previsione dei reati ostativi, venendo in tale scelta guidato dall'esigenza di dare preminenza al finalismo rieducativo e dall'opportunita' di lasciare la valutazione dell'allarme sociale alla fase per esso piu' naturale e cioe' a quella giudiziale della determinazione della pena in concreto. Peraltro, con una disattenzione nei confronti del diritto penale militare, che purtroppo ormai deve ritenersi pressoche' costante, il legislatore omise di tener conto dell'analoga previsione contenuta nell'art. 1, secondo comma, della legge n. 167/1983 in ordine al quale nulla dis- pose. 4. - La Corte costituzionale nel dichiarare con la sentenza n. 119/1992 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge n. 167/1983, come sostituito dall'art. 1, n. 1, della legge n. 897/1986, nella parte in cui non prevedeva l'adozione del provvedimento dell'affidamento in prova del condannato militare indipendentemente dall'osservazione della personalita' dello stesso condotta per almeno un mese nello stabilimento militare di pena (in cio' adeguando lo speciale istituto militare al corrispondente istituto comune, cosi', sul punto, modificato con la sentenza della stessa Corte n. 569/1989) ha chiarito che la disposizione in discorso, da un punto di vista sistematico consiste nella estensione del provvedimento dell'affidamento in prova del condannato comune al condannato militare, con gli adattamenti richiesti dalle particolarita' dell'organizzazione militare (stabilimenti militari di pena, comando o ente militare affidatario, giudice militare di sorveglianza). E' dunque, ormai incontestabile che la speciale normativa dettata dalla legge 29 aprile 1983, n. 167, e' stata introdotta esclusivamente al fine di estendere al condannato dall'autorita' giudiziaria militare, con gli indispensabili adattamenti resi necessari dalla particolare finalita' della pena militare, l'istituto previsto dall'art. 47 della legge n. 354/1975. Orbene, posto che le ragioni che hanno indotto il legislatore a cancellare dall'art. 47 dell'ordinamento penitenziario la previsione dei reati ostativi sussistono, con tutta evidenza, anche relativamente al piu' volte citato art. 1, secondo comma, della legge n. 167/1983, si e' venuta a creare, ad avviso del Collegio, una irragionevole ed ingiustificata disparita' di trattamento in danno del cittadino alle armi (si pensi, tra l'altro, in proposito alla singolarita' dei casi, tutt'altro che infrequenti, nei quali ad esempio condannati per reati di rapina o di estorsione, gia' ammessi all'affidamento in prova ex art. 47 della legge n. 354/1975, si vedano poi negare, allo stato della vigente legislazione, a causa di quei precedenti, il beneficio, sostanzialmente analogo, di cui all'art. 3, primo comma, della legge n. 167/1983 invocato relativamente ad una successiva condanna per reato militare il piu' delle volte addirittura di minore gravita'). 5. - Alla stregua di tutto quanto sopra esposto ritiene, dunque, il Tribunale di dover prospettare il dubbio relativo alla conformita' dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 167/1983 all'art. 3 della Costituzione. La rilevanza della prospettata questione appare evidente perche' ove si escludesse il contrasto fra l'art. 1, secondo comma, della legge n. 167/1983 e l'art. 3 della Costituzione l'istanza dell'interessato dovrebbe essere dichiarata inammissibile.