ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 4, quarto
 comma, 5, sesto, ottavo ed undicesimo comma, 13, primo comma, lettere
 a) e d), 18 e 28, della  legge  28  gennaio  1994,  n.  84,  recante:
 "Riordino  della  legislazione  in  materia  portuale",  promosso con
 ricorso della Regione Emilia-Romagna, notificato  il  7  marzo  1994,
 depositato  in  cancelleria il 15 successivo ed iscritto al n. 26 del
 registro ricorsi 1994;
    Visto l'atto di costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 21 giugno 1994 il Giudice relatore
 Gabriele Pescatore;
    Uditi  l'avv.  Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e
 l'avv. dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio  del
 ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ricorso  notificato il 7 marzo 1994 e depositato il 15
 marzo 1994, la Regione Emilia-Romagna ha  impugnato,  in  riferimento
 agli artt. 117, 118, 119 e 81 della Costituzione, alcune disposizioni
 della   legge  28  gennaio  1994,  n.  84,  recante  "Riordino  della
 legislazione in materia portuale". In particolare, la  ricorrente  ha
 censurato  gli artt. 5, commi sesto ed ottavo, 13, comma primo, lett.
 d) e 28, della predetta legge,  rilevando  che  essi  addossano  alla
 Regione  rilevanti  oneri  sia di realizzazione di opere portuali sia
 gestionali senza statuire in suo favore alcuna entrata corrispondente
 ne' con riferimento ai fari, che, alla stregua del comma sesto  dello
 stesso art. 5 - che sostituisce la individuazione delle opere statali
 di  cui al previgente testo dell'art. 88 del d.P.R. n. 616 del 1977 -
 rientrano ora nella competenza regionale,  ne'  avuto  riguardo  alle
 opere  di  grande infrastrutturazione nei porti di cui alla categoria
 II, classe III, che il citato art. 5, comma ottavo, pone direttamente
 ed in termini prescrittivi a carico della Regione.
    I medesimi rilievi riguardano l'art. 13, comma  primo,  lett.  d),
 della  legge  n.  84  del 1994, ove si elencano, tra le entrate delle
 autorita' portuali, i "contributi delle Regioni". Tale  disposizione,
 ad  avviso  della  ricorrente,  sarebbe  legittima  solo  se  dovesse
 intendersi  come  di  carattere  meramente   facoltizzante.   Ma   la
 soppressione, nel testo definitivo della legge, della precisazione in
 tal  senso contenuta originariamente nella disposizione in esame, in-
 duce, si legge nel ricorso, a "temere"  che  essa  sia  intesa  nella
 prassi  come  rivolta  ad  imporre  alla Regione la corresponsione di
 contributi, con conseguente violazione del  principio  dell'autonomia
 finanziaria regionale.
    In  tale  contesto,  sarebbero  censurabili  anche le disposizioni
 contenute nell'art. 28, ed in particolare nei commi quarto, quinto  e
 sesto  di  esso, che prevedono l'acquisizione al bilancio dello Stato
 di proventi che costituiscono corrispettivi di attivita' portuali  in
 loco, depauperando ingiustificatamente le economie locali.
    Altro   profilo   d'illegittimita'  costituzionale  la  ricorrente
 ravvisa nell'art. 4, comma quarto, della legge n. 84  del  1994,  che
 attribuisce  al  solo  Ministro  dei trasporti e della navigazione la
 competenza a determinare, con proprio  decreto,  "le  caratteristiche
 dimensionali,   tipologiche  e  funzionali  dei  porti  di  cui  alla
 categoria II, classi I, II e III e l'appartenenza di ogni scalo  alle
 classi medesime", mentre il ruolo al riguardo svolto dalle Regioni si
 risolve nel rilascio di un parere.
    Tale   procedura  determinerebbe  una  lesione  delle  prerogative
 regionali, ove si tenga conto che tra i  porti  considerati  vi  sono
 quelli  che  costituiscono opere pubbliche di interesse regionale, ai
 sensi dell'art, 5, comma settimo, della legge  in  questione,  e  che
 tali   porti   hanno   spesso  essenzialmente  funzioni  di  traffico
 turistico,  o  collegate  allo  svolgimento  della  pesca,  cioe'  ad
 attivita' ricadenti nei casi di competenza regionale.
    Viene,  altresi',  denunziato  l'art.  5,  comma undicesimo, della
 stessa legge n. 84 del 1994, che sottopone gli interventi da attuarsi
 da parte delle Regioni a "direttive di coordinamento" ministeriali, e
 non, come si sarebbe dovuto se mai ve ne fosse stata  la  necessita',
 alla tipica funzione governativa di indirizzo e coordinamento, e cio'
 senza che sia neanche definito lo scopo o l'aspetto specifico di tali
 "direttive"  in  contrasto  con il principio di legalita' sostanziale
 degli atti di indirizzo.
    La  Regione  Emilia-Romagna  impugna,  ancora,   l'art.   18,   in
 connessione  con  l'art.  13,  comma  primo  lett. a), per il mancato
 riconoscimento di competenze regionali in ordine alla concessione  di
 aree  e  banchine destinate ad attivita' portuali. Infatti, il citato
 art. 18 attribuisce tali poteri concessori alle autorita' portuali  o
 a   quelle  marittime.  Secondo  la  ricorrente,  le  concessioni  in
 questione interferirebbero  con  le  competenze  regionali  sotto  il
 profilo  dei poteri sia in materia di opere pubbliche sia di turismo.
 Quanto al primo aspetto, si sottolinea che le concessioni  riguardano
 spesso anche la costruzione di opere, e che il mancato riconoscimento
 del  potere concessorio alle Regioni comporta anche il difetto di una
 risorsa in qualche modo in grado di riequilibrare gli oneri collegati
 alle opere pubbliche.
    Per quanto riguarda l'aspetto turistico, si richiama l'art. 59 del
 d.P.R. n. 616 del 1977, che prevede  la  delega  alle  Regioni  delle
 funzioni  amministrative sul litorale marittimo, sulle aree demaniali
 immediatamente  prospicienti,  sulle  aree  del  demanio  lacuale   e
 fluviale, quando la utilizzazione prevista abbia finalita' turistiche
 e ricreative.
    Tale  delega,  rimasta a lungo inattuata, riceve conferma dal d.l.
 n. 400 del 1993, conv., con modif., nella legge n. 494 del 1993, che,
 all'art. 6, prevede che essa diventi comunque operativa qualora entro
 un anno non siano effettuati quegli adempimenti la  cui  inosservanza
 l'aveva  fino ad allora paralizzata, e che da tale termine le regioni
 provvedono al rilascio ed  al  rinnovo  delle  concessioni  demaniali
 marittime.
    In  tale  quadro, l'art. 13, comma primo, lett. a), della legge n.
 84 del 1994, assegnando alle autorita' portuali anche il  compito  di
 determinare  canoni  di  concessione  demaniale  per scopi turistico-
 ricreativi e di concessione di  aree  destinate  a  porti  turistici,
 invaderebbe  la  materia  disciplinata  dalla  predetta  normativa  e
 sottrarrebbe  alle  Regioni  risorse   direttamente   connesse   alle
 competenze  ad  esse  costituzionalmente  attribuite  in  materia  di
 turismo.
    Infine, viene impugnato l'art. 28, comma settimo, in  collegamento
 con  il  comma  primo.  Le  disposizioni  in  questione  prevedono un
 meccanismo di assunzione di  oneri  a  carico  dello  Stato,  cui  si
 collega  l'acquisizione da parte di questo di una entrata, altrimenti
 del porto, costituente il 50 per cento del gettito della tassa  sulle
 merci  sbarcate,  che, destinata a ripianare situazioni di squilibrio
 gestionale e finanziario, verrebbe applicata in modo indiscriminato a
 tutte le strutture portuali, ivi comprese quelle, come  il  porto  di
 Ravenna, in equilibrio economico.
    Quanto  meno,  secondo  la ricorrente, si sarebbe dovuta rimettere
 alla valutazione degli interessati la  scelta  tra  l'assunzione  dei
 mutui  e  degli  altri  oneri  che il comma primo dell'art. 28 pone a
 carico dello Stato, con la conseguente applicazione del meccanismo di
 cui al comma settimo dello  stesso  art.  28,  o  una  situazione  di
 autonomia imprenditoriale.
    2.  -  Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato,  che
 ha  concluso per il rigetto del ricorso, svolgendo controdeduzioni in
 ordine a ciascuno dei motivi di ricorso.
    Con riferimento al primo, ha osservato, per cio' che riguarda  gli
 oneri  relativi  ai fari, che questi, in quanto opere che interessano
 la  sicurezza  della  navigazione,  da  qualificare   di   preminente
 interesse  nazionale, rimarrebbero di competenza statale, mentre alla
 Regione spetterebbe solo la realizzazione di apparecchiature  minori,
 che  costituiscono pertinenza di opere gia' qualificate di competenza
 regionale.
    Quanto alle opere di grande infrastrutturazione, i relativi  oneri
 non  sarebbero  complessivamente  maggiori  rispetto  a  quelli  gia'
 previsti  dalla  normativa  previgente.   Al   contrario,   l'impegno
 finanziario a carico dello Stato si estende, oltre che ai porti della
 categoria  II,  classe  I,  anche  a  quelli della classe II, gia' di
 competenza regionale ai sensi dell'art. 88, n. 1, d.P.R. n.  616  del
 1977,  rimanendo  integralmente  a  carico delle Regioni solo l'onere
 delle opere di grande infrastrutturazione nei porti della classe III.
    Ne' la elencazione  dell'art.  13,  primo  comma,  lett.  d),  che
 comprende,  tra  le  entrate  delle  autorita' portuali, i contributi
 delle Regioni, potrebbe intendersi altrimenti che come  una  generica
 previsione  riguardante le possibili risorse finanziarie, ben diversa
 da quelle di cui alle lettere a), b)  e  c),  che  si  riferirebbero,
 invece, ad un gettito determinato o determinabile.
    La   disposizione   in   questione  avrebbe,  cioe',  una  portata
 semplicemente facoltizzante.   Infondate sarebbero anche  le  censure
 riguardanti l'art. 28, e specificamente i suoi commi quarto, quinto e
 sesto,  poiche' i proventi, da acquisire al bilancio dello Stato, cui
 vi  si  fa   riferimento,   avrebbero   natura   tributaria   e   non
 costituirebbero,  pertanto,  il  corrispettivo  di attivita' portuali
 svolte  in  loco.    Del  resto,  gli  oneri  di   cui   si   lamenta
 l'attribuzione    alle   Regioni   sarebbero   la   conseguenza   del
 riconoscimento in capo alle stesse di  competenze  istituzionali  nel
 settore portuale.
    Quanto   all'asserita   illegittimita'   del   potere,  attribuito
 dall'art.  4,  comma  quarto,  al  Ministro  dei  trasporti  e  della
 navigazione,  di  determinare  con proprio decreto le caratteristiche
 dimensionali, tipologiche e  funzionali  anche  dei  porti  meramente
 turistici  o  di  pesca  e  di  individuare  gli scali propri di ogni
 categoria, l'Avvocatura rileva, per un verso, che i criteri  in  base
 ai  quali  sono  individuate le caratteristiche dei porti ascrivibili
 alle  tre  classi  della  categoria  II  hanno  portata  oggettiva  e
 contenuto  univoco,  per l'altro, che la partecipazione delle Regioni
 al procedimento di classificazione sarebbe prevista in  termini  tali
 da  garantire  il  rispetto  delle  relative competenze in materia di
 opere pubbliche.
    L'Avvocatura rileva, poi, che il traffico turistico e  il  diporto
 nautico e la pesca marittima non ricadono nella competenza regionale,
 limitata  alla  navigazione  ed alla pesca nelle acque interne, oltre
 che ai porti lacuali.  In ordine alla impugnativa della norma di  cui
 all'art.  5,  comma  undicesimo,  che  sottopone  gli  interventi  da
 attuarsi dalle Regioni alle "direttive di coordinamento" del Ministro
 dei trasporti e della navigazione, si rileva che  tale  coordinamento
 sarebbe  correlato  al  potere  attribuito  alle  Regioni,  al comune
 interessato e  all'autorita'  portuale  di  intervenire  con  proprie
 risorse,   in   concorso  o  in  sostituzione  dello  Stato,  per  la
 realizzazione delle opere di grande infrastrutturazione dei porti  di
 cui  alla  categoria  II,  classi  I  e  II (art. 5, comma ottavo), e
 sarebbe inteso a prevenire eventuali duplicazioni di impegni.
    Quanto all'asserita illegittimita' dell'art.  18,  in  connessione
 con  l'art.  13,  comma  primo  lett.  a),  l'Avvocatura  obietta che
 appartengono esclusivamente allo Stato le competenze  in  materia  di
 gestione  del  demanio  e  dei  porti  marittimi, in cui rientrano le
 concessioni di aree e banchine, di cui all'art. 18.
    Ne' avrebbe pregio il richiamo all'art. 59 del d.P.R. n.  616  del
 1977,  che prevede la delega alle Regioni di funzioni amministrative,
 in quanto il predetto art. 18 si riferisce ad utilizzazioni di ambiti
 portuali per servizi commerciali, e non turistici  o  ricreativi,  ai
 quali, invece, si riferisce la citata delega.
    Infine,   in   ordine   ai  lamentati  profili  di  illegittimita'
 costituzionale dell'art. 28, comma settimo, in  collegamento  con  il
 comma  primo, l'Avvocatura ritiene ineccepibile che lo Stato, varando
 un  nuovo  ordinamento  dei  porti,  provveda  all'azzeramento  delle
 passivita'  facenti  capo  all'ordinamento preesistente, garantendo i
 mezzi con i quali i nuovi soggetti possano svolgere i compiti ad essi
 demandati senza l'appesantimento derivante dalle precedenti gestioni.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Le  questioni  di legittimita' costituzionale sottoposte al
 giudizio di questa Corte investono varie disposizioni della legge  28
 gennaio   1994,   n.  84  (Riordino  della  legislazione  in  materia
 portuale), ritenute lesive delle attribuzioni regionali come determi-
 nate dalla Costituzione e dalle leggi attuative e, segnatamente,  dal
 d.P.R. n. 616 del 1977.
    In particolare, la Regione Emilia-Romagna ha impugnato:
       a)  gli  artt. 5, commi sesto ed ottavo, 13, comma primo, lett.
 d) e 28 della predetta legge, deducendone il contrasto con gli  artt.
 117,  118,  119  e 81 della Costituzione, per avere tali disposizioni
 addossato alle Regioni rilevanti oneri sia di realizzazione di  opere
 portuali  sia  gestionali,  senza  statuire  in  loro  favore entrate
 corrispondenti;
       b) l'art. 4, comma quarto, che,  attribuendo  al  Ministro  dei
 trasporti  e  della navigazione il potere di determinare, con proprio
 decreto, le caratteristiche dimensionali,  tipologiche  e  funzionali
 anche  dei  porti  turistici  o  di pesca, e di individuare gli scali
 propri  di  ogni  categoria,  invaderebbe  la  sfera  di   competenza
 regionale nelle materie delle opere pubbliche e di turismo e pesca;
       c)  l'art.  5,  comma  undicesimo,  in quanto, sottoponendo gli
 interventi  da  attuarsi  dalle  Regioni  nella  materia  portuale  a
 "direttive  di  coordinamento"  del  Ministro  dei  trasporti e della
 navigazione, lederebbe le prerogative regionali;
       d) l'art. 18, che, conferendo il potere di concessione di  aree
 e  banchine  alle  autorita'  portuali  marittime,  senza riconoscere
 alcuna competenza alle Regioni, violerebbe le attribuzioni in materia
 di opere pubbliche e  turismo,  facenti  capo  alle  Regioni  stesse,
 sottraendo  ad  esse risorse in grado di fare riequilibrare gli oneri
 collegati  alle  opere  pubbliche:  tale  censura  e'  sollevata   in
 connessione  con  quella  dell'art.  13,  primo  comma,  lett. a) che
 assegna  alle  autorita'  portuali,  tra  l'altro,  il   compito   di
 determinare  canoni  di  concessione  demaniale  marittima  per scopi
 turistico-ricreativi e canoni di  concessione  di  aree  destinate  a
 porti turistici;
       e)  l'art.  28,  comma  settimo,  in  collegamento con il primo
 comma, che prevede un meccanismo di  assunzioni  di  oneri  a  carico
 dello  Stato,  cui e' correlata l'acquisizione allo stesso del 50 per
 cento della tassa sulle  merci  sbarcate  ed  imbarcate,  sottraendo,
 secondo  la ricorrente in modo ingiustificato, ai porti tale entrata,
 che costituirebbe corrispettivo di attivita' portuali in loco.
   2. - Un primo gruppo di censure  riguarda,  dunque,  gli  artt.  5,
 commi  sesto ed ottavo, 13, comma primo, lett. d) e 28 della legge 28
 gennaio 1994, n. 84, denunziati per contrasto con gli artt. 117, 118,
 119 e 81 della Costituzione.
    L'art. 5, sesto comma, introduce una nuova formulazione  dell'art.
 88  del  d.P.R.  n. 616 del 1977 - relativo alla individuazione delle
 funzioni  amministrative  residuate  alla  competenza  statale  nella
 materia  delle  opere  pubbliche  -  che e' identica alla precedente,
 tranne che per la omessa indicazione, tra le opere statali, di quelle
 relative ai fari.
    Il comma ottavo dello stesso art. 5 stabilisce la  spettanza  allo
 Stato  dell'onere  per  la realizzazione delle opere nei porti di cui
 alla  categoria  I  e  delle  opere  di  grande   infrastrutturazione
 (individuate,  al  comma nono, nelle costruzioni di canali marittimi,
 dighe  foranee  di  difesa, darsene, bacini e banchine, escavazione e
 approfondimento dei fondali) nei porti  di  cui  alla  categoria  II,
 classi  I  e  II,  ponendo,  invece,  a  carico della regione o delle
 regioni interessate, l'onere per la realizzazione delle stesse  opere
 nei rimanenti porti, quelli di cui alla categoria II, classe III.
    Ad avviso della ricorrente, la statuizione dei predetti oneri, con
 riferimento  sia  alle  opere relative ai fari sia a quelle di grande
 infrastrutturazione,  comporterebbe  una  invasione  della   potesta'
 legislativa ed amministrativa regionale, impedendo una disciplina, ad
 opera   delle  stesse  regioni,  che  preveda  una  piu'  equilibrata
 ripartizione,  nonche'  una  lesione  dell'autonomia  finanziaria  e,
 almeno  potenzialmente,  del principio di copertura finanziaria delle
 leggi.
    Considerazioni analoghe vengono svolte nel ricorso con riferimento
 all'art. 13, comma primo, lett. d), della legge n. 84 del  1994,  che
 elenca  tra  le  entrate delle autorita' portuali i "contributi delle
 regioni". Altro aspetto di tale censura sara' esposto  e  considerato
 al n. 7.
    2.1. - Le questioni non sono fondate.
    Al riguardo due considerazioni preliminari si impongono.
    La prima concerne la omessa indicazione, nel sesto comma dell'art.
 5 della legge impugnata, tra le opere di competenza statale, dei fari
 che,  figuravano,  invece, nella precedente formulazione dell'art. 88
 del d.P.R. n. 616 del 1977. Da tale omissione  la  ricorrente  desume
 l'attribuzione  delle opere in questione alla competenza regionale, e
 rileva che da cio' sarebbe dovuto  scaturire,  sia  pure  in  termini
 meramente  programmatici, la determinazione di corrispondenti risorse
 da assegnare alle regioni.
    Vero e', invece,  che  i  fari,  come  riconosciuto  dalla  stessa
 Avvocatura  dello  Stato,  sono,  nella  tradizionale  accezione  del
 termine, nelle strutture maggiori che interessano la sicurezza  della
 navigazione,  opere  di  preminente  interesse  nazionale  e  percio'
 tuttora rientranti, alla stregua del citato art. 88 del d.P.R. n. 616
 del 1977, nella competenza dello Stato, con relativo onere di spesa a
 carico di esso. Principio, questo,  che  la  legge  n.  84  del  1994
 conferma  all'art.  5,  comma  ottavo, in tema di realizzazione delle
 opere di grande infrastrutturazione nei porti di cui  alla  categoria
 II, classi I e II.
    La  seconda considerazione inerisce al presupposto dal quale muove
 la Regione ricorrente, secondo la quale l'ottavo  comma  dell'art.  5
 porrebbe  a  carico  della  Regione  oneri maggiori rispetto a quelli
 previsti dalla normativa anteriore. Invero la legge n. 84 attribuisce
 alla   competenza   statale,   quanto   alle    opere    di    grande
 infrastrutturazione,  l'onere  relativo  ai  porti  di  categoria II,
 classe I e classe II. Col risultato che, mentre i porti di  categoria
 II,  classe II, sono da attribuirsi alla competenza regionale in base
 all'art. 88, n. 1, d.P.R. n. 616  del  1977,  le  predette  opere  di
 grande  infrastrutturazione  negli  stessi  porti sono a carico dello
 Stato, in tal modo diminuendosi, in sostanza,  l'ambito  d'intervento
 per tali opere ed i relativi oneri incidenti sulla Regione.
    Non  altera  questa conclusione la previsione, nello stesso ottavo
 comma  dell'art.  5,  dell'intervento  delle  Regioni  "con   proprie
 risorse,   in   concorso  o  in  sostituzione  dello  Stato,  per  la
 realizzazione delle opere di grande infrastrutturazione nei porti  di
 cui alla categoria II, classi I e II".
    Si  tratta,  infatti,  di interventi rimessi alla discrezionalita'
 regionale,  che  hanno  carattere  facoltativo,  da  realizzarsi   in
 concorso  con  lo  Stato  o  in  sua  sostituzione,  alla  stregua di
 valutazioni dell'ente territoriale, che ne ampliano  le  possibilita'
 di intervento in base a sua autonoma scelta.
    2.2.  -  Del  pari infondata e' la censura mossa alla disposizione
 dell'art. 13, comma primo, lett.  d),  che  indica,  tra  le  risorse
 finanziarie delle autorita' portuali, i contributi delle regioni.
    Tale  disposizione  non  e' idonea a ledere l'autonomia normativa,
 amministrativa  e  finanziaria  della  Regione,  dato  che  essa  non
 costituisce alcuna contribuzione obbligatoria: si tratta, infatti, di
 contributi  volontariamente  erogabili  da  parte  dell'ente autonomo
 territoriale,  non  ignoti  alla  normativa  di  settore,   volti   a
 realizzare  iniziative  e  strutture,  interessanti  la  Regione e da
 questa liberamente adottabili e determinabili.  Ed  e'  significativo
 che  l'Avvocatura  dello  Stato  riconosca  la portata "semplicemente
 facoltizzante" di tali contributi. Non appare  priva  di  rilievo  la
 circostanza, gia' posta in evidenza da questa Corte (sent. n. 182 del
 1994),   della   esclusiva  valutazione  dell'ente  locale  circa  la
 eventuale destinazione di risorse finanziarie da parte dei  comuni  e
 delle province, in materia portuale.
    2.3. - Quanto alla censura mossa all'art. 28, ed in particolare ai
 commi  4,  5  e  6  di esso, che acquisiscono al bilancio dello Stato
 "proventi che costituiscono corrispettivi di  attivita'  portuali  in
 loco,   depauperando  ingiustificatamente  le  economie  locali",  e'
 fondato il rilievo dell'Avvocatura generale. Si tratta, nella specie,
 di acquisizione al bilancio dello Stato dei proventi di  tasse  e  di
 diritti  marittimi,  nonche'  della tassa di ancoraggio e della tassa
 sulle merci sbarcate e imbarcate. Data la natura tributaria  di  tali
 proventi,  la  destinazione  di  essi  allo  Stato  e  la conseguente
 devoluzione, totale o parziale, a  questo,  non  concreta  violazione
 all'autonomia  finanziaria  delle Regioni e degli altri enti autonomi
 territoriali interessati. (cfr. n. 7).
    3. - Infondata e' pure la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 4, quarto comma, che affida al solo Ministro dei  trasporti
 e   della   navigazione   la   determinazione,   con  decreto,  delle
 caratteristiche dimensionali,  tipologiche  e  funzionali  anche  dei
 porti  meramente  turistici  o collegati allo svolgimento della pesca
 nonche' l'appartenenza di ogni scalo alle classi.
    E' da premettere che tale provvedimento ministeriale ha  carattere
 meramente  classificatorio e, comunque, non esclude la partecipazione
 regionale.
    Lo stesso art.  4,  al  quinto  comma,  prevede  che  il  ministro
 trasmette  uno  schema  di decreto alle regioni, che esprimono parere
 entro i successivi novanta giorni, decorsi  interamente  i  quali  il
 parere  si  intende reso in senso favorevole. Inoltre, il sesto comma
 contempla  la  possibilita'  della  revisione  delle  caratteristiche
 dimensionali,  tipologiche  e  funzionali  di  cui  al  comma quarto,
 nonche'  della  classificazione  dei  singoli  scali,  su  iniziativa
 proprio delle regioni, oltre che di altre autorita' interessate.
    Gli  interventi della regione previsti dalla legge garantiscono in
 modo adeguato l'esigenza di partecipazione dell'ente al procedimento,
 che, tra l'altro, e' inteso al riscontro della sussistenza di criteri
 e di elementi di individuazione e di  classificazione  predeterminati
 dalla  stessa  legge.  Si  tratta  di  attivita'  di rilevazione e di
 descrizione,   in   gran   parte    ricognitoria,    a    svolgimento
 procedimentale;  l'attribuzione  dell'atto conclusivo al Ministro dei
 trasporti e  della  navigazione  non  e'  idonea  ad  incidere  sulla
 situazione  sostanziale  accertata  e  descritta,  ed  e' giustamente
 devoluta al predetto organo dello Stato anche  perche'  la  categoria
 II,  classi  I  e  II,  si  riferisce  a  porti e ad aree portuali di
 rilevanza economica internazionale e nazionale.
    4. - Infondata e' anche la  censura  relativa  all'art.  5,  comma
 undicesimo,  che  sottopone gli interventi da attuarsi dalle Regioni,
 in conformita' ai  piani  regionali  dei  trasporti  o  ai  piani  di
 sviluppo economico-produttivo, a "direttive di coordinamento" emanate
 dal   Ministro   dei   trasporti  e  della  navigazione.  Secondo  la
 ricorrente, tale  previsione  subordina  l'attivita'  spettante  alla
 Regione  ad un potere ministeriale improprio, in quanto estraneo alla
 tipica funzione governativa di indirizzo e coordinamento,  e  non  e'
 rispettosa  del  principio  di  legalita'  sostanziale  degli atti di
 indirizzo.
    Osserva la Corte che il potere e l'attivita' regionale, dei  quali
 si  censura  la  compressione,  ineriscono  all'attuazione  di  piani
 regionali dei trasporti o a piani  di  sviluppo  economico-produttivo
 (non meglio individuati o definiti); si tratta, comunque, di poteri e
 di  attivita' che si inquadrano e si realizzano nel contesto di altre
 previsioni normative di  carattere  economico-produttivo,  a  livello
 nazionale  e  regionale.  La  previsione del coordinamento tecnico di
 tali  iniziative  appare  conforme  alle  esigenze   della   migliore
 attuazione  degli  interventi  nel  loro  complesso. Il potere che il
 comma undicesimo dell'art. 5 attribuisce al Ministro dei trasporti  e
 della  navigazione e' inteso a realizzare questa finalita', ed avendo
 contenuto tecnico, puo' legittimamente esercitarsi (cfr.  sentt.  nn.
 355  del  1993  e  49  del  1991), prescindendo dall'osservanza delle
 prescrizioni  sostanziali   e   procedimentali   che   caratterizzano
 l'attivita'  tipica  di indirizzo e coordinamento, che non si esplica
 nel caso in esame.
    5. - Priva di fondamento appare, ancora, la impugnazione dell'art.
 18, in connessione con l'art. 13, primo comma,  lett.  a).  Il  primo
 attribuisce   alle   autorita'  portuali  o  marittime  i  poteri  di
 concessione alle imprese di aree e banchine per l'espletamento  delle
 operazioni portuali, nonche' di attivita' relative ai passeggeri e di
 servizi  di  preminente  interesse commerciale ed industriale. L'art.
 13, primo comma, lett.  a) fa riferimento, tra  l'altro,  al  potere,
 riconosciuto  alle  autorita'  portuali,  di  determinare i canoni di
 concessione demaniale  marittima  per  scopi  turistico-ricreativi  e
 canoni di concessione di aree destinate a porti turistici.
    Ad  avviso  della  Regione  Emilia-Romagna,  tali  poteri, oltre a
 sottrarre alle Regioni risorse attraverso le quali  avrebbero  potuto
 fronteggiare  gli  oneri  collegati alla realizzazione delle opere ad
 esse demandate dalla stessa legge, interferirebbero con le competenze
 regionali in materia di opere pubbliche. Al  riguardo  la  ricorrente
 sottolinea la circostanza che spesso la concessione non e' limitata a
 profili strettamente gestionali dell'attivita' portuale, ma comprende
 anche la costruzione di opere, con riferimento anche alla materia del
 turismo.  A tale ultimo riguardo, la ricorrente ricorda che l'art. 59
 del d.P.R. n. 616 del 1977 ha disposto la delega alle  regioni  delle
 funzioni  amministrative sul litorale marittimo, sulle aree demaniali
 immediatamente  prospicienti,  sulle  aree  del  demanio  lacuale   e
 fluviale  quando la utilizzazione prevista abbia finalita' turistiche
 e ricreative".
    Benche'  tale  delega  sia   rimasta   a   lungo   inattuata,   la
 disposizione,  osserva  la  Regione Emilia-Romagna, e' stata ribadita
 dal d.l. 5 ottobre 1993, n. 400, conv.,  con  modif.  nella  legge  4
 dicembre 1993, n. 494, che, all'art. 6, prevede che la delega diventi
 comunque  operativa  qualora  entro  un anno non siano effettuati gli
 adempimenti gia' previsti dall'art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977,  e
 dispone  che  da  tale termine le regioni provvedano al rilascio e al
 rinnovo delle concessioni demaniali marittime.
    E' da rilevare che le concessioni di cui e' questione, secondo  la
 norma   impugnata,   attengono   all'espletamento   delle  operazioni
 portuali, di  attivita'  relative  ai  passeggeri  e  di  servizi  di
 preminente  interesse  commerciale  e  industriale,  che sono attuate
 dalle imprese legittimate ai sensi dell'art. 16, terzo  comma,  della
 stessa legge n. 84.
    La  Regione  non  puo',  quindi, lamentare alcuna violazione della
 sfera delle competenze ad essa delegate, in  quanto  i  provvedimenti
 concessori  si  riferiscono  a  materie,  devolute  ad altri soggetti
 (autorita' portuale o, in mancanza, marittima) quanto  alla  gestione
 di  beni  del  demanio;  si  tratta  quindi di attribuzioni del tutto
 distinte da quella regionale. La delega operata in base all'art.  59,
 del  d.P.R.  n. 616 del 1977 e all'art. 6 del d.l. 5 ottobre 1993, n.
 400, attiene, invece, al  perseguimento  di  finalita'  turistiche  e
 ricreative,  e  legittima la Regione ad attuarle, se non ricorrano le
 condizioni previste nella seconda parte del primo comma e nel secondo
 comma dell'art. 59 cit.
    6.  -  Infondata,  e',  inoltre,  la  questione  di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  28,  comma settimo, in collegamento con il
 comma primo, sollevata sotto il profilo che le disposizioni impugnate
 prevedono un meccanismo di assunzione di oneri a carico dello  Stato,
 cui  si  collega  l'acquisizione  statale  di una entrata che sarebbe
 altrimenti del porto.
    Il primo comma dell'art. 28 dispone che le  rate  di  ammortamento
 relative  ai  mutui  contratti  dalle  organizzazioni  portuali al 31
 dicembre 1993 e le somme occorrenti per la copertura degli  ulteriori
 disavanzi per l'anno 1993, nonche' gl'importi relativi al trattamento
 di  fine  rapporto  dei  dipendenti  delle  organizzazioni  portuali,
 maturati  alla  medesima  data,  nel  limite  complessivo  di   mille
 miliardi,  sono posti a carico dello Stato, che provvede direttamente
 al relativo pagamento. Il settimo comma  dispone  che  fino  all'anno
 successivo  a  quello  di completamento dei pagamenti di cui al primo
 comma, nei porti ove e' istituita l'autorita'  portuale,  il  50  per
 cento  del  gettito  della  tassa  sulle  merci sbarcate ed imbarcate
 affluisce al bilancio dello Stato.
    Il complesso normativo costituito dal settimo e  dal  primo  comma
 dell'art.  28,  il  cui  contenuto  si  e'  ora esposto, non lede ne'
 l'autonomia amministrativa, ne' quella finanziaria della Regione.
    Lo  Stato  si  e'  assunto  l'onere  dell'ammortamento  dei  mutui
 contratti dalle organizzazioni portuali fino  al  31  dicembre  1993,
 nonche'  altri  oneri  finanziari  e  amministrativi  fino  al limite
 complessivo di mille miliardi. Nell'articolato e delicato sistema  di
 riorganizzazione  del  lavoro  portuale,  caratterizzato  nel momento
 centrale dalla trasformazione delle compagnie  portuali  in  imprese,
 con  le  conseguenti  implicazioni  in  ordine  alla  gestione  delle
 strutture umane e tecniche ad esse pertinenti, non appare  impropria,
 ne'  ingiustificata, ne' contrastante con gli invocati articoli della
 Costituzione la devoluzione allo Stato dei proventi della tassa sulle
 merci sbarcate e imbarcate (legge 9 febbraio 1963, n. 82,  capo  III,
 titolo  II  e  art. 1, della legge 5 maggio 1976, n. 355 e successive
 modificazioni), istituita in tutti i  porti;  tale  devoluzione,  nei
 porti ove e' costituita l'autorita' portuale, e' del 50 per cento dei
 proventi  stessi  fino all'anno successivo a quello del completamento
 dei pagamenti, di cui lo Stato si e' assunto - come gia' precisato  -
 gli oneri. Nel sistema dell'accollo degli oneri stessi da parte dello
 Stato  e  delle  relative implicazioni finanziarie, la devoluzione di
 detti proventi, che si acquistano dallo Stato a titolo tributario, e'
 corretta perche' reperisce, nell'ambito dello stesso sistema, i mezzi
 per far fronte ad oneri intesi al risanamento  ed  allo  sviluppo  di
 esso, che comportano notevoli costi e operazioni di non breve durata.
   7. - Frequente, nell'attuale ricorso della Regione Emilia-Romagna -
 puo' dirsi anzi ne costituisca il sottofondo continuo - e' la censura
 consistente  nella  attribuzione  alle  Regioni, da parte della legge
 impugnata, di competenze nella materia portuale, senza la  previsione
 dei  mezzi per farvi fronte (il riferimento e' soprattutto agli artt.
 13, primo comma, lett. d), 5, comma ottavo, 18, 28, settimo  e  primo
 comma,  ma  traspare  anche  in  relazione ad altre norme). Di qui la
 violazione in particolare dell'art. 81 della Costituzione, oltre  che
 degli  artt. 117, 118 e 119, espressamente indicati nell'epigrafe del
 ricorso.
    In aggiunta alle osservazioni specifiche  formulate  in  occasione
 delle  singole censure, la Corte sottolinea, concludendo, la mancanza
 di fondamento anche di tale profilo.
    La legge n. 84, nel disegnare il riordino  della  legislazione  in
 materia   portuale,   di   cui   si   auspica   l'integrazione  e  il
 completamento,  ha  considerato  il  ruolo  delle  diverse  strutture
 pubbliche  implicate, statali, regionali e subregionali, con le rela-
 tive  attribuzioni  nella  materia  stessa.  Nella  disciplina  delle
 competenze dei soggetti ora detti e nella salvaguardia dell'autonomia
 di essi, soprattutto di quelli diversi dallo Stato, e', senza dubbio,
 essenziale  la considerazione del momento economico e finanziario. Ma
 tale elemento non e' strettamente e necessariamente collegato con  la
 legge  che prevede attribuzioni e competenze. Queste ultime, infatti,
 si collocano nel quadro dei soggetti chiamati ad attuare le finalita'
 della legge, ed e' sufficiente una indicazione  di  esse,  per  cosi'
 dire,  pura,  non  necessariamente  connessa  con la valutazione e le
 implicazioni del se e del quando dell'attuazione di modalita'  e  dei
 mezzi per farvi fronte.
    E'  nella  fase  propriamente  operativa,  che  puo'  anche essere
 regolata per legge (ad  esempio,  previsione  unitaria  di  complessi
 organici  di  opere  portuali, per restare nel tema), che gli aspetti
 finanziari vanno  approfonditamente  valutati;  ad  essi  puo'  farsi
 fronte  con  mezzi previsti dalla stessa legge attuativa o con quelli
 afferenti ai fondi statali e regionali ed  alle  istanze  finanziarie
 proprie  dello  Stato delle Regioni, nella rispettiva autonomia e nel
 necessario coordinamento.
    A questi criteri si e' ispirata la Corte, quando  si  e'  occupata
 dei requisiti delle leggi di spesa ("di nuove e maggiori spese" e dei
 "mezzi per farvi fronte": cfr. sentt. nn. 123 e 356 del 1992; ord. n.
 69  del  1989;  sent. n. 12 del 1987) nel regolare il conferimento di
 attribuzioni  e  di  competenze.  Invece,  non  riferita  a  concrete
 esplicazioni o comunque alla fase della attuazione, l'indicazione dei
 mezzi  non  trova  nella  legge  che provvede al mero conferimento di
 attribuzioni la sede propria, alla stregua dello stesso quarto  comma
 dell'art.  81 della Costituzione (cfr. sentt. n. 357 del 1993; n. 123
 e n. 356 cit. del 1992).
    Anche sotto questo aspetto, la censura, considerata  autonomamente
 nei suoi profili generali, non e', pertanto, fondata.