ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1-sexies,
 secondo  comma,  della  legge  8  agosto  1985,  n. 431-rectius: art.
 1-sexies, secondo comma, del decreto-legge 27  giugno  1985,  n.  312
 (Disposizioni  urgenti  per  la  tutela  delle  zone  di  particolare
 interesse ambientale), introdotto dalla legge di conversione 8 agosto
 1985, n. 431 (Conversione in legge, con modif. del  decreto-legge  27
 giugno 1985, n. 312, recante disposizioni urgenti per la tutela delle
 zone  di  particolare interesse ambientale. Integrazioni dell'art. 82
 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977,  n.  616)
 -,  promosso  con  ordinanza emessa il 4 novembre 1993 dal Pretore di
 Vicenza - Sezione distaccata di Schio -  nel  procedimento  penale  a
 carico  di  Dorigato  Giacomino,  iscritta  al  n.  785  del registro
 ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 22 giugno 1994 il Giudice
 relatore Gabriele Pescatore.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il Pretore di Vicenza - Sez. distaccata di Schio - nel  corso
 del procedimento penale a carico di Dorigato Giacomino, imputato, tra
 l'altro,  del  reato  di cui agli artt. 1-sexies della legge 8 agosto
 1985, n. 431 e 20, lett. c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per
 avere  eseguito  opere  edilizie  in  zona   sottoposta   a   vincolo
 paesaggistico e idrogeologico senza essere in possesso di concessione
 edilizia e di autorizzazione ambientale, con ordinanza del 4 novembre
 1993  (R.O. n. 785 del 1993), ha sollevato, in riferimento all'art. 3
 della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  1-sexies, secondo comma, della legge 8 agosto 1985, n. 431
 (rectius, dell'art. 1-sexies, secondo comma, d.l. 27 giugno 1985,  n.
 312, introdotto dall'art. 1 della legge di conversione 8 agosto 1985,
 n. 431).
    Il Pretore premette che, nel corso del dibattimento, l'imputato ha
 prodotto   copia   della   concessione   in   sanatoria,  nonche'  un
 provvedimento  dell'amministrazione   provinciale   che,   ai   sensi
 dell'art.  15  della legge n. 1497 del 1939, ha irrogato una sanzione
 pecuniaria senza ordinare la rimessione in pristino.
    A norma del secondo comma dell'art. 1-sexies  impugnato,  prosegue
 l'ordinanza,   il  giudice  ha  l'obbligo,  in  caso  di  riscontrata
 violazione alla c.d. legge Galasso, di ordinare, con la  sentenza  di
 condanna, la rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi
 a  spese  del  condannato,  con  esclusione di ogni valutazione delle
 determinazioni  che,  in  ordine   alla   medesima   vicenda,   hanno
 legittimamente  adottato  le autorita' amministrative territoriali, a
 vario  titolo  competenti,  e  dotate  di  poteri  di programmazione,
 pianificazione e gestione del territorio.
    In tal modo, si sottoporrebbe ad un ingiustificato regime punitivo
 l'imputato, che, dopo aver versato contributi e  sanzioni  pecuniarie
 per  l'ottenimento  di  una  sanatoria,  sarebbe  comunque sottoposto
 all'ordine di demolizione da parte del giudice.
    Il Pretore si fa carico della sentenza della Corte  costituzionale
 n.  376  del  1993,  che  ha  dichiarato infondata altra questione di
 costituzionalita' della medesima norma, ma rileva che in quel caso il
 parametro  alla  cui  stregua  e'  stata  compiuta  la  verifica   di
 costituzionalita'  era  l'art. 97 della Costituzione. In questo caso,
 invece, si tratta del principio di  ragionevolezza  e  di  quello  di
 uguaglianza,  sotto  il  profilo del divieto di uguale trattamento di
 situazioni disomogenee. Ne' sembra al giudice remittente sufficiente,
 per sottrarre la norma censurata al sospetto  di  illegittimita',  il
 riferimento, operato dalla Corte in occasione di precedenti pronunce,
 alla  congruita'  e ragionevolezza della disciplina complessiva della
 c.d. legge Galasso per il suo palese carattere interinale, posto  che
 tale   normativa,   pur   introdotta   con  decreto-legge,  e'  ormai
 consolidata e che  comunque,  nel  giudizio  a  quo,  l'imputato  non
 potrebbe  trarre alcun giovamento da un eventuale, tardivo intervento
 del legislatore.
    2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 ministri  con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che
 ha concluso per la infondatezza della questione,  richiamandosi  alla
 sentenza  della  Corte costituzionale n. 67 del 1992, che ha ritenuto
 non  irragionevole  la  disciplina  sanzionatoria  di  cui   all'art.
 1-sexies della legge n. 431 del 1985, nonche' all'importanza primaria
 del   valore  ambientale  presidiato  dalla  norma  in  questione  e,
 comunque, alla considerazione che  la  obbligatorieta'  della  misura
 ripristinatoria  de  qua  rientra  nell'ambito della discrezionalita'
 legislativa.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Pretore di  Vicenza  -  Sez.  distaccata  di  Schio  -  ha
 impugnato,  in  riferimento  all'art.  3  della  Costituzione, l'art.
 1-sexies, secondo comma, del d.l. 27 giugno 1985, n. 312,  introdotto
 dalla  legge di conversione 8 agosto 1985, n. 431. Tale norma prevede
 l'obbligo, anziche' la facolta', del giudice, in caso di condanna per
 l'esecuzione di interventi  edilizi  in  zone  sottoposte  a  vincolo
 paesaggistico  in  assenza  di  previa autorizzazione, di ordinare il
 ripristino dello stato originario dei luoghi a spese del condannato.
    Tale obbligo si porrebbe  in  contrasto  con  il  principio  della
 ragionevolezza,  nonche'  con quello di eguaglianza, sotto il profilo
 del divieto di attribuzione di un medesimo trattamento  sanzionatorio
 a  situazioni  tra  loro  differenti.  Intervenendo  la  accessoria e
 necessaria condanna alla rimessione in pristino anche laddove nessuna
 lesione sostanziale degli interessi ambientali sia dato  individuare,
 al   giudice   sarebbe   inibita  ogni  valutazione  in  ordine  alle
 determinazioni adottate dalle autorita'  amministrative,  che,  nella
 loro  qualita'  di  enti di pianificazione e gestione del territorio,
 abbiano emesso, sia pure in sanatoria, i provvedimenti autorizzatori,
 esprimendo un giudizio  di  sostanziale  inidoneita'  delle  opere  a
 ledere interessi di carattere primario.
    2. - La questione e' infondata.
   La  Corte,  con  la  sentenza n. 269 del 1993, ha gia' sottoposto a
 vaglio di legittimita' costituzionale la disciplina di  cui  all'art.
 1-sexies, aggiunto al d.l. n. 312 del 1985 dalla legge di conversione
 n. 431 dello stesso anno, per effetto della quale viene punito con le
 stesse  severe  sanzioni  ogni  intervento edilizio compiuto senza la
 previa autorizzazione paesistica, indipendentemente dalla circostanza
 che questa sia successivamente intervenuta.
    La sottoposizione  a  sanzione  penale  di  opere  autorizzate  in
 sanatoria  e'  stata,  in  quella  occasione, ritenuta legittima alla
 stregua del carattere formale e  di  pericolo  -  riconosciuto  dalla
 giurisprudenza  -  del reato previsto dall'art. 1-sexies, consistente
 nella condotta di chi compie qualsiasi modificazione dell'assetto del
 territorio senza autorizzazione, a prescindere dalla presenza  di  un
 danno paesistico concretamente sussistente nel caso specifico. La ra-
 tio   di  tale  indirizzo  sta  nella  valutazione  che  l'integrita'
 ambientale e' un bene unitario che puo' risultare  compromesso  anche
 da  interventi  minori,  e  che va, pertanto, salvaguardato nella sua
 interezza: sicche', in relazione ad opere eseguite in violazione  dei
 vincoli   paesaggistici,  i  provvedimenti  autorizzatori  emessi  in
 sanatoria non estinguono il reato, come e', invece, previsto, per  le
 violazioni  edilizie,  dall'art.  22,  terzo  comma,  della  legge 28
 febbraio 1985, n. 47.
    Sulla base di conformi valutazioni, deve  ritenersi  infondata  la
 censura  di  irragionevolezza della norma di cui al secondo comma del
 citato art. 1-sexies, che impone al giudice, in caso di condanna  per
 violazione  delle  disposizioni  di  cui  alla c.d. legge Galasso, di
 ordinare la rimessione in pristino dello stato originario dei  luoghi
 a  spese  del condannato, indipendentemente dalla eventuale sanatoria
 concessa dall'autorita' amministrativa.
    Il predetto obbligo a carico del  giudice,  imposto  per  la  piu'
 incisiva  tutela  di  un  interesse  primario della collettivita', si
 colloca su di un piano diverso ed  autonomo  rispetto  a  quello  dei
 poteri  della  p.a.  e delle valutazioni della stessa, configurandosi
 quale  conseguenza  necessaria  del  giudizio  di  disvalore  che  il
 legislatore  ha  dato  dell'attuazione di interventi modificativi del
 territorio in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, in difetto  di
 una previa verifica di compatibilita' ambientale, e della esigenza di
 un completo recupero della integrita' dell'interesse tutelato.
    Del  resto,  la impugnativa dell'art. 1-sexies, secondo comma, del
 d.l. n. 312 del 1985, sia pure con riferimento al  diverso  parametro
 di  cui  all'art.  97  della  Costituzione,  basata  sul  rilievo che
 l'obbligatoria rimessione in pristino determinerebbe  una  situazione
 di   incompatibilita'  giuridica  con  l'autorizzazione  che  venisse
 successivamente conferita,  e'  stata  rigettata  dalla  Corte  nella
 considerazione  che  l'esercizio  della  funzione  giurisdizionale si
 colloca  in  ambito  diverso  ed  estraneo  alla  tematica  del  buon
 andamento dell'amministrazione (sent. n. 376 del 1993).
    Va,  tuttavia,  ribadito  quanto  gia'  rilevato dalla Corte nella
 citata sentenza n. 269 del 1993,  in  ordine  ai  problemi  sollevati
 dall'applicazione della normativa sulla protezione ambientale ed alla
 opportunita'  che  il  legislatore provveda al riesame complessivo di
 tale disciplina.