ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 310, comma 3,
 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa  il  16
 marzo   1993   dal   Tribunale  della  liberta'  di  Reggio  Calabria
 sull'appello proposto dal pubblico ministero presso il  Tribunale  di
 Reggio  Calabria  avverso  l'ordinanza  del  giudice  per le indagini
 preliminari nei confronti di Pannuti Luigi, iscritta al  n.  808  del
 registro  ordinanze  1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  dell'8 giugno 1994 il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto che il Tribunale di Reggio Calabria, in sede  di  appello
 proposto  dal pubblico ministero avverso un'ordinanza del giudice per
 le indagini preliminari con la quale era stata rigettata la richiesta
 di applicazione di una misura cautelare coercitiva nei  confronti  di
 un indagato, ha sollevato, con ordinanza del 16 marzo 1993 (pervenuta
 a  questa  Corte  il  27  dicembre  1993),  questione di legittimita'
 costituzionale dell'art.  310,  comma  3,  del  codice  di  procedura
 penale, in riferimento agli artt. 3, 13 e 76 della Costituzione;
      che  ad  avviso  del  rimettente  la  norma  impugnata, la quale
 stabilisce  che  "l'esecuzione  della  decisione  con  la  quale   il
 tribunale,  accogliendo l'appello del pubblico ministero, dispone una
 misura cautelare e' sospesa fino a che la decisione non sia  divenuta
 definitiva", sarebbe in contrasto:
        a)  con  l'art.  76  della  Costituzione, per violazione della
 delega quanto al principio della equiparazione  delle  posizioni  tra
 accusa  e  difesa  (art. 2, direttiva 3) della legge-delega n. 81 del
 1987),  nel  raffronto  con  l'opposta  eseguibilita'  immediata  dei
 provvedimenti che pongono in liberta' l'imputato (o indagato);
        b)  con  l'art.  76  della  Costituzione, per violazione della
 delega quanto alla direttiva 59) della legge n. 81 del  1987  citata,
 che,  prevedendo  solo  il  principio  dell'esecuzione  immediata dei
 provvedimenti liberatori,  non  avrebbe  autorizzato  il  legislatore
 delegato   a   introdurre   l'opposta   norma   impugnata  quanto  ai
 provvedimenti restrittivi, ed anzi lo avrebbe implicitamente escluso,
 avuto  riguardo  alla  novita'  di  simile  previsione  nel   sistema
 processuale e alla sua notevole incidenza sulle esigenze fondamentali
 di  acquisizione  probatoria  e  sviluppo delle indagini sottese alla
 cautela, la cui finalita' verrebbe ad essere di fatto  vanificata  da
 un  provvedimento  inutile  e  addirittura  incentivante  la  fuga  o
 l'inquinamento dell'indagine;
        c)  con  l'art.  3  della  Costituzione,  perche' "si registra
 un'assurda disparita' di  poteri  tra  il  giudice  per  le  indagini
 preliminari    ed   il   tribunale   della   liberta'"   accordandosi
 l'esecutivita' alla misura  disposta  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  (giudice  monocratico),  senza previo contraddittorio, e
 viceversa negandola alla misura disposta  dall'organo  collegiale  in
 sede di appello, all'esito di contraddittorio;
        d) con l'art. 13 della Costituzione, per la distorsione che la
 norma  impugnata,  con  la  riferita prospettiva di vanificazione del
 provvedimento, puo' indurre,  nell'ambito  delle  determinazioni  del
 giudice  d'appello,  che  devono  essere  correlate  alla complessiva
 valutazione del quadro delle esigenze  cautelari  da  effettuarsi  al
 momento  della  decisione  medesima,  pena  l'adozione  di una misura
 svincolata  dai  criteri  (adeguatezza,  proporzionalita')  legali  e
 dunque di una restrizione di liberta' non giustificata;
      che  e'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  che  ha  concluso  per una declaratoria di infondatezza delle
 questioni;
    Considerato che, in relazione all'asserito contrasto con l'art. 76
 della  Costituzione  per  violazione  della  legge-delega,  la  norma
 impugnata  rappresenta  un  adeguato  elemento  di  riempimento  e di
 completamento delle scelte del  legislatore  delegante  (sentenze  n.
 237/1993,  n.  4/1992) costituendo espressione del principio generale
 del  processo  penale,   tradizionalmente   definito   come   effetto
 sospensivo  dell'impugnazione (art. 588, comma 1, del nuovo codice di
 procedura penale);
      che  l'esplicitazione  di  detta  regola   in   apposita   norma
 all'interno  della  disciplina dell'appello de libertate risulta, nel
 nuovo   codice,   necessitata   in   ragione    della    formulazione
 dell'antitetica  previsione  di cui all'art. 588, comma 2, del codice
 medesimo;  norma,  quest'ultima,  del  tutto   nuova   ed   originata
 dall'opportuno intento di concentrare in un principio e ricondurre ad
 unita'  il  frammentario  quadro  della  precedente  disciplina delle
 impugnazioni dei provvedimenti in materia di liberta' personale;
     che, in questa prospettiva, la norma del nuovo  codice  impugnata
 non risulta innovativa, nel senso dedotto dal giudice a quo, giacche'
 l'impostazione di sintesi delle norme sopra richiamate, in termini di
 regola  (effetto  sospensivo dell'impugnazione), eccezione (art. 588,
 comma 2) e ritorno alla regola (art. 310, comma 3),  non  differisce,
 per  questo  aspetto,  dal precedente sistema: in questo, infatti, la
 giurisprudenza, cosi' anteriore come successiva alla legge n. 532 del
 1982 istitutiva del  tribunale  della  liberta'  e  del  rimedio  del
 riesame,   ha   pressoche'   costantemente  affermato  l'operativita'
 dell'effetto sospensivo dell'appello  in  caso  di  accoglimento  del
 gravame del pubblico ministero avverso un provvedimento - del giudice
 istruttore  - di contenuto favorevole all'imputato (revoca del titolo
 detentivo; scarcerazione  per  qualsiasi  motivo;  concessione  della
 liberta'  provvisoria  o  remissione  in  liberta'),  in applicazione
 dell'art. 205 del codice di procedura penale abrogato, corrispondente
 all'art. 588, comma 1, del codice vigente;
      che i rilievi che precedono, indicativi di  una  continuita'  di
 disciplina   sugli   effetti   sostanziali  dell'impugnazione  di  un
 provvedimento sullo status libertatis, fanno venir meno  la  premessa
 da  cui muove l'ordinanza di rinvio, circa l'asserita "novita'" della
 norma  impugnata,  per sostenere la violazione del divieto desumibile
 dal silenzio del legislatore delegante nella direttiva n.  59)  della
 legge  n.  81  del  1987; difatti la norma impugnata si atteggia come
 coerente con il meccanismo delle impugnazioni in generale e  altresi'
 come funzionalmente orientata nella stessa direzione della norma alla
 quale  fa  eccezione (art. 588, comma 2), poiche' entrambe si fondano
 sul principio del favor libertatis e sull'eccezionalita' del  ricorso
 agli  strumenti  di restrizione della liberta' personale (sentenza n.
 349/1993), desumibile proprio dalla direttiva n. 59) citata;
      che le considerazioni da ultimo formulate orientano altresi' nel
 senso della esclusione del profilo di contrasto con il  principio  di
 parita'  delle  parti  nel  processo penale, poiche', diversamente da
 quanto sostiene il giudice rimettente, l'accordato rilievo  al  favor
 libertatis    costituisce    motivo   idoneo   e   sufficiente   alla
 diversificazione di disciplina quanto alla eseguibilita' immediata  o
 meno  dei  provvedimenti  di  contenuto rispettivamente liberatorio o
 restrittivo adottati in sede di appello; non e' invero  imposta,  dal
 principio  di  parita' fra le parti invocato, l'assoluta identita' di
 poteri  e  posizioni  del  pubblico  ministero  e  dell'imputato   (o
 indagato),  ed  anzi sono consentite quelle alterazioni della parita'
 necessarie a dare completo sviluppo a esigenze o finalita'  anch'esse
 costituzionalmente  rilevanti  (sentenze  n. 98/1994, n. 363/1991, n.
 110/1986);
      che,  per  quanto  concerne  il  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione,  l'ordinanza,  sia pur con formulazione incerta, sembra
 prospettare  due  profili,  entrambi  infondati,  e  cioe'   uno   di
 disparita' di trattamento ed uno di irragionevolezza;
      che,  sotto  il  primo  profilo,  va  rilevato  che  tra  organi
 giurisdizionali non sono  configurabili  problemi  di  disparita'  di
 trattamento  costituzionalmente  rilevanti  perche'  l'art.  3  della
 Costituzione concerne l'eguaglianza fra soggetti,  un  aspetto  cioe'
 non  apprezzabile  nel  confronto  tra  organi  giurisdizionali i cui
 poteri sono determinati dalle scelte del legislatore, sindacabili  in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione solo sotto il profilo della
 ragionevolezza;
      che,  sotto questo profilo, va rilevato che il diverso regime di
 eseguibilita' dei provvedimenti  cautelari  concernenti  la  liberta'
 personale   non   si   basa  su  una  arbitraria  determinazione  del
 legislatore nel connotare i provvedimenti adottati dal giudice per le
 indagini preliminari (a quo) in modo difforme da quelli di competenza
 del tribunale della liberta' (ad quem) in  sede  di  appello,  bensi'
 trova   ragionevole   spiegazione  nella  ontologica  diversita'  che
 sussiste tra il momento  genetico  della  cautela  ed  il  momento  -
 necessariamente successivo - del controllo sul suo diniego;
      che,   infatti,   diversa  risulta  nei  due  casi  l'intensita'
 dell'urgenza della esecuzione del  provvedimento,  in  ragione  della
 presenza  solo nel primo caso, e non nel secondo, dell'elemento della
 c.d. "sorpresa", cui consegue coerentemente  un  diverso  atteggiarsi
 delle  regole  del  contraddittorio  (sentenza  n.  219/1994)  ed una
 differenziata scansione temporale  del  procedimento  (i  termini  ex
 artt. 310 e 311 c.p.p. essendo di carattere ordinatorio);
      che,  quindi, in modo non irragionevole il legislatore delegato,
 in presenza di questa divaricazione di  fondo,  ha  valorizzato  -  a
 differenza   che  nel  provvedimento  del  giudice  per  le  indagini
 preliminari  -  la  ratio  di  favore  per  l'indagato  o   imputato,
 ritenendola   prevalente,   non  sussistendo  l'esistenza  di  quella
 "sorpresa"  che  costituisce   la   ragione   fondante   l'esecuzione
 immediata,  ed esercitando cosi' una opzione, non censurabile in sede
 di sindacato di costituzionalita',  nel  bilanciamento  tra  -  ormai
 affievolite  -  esigenze  di  operativita' della cautela e ragioni di
 garanzia, sottolineate, queste ultime, dal dato non  indifferente  di
 una  preesistente  pronuncia  di  un organo giurisdizionale reiettiva
 della "domanda cautelare" sollecitata dal pubblico ministero;
      che, infine, il richiamo del parametro di cui all'art. 13  della
 Costituzione  risulta inconferente, una volta rispettato - come nella
 specie - il canone di riserva alla  legge  dei  presupposti  e  delle
 condizioni  di  restrizione  della  liberta'  personale,  non potendo
 venire in rilievo, per questo parametro, se  non  come  patologie  di
 fatto,  considerazioni  soggettive  dell'organo giudicante dissonanti
 rispetto a detti presupposti e condizioni;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.