ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 585, secondo
 comma, lett.  c),  del  codice  di  procedura  penale,  promosso  con
 ordinanza  emessa  l'8  novembre 1993 dalla Corte d'Appello di Reggio
 Calabria nel procedimento penale a carico di Cudia Mariano,  iscritta
 al  n.  71  del  registro  ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n.  11,  prima  serie  speciale  dell'anno
 1994;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 22 giugno 1994 il Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Ritenuto che nel corso del procedimento penale  nei  confronti  di
 Cudia  Mariano,  la Corte d'Appello di Reggio Calabria, con ordinanza
 dell'8 novembre 1993 (R.O. n. 71/1994), ha sollevato, in  riferimento
 agli  artt.  3  e 24 della Costituzione, la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 585, secondo comma, lett. c) del  codice  di
 procedura penale;
      che nell'ordinanza di rimessione si premette che con dispositivo
 letto  all'udienza del 18 maggio 1992 il Tribunale di Reggio Calabria
 aveva dichiarato non doversi procedere  nei  confronti  dell'imputato
 per  intervenuta  amnistia;  che  la sentenza era stata depositata il
 successivo 11 giugno 1992, senza  che  in  seguito  fosse  notificato
 avviso  all'imputato ed ai suoi difensori; che nel corso del giudizio
 di appello - proposto dal difensore dell'imputato in data 16  ottobre
 1992   -   i   difensori   delle   parti   civili   avevano  eccepito
 l'inammissibilita' dell'appello dell'imputato sotto il profilo  della
 sua  tardivita',  e  cio'  alla stregua dell'art. 585, secondo comma,
 lett. c), del vigente codice di procedura penale, secondo il quale il
 termine per proporre  appello  decorre  dalla  scadenza  del  termine
 stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della
 sentenza, ovvero, nel caso previsto dall'art. 548, secondo comma, dal
 giorno  in  cui e' stata eseguita la notificazione e la comunicazione
 dell'avviso di deposito;
      che, secondo  il  giudice  a  quo,  con  la  locuzione  "termine
 stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della
 sentenza",   contenuta  nella  norma  impugnata,  il  legislatore  fa
 riferimento, rispettivamente, ai termini di cui al  secondo  e  terzo
 comma   dell'art.   544   del  codice  di  procedura  penale,  mentre
 l'originario  termine  di  trenta  giorni,  previsto  dall'art.  544,
 secondo  comma,  per il deposito della sentenza, ove la stesura della
 motivazione non sia stata coeva  alla  lettura  del  dispositivo,  e'
 stato  successivamente ridotto dall'art. 6 del decreto-legge 1› marzo
 1991, n. 60, convertito  dalla  legge  22  aprile  1991,  n.  133,  a
 quindici giorni;
      che,  sempre  ad  avviso  del  giudice  remittente,  a causa del
 mancato adeguamento del termine di trenta giorni  indicato  dall'art.
 548,  secondo  comma,  del  codice  di procedura penale al termine di
 quindici giorni previsto per il  deposito  della  sentenza  dall'art.
 544,  secondo  comma, del medesimo codice, l'art. 585, secondo comma,
 lett. c), impugnato darebbe  vita  ad  una  irragionevole  disciplina
 uniforme  di  situazioni  tra  loro  differenti, facendo decorrere il
 termine di impugnazione della sentenza dal 15› giorno  dalla  lettura
 del  dispositivo  anche  nell'ipotesi  di  deposito della motivazione
 avvenuto  in  epoca  compresa  fra  il  15›  e  il 30› giorno da tale
 lettura, con una conseguente lesione del diritto di  difesa  connesso
 al  fatto che - sempre nell'ipotesi di deposito della sentenza tra il
 15› e  il  30›  giorno  -  non  sarebbe  richiesta  la  notificazione
 dell'avviso di deposito alle parti private, in violazione degli artt.
 3 e 24 della Costituzione;
    Considerato  che la Corte, con la sentenza n. 364/1993, esaminando
 una questione analoga a quella sollevata nel  presente  giudizio,  ha
 gia'  affermato - con riferimento alla incongruenza venutasi a creare
 a causa della mancanza di coordinamento normativo tra il nuovo  testo
 dell'art.  544,  secondo  comma, del codice di procedura penale (come
 modificato dall'art. 6 del decreto-legge n. 60 del  1991,  convertito
 dalla  legge  n.  133  del  1991),  e  l'art. 548, secondo comma, del
 medesimo codice - che le incertezze  che  derivano  da  tale  mancato
 coordinamento    sono    state    superate   dall'univoco   indirizzo
 interpretativo adottato in merito dalla Corte di cassazione,  che  ha
 operato  una  ricostruzione  sistematica della normativa in questione
 giungendo ad affermare che la revisione dell'art. 544, secondo comma,
 introdotta dall'art. 6 del decreto-legge n.  60  del  1991  ha  anche
 modificato,  in  senso  conforme,  l'art.  548, secondo comma, con la
 conseguenza che "l'avviso di deposito deve essere  effettuato  quando
 la  sentenza  non  e' depositata entro il quindicesimo giorno, invece
 dell'originario trentesimo giorno" (Cass. Sez. V,  8  febbraio  1993;
 Cass. Sez. I, 4 dicembre 1992);
      che  questa  Corte  nella  sentenza  citata  ha conseguentemente
 affermato che secondo il diritto vivente la normativa richiamata "non
 ha l'effetto di ridurre il termine di  trenta  giorni  per  impugnare
 assegnato  alle parti dall'art. 585, primo comma, lett. b) del codice
 di  procedura  penale  poiche'   -   nel   caso   di   sentenza   non
 contestualmente  motivata  e  depositata oltre il quindicesimo giorno
 dalla pronuncia  -  va  comunque  notificato  alle  parti  stesse  (e
 comunicato  al  pubblico  ministero)  l'avviso di deposito, mentre il
 termine per  l'impugnazione  decorre  dal  giorno  in  cui  e'  stata
 eseguita la notificazione (o la comunicazione) dell'avviso stesso";
      che,  pertanto,  l'art, 585, secondo comma, lett. c), del codice
 di procedura penale non lede il diritto di difesa, sancito  dall'art.
 24  della  Costituzione,  dal  momento  che,  diversamente  da quanto
 sostenuto nell'ordinanza di rimessione, l'obbligo  di  notifica  alle
 parti   dell'avviso   di   deposito  della  sentenza  sussiste  anche
 nell'ipotesi in cui questa sia depositata in epoca  compresa  tra  il
 quindicesimo  e  il  trentesimo giorno dalla lettura del dispositivo;
 che la stessa norma non  risulta  neppure  lesiva  del  principio  di
 uguaglianza,  dal  momento che, per quanto affermato nella richiamata
 sentenza n. 364 del 1993, il  termine  per  impugnare,  nel  caso  di
 sentenza  depositata  oltre  il  quindicesimo giorno dalla pronuncia,
 comincia comunque a decorrere dal giorno in cui e'  stato  notificato
 alla  parte  l'avviso  di  deposito,  con  la  conseguenza che non si
 verifica la disparita' lamentata dal  giudice  remittente  in  ordine
 alla decorrenza del termine di impugnazione;
      che,  pertanto,  la  questione  sollevata deve essere dichiarata
 manifestamente infondata.
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.