IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso in appello proposto dall'Ente nazionale previdenza ed assistenza medici (E.N.P.A.M.), con sede in Roma, via Torino n. 38, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso (gia') dall'avv. Giancarlo Tedeschi con elezione di domicilio presso l'ufficio legale E.N.P.A.M., in Roma, via Torino n. 38 e successivamente) all'avv. Giuseppe de Vergottini ed elettivamente domiciliato nel suo studio in Roma via N. Porpora n. 3, per procura in calce ad atto di costituzione depositato il 30 novembre 1993, appellante, contro Mario Calderale, costituito in giudizio col patrocinio degli avv.ti Anna Maria Marchio e Teresa Garibaldi ed elettivamente domiciliato nello studio di quest'ultima in Roma, via Domenico Lupatelli, 62, appellato resistente, per l'annullamento della sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione terza, n. 314 del 28 febbraio 1990, con la quale e' stato dichiarato il diritto di Mario Calderale al computo dell'indennita' integrativa speciale ai fini della liquidazione dell'indennita' di anzianita' ed e' stato condannato l'ente al pagamento delle somme non corrisposte unitamente a rivalutazione monetaria ed interessi; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'appellato; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Data per letta alla pubblica udienza dell'11 febbraio 1994 la relazione del consigliere Chiarenza Millemaggi Cogliani e udito, altresi', l'avv. Ciociola, in sostituzione dell'avv. De Vergottini; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue; F A T T O Mario Calderale, con atto notificato il 16 settembre 1986, proponeva ricorso davanti al tribunale amministrativo regionale del Lazio per l'accertamento del diritto al computo dell'indennita' integrativa speciale nell'indennita' di anzianita' e per la condanna dell'E.N.P.A.M. al pagamento delle somme non corrisposte, con interessi e rivalutazione. Con sentenza n. 314 del 28 febbraio 1990 il tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione terza, accoglieva il ricorso. L'E.N.P.A.M., avverso tale sentenza, ha proposto appello, deducendo l'erroneita' della stessa, in quanto fondata sulla asserita inapplicabilita' del divieto di computo stabilito dall'art. 1 della legge 27 maggio 1959, n. 324, (istitutiva dell'indennita' integrativa speciale) ai fini della determinazione dell'indennita' di fine rapporto per i dipendenti degli enti pubblici non economici, non avente natura previdenziale. Esso sostiene in contrario che, se pure e' vero che l'art. 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70, nel disciplinare il rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti pubblici considera, quale parametro ai fini del computo dell'indennita' di anzianita', lo stipendio annuo complessivo in godimento, tuttavia resta fermo il fatto che la disposizione dell'art. 1, terzo comma, della legge 27 maggio 1959, n. 324, e' esteso al personale di tali enti, con la conseguente esclusione della computabilita' dell'indennita' integrativa speciale per gli stessi fini. Nel giudizio si e' costituito l'appellato, resistendo all'impugnazione, e, chiamata la causa una prima volta in decisione alla pubblica udienza del 13 dicembre 1991, il Consiglio di Stato, sesta sezione, con ordinanza n. 314 del 1992, sospeso il giudizio, ha trasmesso gli atti alla Corte costituzionale, in quanto applicabile al personale degli enti pubblici non economici il divieto di computo di cui trattasi, ritenendo al riguardo, rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 36 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale degli art. 1, lett. b), della legge 27 maggio 1959, n. 324, e 3 e 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, nella parte in cui non consentono di comprendere l'indennita' integrativa speciale nel computo dell'indennita' di buonuscita per i dipendenti dello Stato. La Corte costituzionale, pronunciandosi, fra l'altro, sull'anzidetta questione, con sentenza 19 maggio 1993, n. 243, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, terzo comma, lettere b) e c), della legge 27 maggio 1959, n. 324, degli artt. 3 e 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, e degli artt. 13 e 26 della legge 20 marzo 1975, n. 70, nella parte in cui non prevedono, per i trattamenti di fine rapporto ivi considerati, meccanismi legislativi di computo dell'indennita' integrativa speciale "secondo i principi ed i tempi indicati in motivazione", con l'avvertenza (in motivazione) che tale dichiarazione comporta il riconoscimento della titolarita', in capo ai soggetti interessati, del diritto ad un adeguato computo dell'indennita' integrativa speciale ai fini della determinazione del loro trattamento di fine rapporto, mentre spetta al legislatore, determinando la misura, i modi e i tempi di detto computo, rendere in concreto realizzabile il diritto medesimo. Eseguiti dall'Ufficio e dalle parti gli adempimenti di rito, la causa e' stata una seconda volta chiamata alla pubblica udienza dell'11 febbraio 1994 e trattenuta in decisione. D I R I T T O 1. - La controversia concernente la computabilita' dell'indennita' integrativa speciale nel trattamento di fine rapporto di dipendente E.N.P.A.M. viene dunque all'esame dopo la pronuncia della Corte costituzionale sulla gestione di legittimita' costituzionale in questa sede sollevata. Nelle more, peraltro, e' entrata in vigore (in data 6 febbraio 1994) la legge 29 gennaio 1994, n. 87, recante "Norme relative al computo dell'indennita' integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti" (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 29 del 5 febbraio 1994), la quale, in attesa dell'omogeneizzazione dei trattamenti retributivi e pensionistici per i lavoratori dei vari comparti della pubblica amministrazione e per i lavoratori privati conseguente all'applicazione del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e ferma la disciplina del trattamento di fine servizio in essere per i dipendenti degli enti locali (art. 1), dispone che, a decorrere dal 1$ dicembre 1994, l'indennita' integrativa speciale, di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni, viene computata nella base di calcolo dell'indennita' di buonuscita e di analoghi trattamenti di fine servizio determinati in applicazione della norme gia' vigenti con riferimento allo stipendio ed agli altri elementi retributivi considerati utili " a) per i dipendenti degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, e successive modificazioni, nella misura di una quota pari al 30 per cento dell'indennita' integrativa speciale annua in godimento alla data della cessazione del servizio con riferimento agli anni utili ai fini del calcolo dell'indennita' di anzianita'". La stessa legge dispone all'art. 4 che "i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge aventi ad oggetto la riliquidazione del trattamento di fine servizio comunque denominato con l'inclusione dell'indennita' integrativa speciale sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese fra le parti" e che "i provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudicato restano privi di effetto". Entrambe le disposizioni assumono evidenza nel presente giudizio e pongono dubbi di loro incostituzionalita'. 2.1. - L'art. 4 della legge considerta determina la dichiarazione di estinzione d'ufficio del giudizio, con compensazione fra le parti delle spese relative. In tale suo disposto esso sembra porsi in contrasto con gli artt. 3, 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, 103 e 113 della Costituzione e la questione relativa non appare manifestamente infondata. 2.2. - La legge in esame, nel prescrivere che il trattamento con essa previsto si applica anche ai dipendenti cessati dal servizio dopo il 30 novembre 1984 ed ai loro superstiti nonche' a quelli per i quali non siano ancora giuridicamente esauriti i rapporti attinenti alla liquidazione dell'indennita' di buonuscita o analogo trattamento (art. 3, primo comma), dispone poi che l'applicazione del trattamento ai dipendenti gia' cessati dal servizio "avviene a domanda, che deve essere presentata all'ente erogatore su apposito modello nel termine perentorio del 30 settembre 1994 (art. 3, secondo comma)". In tale contesto normativo, la disposizione contenuta nell'art. 4 successivo incide direttamente sul diritto di difesa quale garantito dall'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione. Se e' vero infatti che i precetti quivi sanciti non vietano che il legislatore ordinario possa variamente disciplinare il diritto di difesa, quale espressione della tutela giurisdizionale, in funzione di superiori interessi di giustizia, eventualmente condizionandone l'esercizio all'esperimento di una procedura amministrativa, cio' non toglie tuttavia che sussistono limiti ad una siffatta discrezionalita', fra cui il principale e' rappresentato dalla condizione che l'esercizio del diritto di difesa sia garantito in modo effettivo ed adeguato alle circostanze. In relazione a tale principio, piu' volte affermato dalla Corte costituzionale, il limite anzidetto risulta ampiamente superato allorche', come nella specie, il legislatore intervenga successivamente all'esercizio dell'azione con disposizioni preclusive intese a vanificare la tutela giurisdizionale, specie se questa sia stata gia' sperimentata, essendosi resa necessaria - come e' reso evidente dalla intervenuta pronuncia di incostituzionalita' - a seguito di puntuali inadempienze legislative a fronte di posizioni soggettive, che la Corte costituzionale ha poi ritenuto direttamente garantite dalla Costituzione. E' appena il caso infatti di ricordare che la disciplina legislativa sopravvenuta, che consente ora, sia pure entro certi limiti, il computo dell'indennita' integrativa speciale nel trattamento di fine rapporto, fra l'altro, dei dipendenti degli enti pubblici di cui alla legge n. 70 del 1975, e' solo in parte frutto della scelta discrezionale del legislatore ordinario, dal momento che consegue alla pronuncia di illegittimita' costituzionale delle norme previgenti e nasce dalla esigenza, sottolineata dalla stessa Corte, di provvedere con adeguata tempestivita' e "reintegrare l'ordine costituzionale violato". E' dunque chiaro che, quanto meno sul piano della sussistenza del diritto, non puo' riconoscersi alla legge in esame alcun carattere innovativo e che, con riguardo alla posizione sostanziale dedotta nei giudizi, soltanto la determinazione della misura, dei modi e dei tempi di computo dell'indennita' di anzianita' trova risposta nella nuova legge, essendo nella previgente legislazione statale, siccome emendata dalla pronuncia costituzionale, il riconoscimento della titolarita' del diritto ad un adeguato computo dell'indennita' medesima. Sul piano della razionalita', non si sottrae al sospetto di violazione dall'art. 3 della Costituzione la disposizione normativa, che imponendo la dichiarazione di estinzione, si risolve appunto nella vanificazione di quegli stessi giudizi, che hanno reso possibile la proposizione incidentale della questione di illegittimita' costituzionale e che dunque seppure ancora non definitivamente decisi dal giudice naturale con sentenza passata in cosa giudicata, pur tuttavia hanno consentito di incidere sull'ordinamento generale attraverso la pronuncia suddetta. Ne' puo' essere sottratto al sospetto di incostituzionalita' la stessa norma sotto il profilo della compromissione del diritto di difesa derivante dalla estinzione dei giudizi pendenti, in relazione ai tempi lunghi previsti per la realizzazione della pretesa e, in definitiva, per il riconoscimento del diritto, dal momento che tale estinzione potrebbe consentire all'amministrazione di rimettere in discussione, caso per caso, l'esistenza stessa del diritto, anche in relazione a quelle ipotesi che per tale aspetto potrebbero gia' pervenire a pronta soluzione. 2.3. - L'illegittimita' della norma e' ancor piu' aggravata dalla previsione di una domanda da proporsi entro un determinato termine di decadenza da parte di quei soggetti che avevano gia' proposto la loro pretesa in sede giurisdizionale, si' da attrarre nello stesso profilo di illegittimita' costituzioanle anche la disposizione contenuta nell'art. 3, secondo comma, della stessa legge, nella parte in cui non esonera dalla proposizione della domanda in sede amministrativa tali soggetti, abbiano o meno essi gia' ottenuto una sentenza favorevole. 2.4. - La violazione delle garanzie costituzionali poste dagli artt. 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, della Costituzione, investe l'art. 4 della legge n. 87 del 1994, non solo per la parte in cui dispone l'estinzione dei giudizi pendenti e priva di effetto i provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudicato, ma anche la' dove dispone la compensazione delle spese del giudizio, sottraendo al giudice naturale della pretesa sostanziale dedotta in giudizio tale parte accessoria della controversia, che per principio costituzionale non puo' esserne distolta. 2.5. - Il sospetto di illegittimita' dell'art. 4 della legge n. 87 del 1994 si estende poi alla violazione dell'art. 113 della Costituzione, in un ambito che vede come giudice naturale delle rela- tive controversie il giudice amministrativo. 2.6. - Vi e' da rilevare altresi' che la lesione delle posizioni soggettive costituzionalmente garantite si accompagna nella specie all'illegittima interferenza dell'esercizio del potere legislativo nella sfera di attribuzioni del potere giurisdizionale, per quanto spettante al giudice amministrativo a norma dell'art. 103 della Costituzione, ampliando il sospetto di illegittimita' costituzionale della norma anche per tale profilo. 2.7. - Non puo' trascurarsi del resto che la Corte costituzionale, con sentenza n. 123 del 10 aprile 1987, ha gia' dichiarato incostituzionale una norma di identico contenuto della legge n. 425 del 1984. 3. - L'incostituzionalita' dell'art. 4, se dichiarata dalla Corte costituzionale, pone in evidenza, poi, il sospetto di incostituzionalita' dell'art. 1, primo comma, lett. b), della stessa legge nella parte in cui stabilisce che per i dipendenti degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, e successive modificazioni il computo dell'indennita' integrativa speciale nella base di calcolo dell'indennita' di anzianita' sia effettuato "nella misura di una quota pari al 30 per cento dell'indennita' integrativa speciale annua in godimento alla data della cessazione dal servizio, con riferimento agli anni utili ai fini del calcolo dell'indennita' di anzianita'". La questione relativa e' anch'essa non manifestamente infondata. Pur tenendo presente l'indicazione della Corte costituzionale, la quale non ha escluso la possibilita' che la complessiva omogeneizzazione delle prestazioni di fine rapporto possa essere realizzata secondo moduli improntati al principio di gradualita', appare irrazionale il criterio che ha indotto il legislatore a contenere nella misura del 30 per cento anzidetto la quota di computabilita' dell'indennita' integrativa speciale nella base di calcolo dell'indennita' di anzianita' spettante ai dipendenti degli enti pubblici non economici, in rapporto al trattamento riservato dalla stessa legge alla generalita' dei dipendenti delle altre pubbliche amministrazioni ed agli stessi iscritti all'Opera di previdenza ed assistenza per i ferrovieri dello Stato (OPAFS), non solo, ma anche in rapporto alla misura di ogni altro elemento retributivo computabile, che l'art. 13 della legge n. 70 del 1975 considera per intero relativamente proprio ai dipendenti di tali enti. La discrezionalita' del legislatore ordinario nella determinazione della base di calcolo ai fini del trattamento di fine rapporto non si puo' ritenere estesa alla previsione di ingiustificate commisurazione sperequative e inidonee a soddisfare l'esigenza di adeguatezza e proporzionalita' cui la riforma avrebbe dovuto ispirarsi secondo le indicazioni contenute nella sentenza n. 243 del 1993 della Corte costituzionale, con la conseguenza che l'art. 1, primo comma, lett. b), della legge n. 87 del 1994 appare in violazione dei principi posti dagli artt. 3 e 36 della Costituzione. 4. - La pretesa dedotta nel presente giudizio e' stata posta anche con riguardo alla rivalutazione monetaria delle somme riconosciute dovute in integrazione dell'indennita' di buonuscita ed agli interessi su di essi. Tale parte della pretesa diviene preclusa dal comma 4 dell'art. 1 della legge fin qui esaminata, in quanto dispone che le somme dovute in conseguenza del computo nella indennita' di fine servizio dell'indennita' integrativa speciale "non danno luogo a corresponsione di interessi ne' a rivalutazione monetaria". Sembra evidente la violazione, per effetto di una norma siffatta, sia dell'art. 3 che dell'art. 36 della Costituzione, in quanto essa espone: da un lato i crediti considerati, per le conseguenze dell'inadempimento ai debiti correlativi, ad un trattamento risarcitorio deteriore rispetto a quello previsto per ogni altro credito di qualsiasi genere ed anche da lavoro dipendente, senza che sussistano peculiarita' differenziatrici; dall'altro lato, tale specifico credito, nel suo carattere di retribuzione differita ormai legislativamente stabilita, alla sminuizione conseguente al decorso del tempo, che ne svilisca la proporzionalita' alla qualita' e quantita' del lavoro prestato e la sufficienza alla esistenza libera e dignitosa del lavoratore. Ne risulta la non manifesta infondatezza anche di tale questione. 5. - Tutte le questioni di illegittimita' costituzionale cosi' de- lineate riguardo alla legge n. 87 del 1994 sono rilevanti a fini della definizione del giudizio. Quella concernente l'art. 4, perche' dalla sua risoluzione in un senso e nell'altro dipende se il giudizio stesso possa pervenire a conclusioni di merito od essere dichiarato estinto. Tutte le altre, perche', nel caso di incostituzionalita' dichiarata dell'art. 4, sulla risoluzione delle stesse dovra' conformarsi in un senso o nell'altro il giudizio nel merito delle pretese dedotte.