Il PRETORE
     Ha emesso la seguente ordinanza nella controversia in materia  di
 previdenza  e  assistenza obbligatorie tra l'Istituto nazionale della
 previdenza sociale (I.N.P.S.) assistito  e  difeso  dall'avv.  M.  De
 Stefano e V. Grande e Di Ciolla Antonio, assistito e difeso dall'avv.
 Nicola Armienti.
                           RITENUTO IN FATTO
    Con  ricorso  depositato  in  data  14  dicembre  1992, l'Istituto
 nazionale della previdenza sociale (I.N.P.S.),  in  persona  del  suo
 presidente  pro-tempore,  proponeva  opposizione  avverso  il decreto
 ingiuntivo n. 8083/92 emesso dal pretore  di  Bari,  in  funzione  di
 giudice  del  lavoro, in data 23 ottobre 1992 ad istanza di Di Ciolla
 Antonio,  lavoratore  agricolo,  chiedendone  la  revoca.  Dopo  aver
 riferito  che con il suddetto decreto era stato ingiunto il pagamento
 di L. 1.068.083 a titolo  di  rivalutazione  monetaria  ed  interessi
 legali  sull'indennita' di disoccupazione ordinaria corrisposta negli
 anni dal 1987 al 1990 nella misura di L. 800 giornaliere,  e  cio'  a
 seguito  della  sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 497 del 27
 aprile 1988  che  aveva  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  13  del  d.l. 2 marzo 1974, n. 30, nella parte in cui non
 prevedeva un  meccanismo  di  perequazione  automatica  della  misura
 giornaliera dell'indennita' di disoccupazione ivi indicata, deduceva,
 fra  l'altro,  l'infondatezza della domanda quanto alla rivalutazione
 dell'indennita' di disoccupazione  corrisposta  a  partire  dall'anno
 1987, per avere l'Istituto correttamente applicato, nei confronti dei
 lavoratori   agricoli  aventi  diritto  al  trattamento  speciale  di
 disoccupazione, l'art. 7, comma quarto, della legge
   20 maggio 1988, n. 160, di conversione del d.l. 21 marzo 1988,  n.
 8.
    Instauratosi   il   contraddittorio,   l'opposto   contestava   la
 fondatezza dell'opposizione rilevando,  fra  l'altro,  che  l'art.  7
 citato  -  secondo il quale "per i lavoratori agricoli aventi diritto
 al trattamento speciale  di  disoccupazione  non  trova  applicazione
 l'elevazione  del trattamento di cui al primo comma", il quale, a sua
 volta, fissa nella  misura  del  7,5  per  cento  della  retribuzione
 l'importo dell'indennita' ordinaria di disoccupazione di cui all'art.
 13  del  d.l.  2  marzo  1974,  n. 30 - si era limitato a dichiarare
 l'inapplicabilita' dell'elevazione percentuale  stabilita  dal  primo
 comma  dello  stesso  articolo  senza disporre alcuna misura positiva
 dell'indennita'.
    Veniva quindi sollevata  dall'opposto  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  11,  ventitreesimo  comma,  della legge 24
 dicembre 1993, n. 537, intervenuta nel corso del giudizio.
                          OSSERVA IN DIRITTO
    La Corte costituzionale, con sentenza n. 497 del 27  aprile  1988,
 ebbe  a  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 13 del
 d.l. 2 marzo 1974, n. 30, convertito, con modificazioni, nella legge
 16 aprile  1974,  n.  114,  nella  parte  in  cui  non  prevedeva  un
 meccanismo  di  perequazione  automatica  del  valore  monetario  ivi
 indicato,  idoneo  a  salvaguardare  l'indennita'  di  disoccupazione
 involontaria, determinata dal legislatore del 1974 nella misura di L.
 800 giornaliere, dalla svalutazione monetaria.
    Il  d.l.  21  marzo  1988,  n. 86, convertito, con modificazioni,
 dalla legge 20  maggio  1988,  n.  160,  dispone  all'art.  7  che  a
 decorrere  dalla  sua  data di entrata in vigore, e per il solo 1988,
 "l'importo  dell'indennita'  giornaliera  di  cui  all'art.  13   del
 decreto-legge  2  marzo  1974,  n. 30, convertito, con modificazioni,
 dalla legge 16 aprile 1974, n. 114, e' fissato nella misura  del  7,5
 per  cento  della retribuzione" (primo comma) e che "per i lavoratori
 agricoli aventi diritto al trattamento speciale di disoccupazione non
 trova applicazione l'elevazione  del  trattamento  di  cui  al  primo
 comma" (quarto comma).
    L'efficacia  delle disposizioni contenute nell'art. 7 del decreto-
 legge 21 marzo 1988, n. 86,  nel  testo  risultante  dalla  legge  di
 conversione,   e'  stata  successivamente  prorogata,  elevandosi  la
 percentuale del 7,5 per cento prevista dal primo comma  con  decreto-
 legge  29  marzo  1991,  n. 108, convertito, con modificazioni, dalla
 legge 1$ giugno 1991, n. 169.
    Successivamente e' intervenuta la legge 24 dicembre 1993, n.  537,
 che  all'art.  11, ventitreesimo comma, ha statuito: "la disposizione
 dell'art. 7, quarto comma, del decreto-legge 21 marzo  1988,  n.  86,
 convertito,  con modificazioni, dalla legge 20 maggio 1988, n. 160, e
 successive modificazioni, si interpreta nel senso che  ai  lavoratori
 agricoli  aventi diritto ai trattamenti speciali di disoccupazione di
 cui agli artt. 25 della legge 8 agosto 1972, n. 457, e 7 della  legge
 16 febbraio 1977, n. 37, l'indennita' ordinaria di disoccupazione per
 le  giornate eccedenti quelle di trattamento speciale e' dovuta nella
 misura fissa di L. 800 giornaliere".
    Tale disposizione  presenterebbe  i  caratteri  di  una  norma  di
 interpretazione  autentica. E' stato pero' piu' volte affermato dalla
 Corte costituzionale che  "e'  di  interpretazione  autentica  quella
 disposizione  che  si riferisca e si saldi con quella da interpretare
 ed   intervenga   esclusivamente   sul   significato   normativo   di
 quest'ultima  senza, pero', intaccare o integrare il dato testuale ma
 solo  chiarendone  o  esplicandone  il  contenuto ovvero escludendo o
 enucleando uno dei significati possibili" (cfr. sentenze nn.  39  del
 1993 e 155 del 1990).
    Allorquando  invece  il  legislatore  definisce interpretativa una
 norma in  realta'  modificatrice  del  tenore  testuale  della  norma
 interpretata  oltrepassa  i  limiti  di  ragionevolezza (art. 3 della
 Costituzione)  perche'  crea  una  norma  innovativa  con   carattere
 retroattivo.  In  tal  modo si pone in contrasto con uno dei principi
 generali del nostro ordinamento, quello  cioe'  dell'irretroattivita'
 della  legge (art.11 preleggi), che, "se pur non elevato, fuori della
 materia  penale,  a  dignita'  costituzionale   (art.   25,   secondo
 comma,della   Costituzione)   rappresenta   pur   sempre  una  regola
 essenziale  del  sistema   a   cui,   salva   una   effettiva   causa
 giustificatrice,  il  legislatore  deve ragionevolmente attenersi, in
 quanto la certezza dei rapporti  preteriti  costituisce  un  indubbio
 cardine  della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini"
 (Corte costituzionale sentenza n. 155 del 1990).
    Non vi  e'  dubbio  che  al  legislatore  spetta  la  potesta'  di
 effettuare  una  data  interpretazione di una legge, in quanto non e'
 ipotizzabile, a favore del giudice, una  riserva  della  facolta'  di
 interpretazione   preclusiva  di  quella  spettante  al  legislatore,
 dovendosi ritenere che l'attribuzione per legge ad una  norma  di  un
 dato   significato  non  lede  la  potestas  iudicandi  ma  delimita,
 definendo, il precetto normativo. Ne', d'altronde,  l'intervento  del
 legislatore  e  quello  del giudice avviene sullo stesso piano, ma su
 due piani diversi, il primo su  quello  delle  fonti  il  secondo  su
 quello relativo all'applicazione della norma.
     La  norma  interpretativa in discussione non viola gli artt. 101,
 102, e 104 della Costituzione perche'  non  lede  il  giudicato  gia'
 formatosi  ne' e' intenzionalmente diretta ad incidere sui giudizi in
 corso. Inoltre, non viola l'art. 24 della Costituzione, in quanto non
 esclude  ne'  comprime  la  tutela  giurisdizionale  delle  posizioni
 giuridiche di cui il soggetto e' titolare.
    Va  invece  accertato  se  la  disposizione  di  cui  all'art. 11,
 ventitreesimo comma, della legge 24  dicembre  1993,  n.  537,  possa
 effettivamente qualificarsi di interpretazione autentica.
    Dall'esame  comparativo  della  norma  interpretata  e  di  quella
 interpretativa si riscontrano delle novita' tali da far ritenere  che
 non  di  norma  interpretativa  si  tratta ma di vera e propria norma
 innovativa.
    L'elemento  nuovo  dalla  norma  introdotto  e'  costituito  dalla
 determinazione  dell'indennita'  ordinaria  di  disoccupazione  per i
 lavoratori  agricoli  aventi  diritto  ai  trattamenti  speciali   di
 disoccupazione,  per  le  giornate  eccedenti  quelle  di trattamento
 speciale, nella misura fissa di  L.  800  giornaliere  gia'  prevista
 dall'art.  13  del decreto-legge 2 marzo 1974, n. 30, convertito, con
 modificazioni, dalla legge 16  aprile  1974,  n.  114,  e  dichiarato
 incostituzionale.
    La  norma  interpretata,  nell'escludere per i lavoratori agricoli
 aventi diritto al trattamento speciale di disoccupazione l'elevazione
 dell'importo dell'indennita'  giornaliera  di  cui  all'art.  13  del
 decreto-legge  2  marzo  1974,  n. 30, convertito, con modificazioni,
 dalla legge 16 aprile 1974, n. 114, nella misura del  7,5  per  cento
 della   retribuzione,  non  fissava  alcun  precetto  positivo  nella
 quantificazione  dell'indennita'  di  disoccupazione  ordinaria per i
 lavoratori agricoli suddetti, sicche'  era  compito  del  giudice  di
 merito  individuare  il  criterio  di  adeguamento  della prestazione
 previdenziale cui fare riferimento per dare  soluzione  giuridica  al
 caso  concreto,  stante il vuoto normativo prodotto dalla sentenza n.
 497  del  27  aprile  1988,  e  cio'   in   ossequio   al   principio
 dell'autosufficienza   dell'ordinamento  giuridico  quale  si  evince
 dall'art. 12, secondo comma, delle preleggi.
    Escluso, quindi, il  parametro  di  quantificazione  previsto  dal
 primo  comma  dell'art.  7  della  legge n. 160/1988, era altresi' da
 escludere   una   quantificazione   dell'indennita'   ordinaria    di
 disoccupazione  per la categoria dei lavoratori agricoli in questione
 che la riportasse alle L. 800 giornaliere del 1974, perche' una  tale
 operazione  avrebbe  illegittimamente  reintrodotto  nell'ordinamento
 giuridico   quel   divieto   di   adeguamento   dell'indennita'    di
 disoccupazione  ordinaria  al valore monetario che la sentenza n. 497
 del  1988  aveva   eliminato   dal   sistema,   dichiarando   appunto
 incostituzionale l'art. 13 del d.l. 2 marzo 1974, n. 30, nella parte
 determinativa  dell'indennita'  giornaliera di disoccupazione per gli
 anni successivi al 1974 nella sola misura di L. 800.
    La reintroduzione nell'ordinamento del divieto espunto dalla Corte
 costituzionale e' stata invece operata dalla norma  di  cui  all'art.
 11,  ventitreesimo  comma, della legge n. 537 del 1993, attraverso un
 intervento pseudointerpretativo di una norma il cui precetto  esclude
 gli  elementi  a  carattere  innovativo contenuti nel testo normativo
 teste'   menzionato,    onde    l'irragionevolezza    dell'intervento
 legislativo   in   questione,   in   contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione, ma anche  con  l'art.  38,  secondo  comma,  in  quanto
 impeditivo di una effettiva protezione dei lavoratori in questione in
 caso  di  disoccupazione  involontaria  attraverso  un  meccanismo di
 adeguamento della prestazione previdenziale al  mutato  Calore  della
 moneta.
    Va rilevata, inoltre, la disparita' di trattamento che si verrebbe
 a  creare  tra la categoria di lavoratori di cui trattasi e le altre,
 in ordine all'importo dell'indennita' della disoccupazione ordinaria,
 fissata per la prima nella misura di L.  800  giornaliere  e  per  le
 altre nella misura giornaliera del 7,5% della retribuzione per l'anno
 1988, del 15% dal 1$ gennaio 1989 e del 20% dal 1$ gennaio 1990.
    Ne'   finalita'   di  contrazione  della  spesa  pubblica  possono
 giustificare la violazione dei suddetti precetti costituzionali.
    Tanto basta per ritenere la prospettata questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  11,  ventitreesimo  comma,  della legge 24
 dicembre 1993, n. 537, rilevante  nel  presente  giudizio  -  perche'
 dalla   sua   risoluzione   dipende   il   diritto   del   Di  Ciolla
 all'adeguamento dell'importo di L. 800 giornaliere per disoccupazione
 ordinaria relativa agli anni dal 1987 in poi al mutato  valore  della
 moneta,  secondo  il principio sancito dalla Corte costituzionale con
 la citata sentenza di accoglimento n. 497 del 27 aprile 1988 - e  non
 manifestamente infondata.
    Pertanto,  previa  declaratoria  di  "rilevanza"  e "non manifesta
 infondatezza"  della   questione   di   legittimita'   costituzionale
 prospettata,  va  ordinata  la immediata trasmissione degli atti alla
 Corte costituzionale e, sospeso il  presente  giudizio,  va  disposto
 che,  a  cura della cancelleria, questa ordinanza sia notificata alle
 parti  in  causa,  al  Presidente  del  Consiglio dei Ministri e, nel
 contempo, sia comunicata al Presidente della Camera  dei  deputati  e
 del Senato della Repubblica.