IL PRETORE Il v.p.o. dott. Luca Sirotti rilevato: che all'udienza dibattimentale dell'11 aprile 1994 nel procedimento penale n. 9936/92 r.g.n.r. veniva tratto a giudizio Testi Giuliano, imputato del reato p.p. dall'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976, perche', quale legale rappresentante della ditta "Jolly F.T." S.n.c., effettuava scarichi di acque di lavorazione in canaletta per la raccolta delle acque, non conformi ai limiti imposti dalla tabella A) allegata alla citata legge n. 319/1976 quanto al C.O.D. (mq 251/litro anziche' 160), al BOD (mq 69/litro anziche' 40), ai tensioattivi anionici (mq 18.8/litro anziche' 2), allo zinco (mq 6/litro anziche' 0.5), al rame (mq 2/litro anziche' 0.1), al nichel (mq 4.7/litro anziche 2), al piombo (mq 0.6/litro anziche' 0.2), ai materiali totali in sospensione (mq 156/litro anziche' 80) ed ai materiali sedimentabili (mq 5/litro anziche' 0.5), reato accertato in medicina il 18 febbraio 1992; che la difesa dgli imputati ha presentato ex art. 444 del c.p.p. istanza di applicazione della pena di giorni trenta di arresto, subordinandola alla sostituzione della sanzione detentiva con L. 750.000 di ammenda contestualmente sollevando la questione di incostituzionalita' dell'art. 60, secondo comma, della legge n. 689/1981 in relazione all'art. 21, della legge n. 319/1976 con riferimento agli artt. 3 e 4 della Costituzione; che il p.m. ritenuta congrua la quantificazione di pena effettuata dall'imputato, prestava il proprio consenso all'istanza subordinandolo alla dichiarazione dell'illegittimita' costituzionale dell'impedita conversione, associandosi a quanto in merito sostenuto dalla difesa; Ha pronunciato la seguente ordinanza. Ritenendo sussistente l'addebito mosso all'imputato, la stessa difesa produceva, infatti, relazione tecnica a firma Martelli Luciano nella quale veniva descritta la dinamica del fatto, ed escludendo pertanto che vi siano le condizioni per l'applicazione dell'art. 129 del c.p.p., deve considerarsi equa la quantificazione di pena su cui concordavano entrambe le parti processuali: un mese di arresto sostituito con L. 750.000 di ammenda, atteso il carattere del tutto occasionale ed episodico dello scarico oltre i limiti consentiti. Rilevante, pertanto, nel presente processo, diviene l'eccezione di illegittimita' costituzionale, sollevata dalla difesa e condivisa dal pubblico ministero del divieto di sostituibilita' della pena secondo il disposto dall'art. 60 della legge n. 689/1981. Ne' tale eccezione appare manifestamente infondata. Non v'e' dubbio che l'originario disegno legislativo sotteso al regime di sostituibilita' delle pene, era correlato all'allora vigente competenza pretorile per cui, come ben sottolinea la Corte costituzionale nella sentenza n. 249 del 1993: "era fin troppo evidente che qualsiasi mutamento della sfera cognitiva di quel giudice avrebbe prodotto immediati riflessi sulla coerenza del sistema stesso". Le innovazioni legislative succedutesi alla legge n. 689/1981 hanno infatti causato l'irragionevolezza della preclusione oggettiva alla sostituzione disposta dall'art. 60 della legge ult. cit. Si considerino preliminarmente l'estensione della competenza pretorile disposta dall'art. 7 del nuovo c.p.p., l'innalzamento della pena suscettibile di sostituzione secondo la previsione dell'art. 5, primo comma, della legge n. 296/1993 nonche' la possibilita' di accedere al regime sanzionatorio sostitutivo anche per reati di competenze del tribunale, in virtu' dell'art. 5, comma 1- bis, della legge ult. cit. Cio' ha determinato la possiblita' di sostituzione di pene comminate in concreto fino ad un anno di reclusione e quindi l'accesso al trattamento sanzionatorio piu' favorevole per rei di delitti in ipotesi ben piu' gravi della contravvenzione che qui interessa. Ancor piu' evidente l'irragionevolezza della disposizione de qua sol che si prenda in esame la disciplina in materia di tutela ambientale nel cui novero si colloca la fattispecie che qui interessa. Anche sotto questo profilo la gia' da tempo evidente disparita' di trattamento sanzionatorio tra la contravvenzione in esame e le altre previsioni sanzionatorie contenute nel d.P.R. n. 915/1982 e nel d.P.R. n. 203/1988 per quanto concerne rispettivamente l'inquinamento da rifiuti e l'inquinamento atmosferico, previsioni per le quali nulla osta oggettivamente alla sostituzione della pena, si e', di recente, ulteriormente accentuata con l'introduzione, ad opera del d.l. n. 133/1992, di una nuova normativa in materia di inquinamento idrico, normativa in parte sostitutiva di quella disciplinata dalla legge n. 319/1976. Tale disciplina, si noti, e' relativa "agli scarichi delle sostanze pericolose", (d.l. cit., art. 1) e quindi si connota, rispetto alla normativa che potremmo definire "generale" di cui alla legge n. 319/1976, per l'intervento in un settore di maggior pericolo per le risorse idriche nazionali, secondo la previsione dell'art. 1, lett. c), del d.l. cit. che definisce, ai fini del suddetto decreto, l'inquinamento come lo "scarico effettuato direttamente od indirettamente dall'uomo nell'ambiente idrico di sostanze o di energie le cui conseguenze siano tali da mettere in pericolo la sa- lute umana, nuocere alle risorse viventi e al sistema ecologico idrico, compromettere le attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle acque". Le relative norme penali ineriscono, conseguentemente, a fattispecie piu' gravi e sanzionate con maggior rigore rispetto alla contravvenzione di cui all'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976. L'art. 18 del d.l. cit. commina, infatti, in caso di scarico senza autorizzazione, l'arresto sino a tre anni e l'arresto sino a due anni nel caso di scarico per il quale non si osservino le prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzatorio. Le pene summenzionate sono sostituibili ex art. 53 e ss. della legge n. 689/1981, con evidente irragionevole disparita' di trattamento rispetto alla fattispecie che qui interessa, inerente lo stesso bene giuridico, ma disciplinante condotte lesive dotate di mi- nor pericolosita' e sanzionata in modo meno grave dell'ipotesi di cui all'art. 18, primo comma, cit. La disparita' di trattamento sanzionatorio che si viene a creare per effetto della previsione di cui all'art. 60, secondo comma, della legge n. 689/81, e' quindi palesemente lesiva del principio di cui all'art. 3 della Costituzione, priva di ogni ragionevole giustificazione, risolubile solo mediante la caducazione ad opera della Corte costituzionale della preclusione disposta dall'art. 60 cit., non essendo possibile, secondo il costante insegnamento della Corte, salvaguardare il principio di uguaglianza mediante l'estensione, in malam partem, del trattamento sanzionatorio deteriore. Basti da ultimo, a sostegno di quanto affermato, riportare un significativo passo della sentenza n. 249/1993 cit. laddove testualmente si afferma: " .., finisce per risultare ictu oculi carente di ragionevolezza e si presenta per cio' stesso fortemente lesivo del principio di uguaglianza, un complesso normativo che consente di beneficiare delle sanzioni sostitutive a chi ha posto in essere, fra due condotte fortemente lesive dell'identico bene, quella connotata da maggiore gravita', discriminando, invece, chi ha realizzato il fatto che meno offende lo stesso valore giuridico".