IL PRETORE
    Pronuncia la seguente ordinanza  nella  causa  n.  8509/93  r.g.l.
 promossa  dalla  F.N.L.E.-C.G.I.L. - Federazione nazionale lavoratori
 dell'energia coi proc. avv. N. Moshi e L.  Ventura  contro  A.E.M.  -
 Azienda  energetica  municipale  coi  proc.  avv.  S.  Trifiro'  e A.
 Maresca.
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    La  F.N.L.E.  C.G.I.L.   ha   proposto   opposizione   contro   il
 provvedimento  del  pretore  di Milano che ha rigettato il ricorso ex
 art. 28 st.lav. proposto dalla stessa  organizazzione  sindacale.  Il
 pretore  infatti  non  ha ravvisato gli estremi dell'antisindacalita'
 nel  comportamento  dell'A.E.M.,  che  ha  trattenuto  i   contributi
 sindacali  destinati  alla F.N.L.E., quale sanzione per aver aderito,
 senza il preavviso di legge, allo sciopero generale del 23  settembre
 1992,  proclamato  contro i provvedimenti appena adottati dal governo
 (Amato) in materia di sanita' pubblica.
    L'azienda convenuta si e'  costituita  in  giudizio  chiedendo  il
 rigetto    del    ricorso    e   rilevando,   in   via   preliminare,
 l'inammissibilita' del ricorso ex art. 28 st.lav. per vari motivi che
 si possono cosi' sintetizzare:
      la propria condotta, denunciata come antisindacale, "non puo' in
 alcun  modo  qualificarsi  come antisindacale, trattandosi di un atto
 dovuto in forza di  legge".  La  "doverosita'  del  comportamento  in
 discussione  esclude  in radice, gia' da un punto di vista oggettivo,
 l'antisindacalita' ..";
      l'accertamento della violazione  non  e'  stato  compiuto  dalla
 A.E.M. ma dalla commissione di garanzia, la quale con delibera del 22
 ottobre  1992 ha valutato negativamente il comportamento delle oo.ss.
 che hanno proclamato lo sciopero;
      una  volta  che  la  commissione  di  garanzia  abbia  accertato
 l'avvenuta violazione dell'art. 2 della legge n. 146/1990 e' la legge
 stessa  a determinare le conseguenze della violazione medesima, tanto
 che "il datore di lavoro non esercita un vero potere sanzionatorio ma
 si limita a dare attuazione al disposto della legge";
      il datore di lavoro che non segua pedissequamente il disposto di
 legge puo' essere chiamato in giudizio dall'I.N.P.S. per  il  mancato
 versamento delle somme allo stesso istituto spettanti in applicazione
 della sanzione.
    Nel corso del giudizio sono state acquisite informazioni presso la
 commissione  di  garanzia.  Da queste e' emerso che la commissione ha
 deciso  su  segnalazione  della   A.E.M.,   senza   interpellare   le
 organizzazioni sindacali in questione.
    La  decisione  della  presente  causa ha come passaggio necessario
 quello della valutazione della legittimita'  della  sanzione  che  la
 A.E.M.  ha applicato trattenendo e versando all'I.N.P.S. i contributi
 sindacali. E' evidente infatti che il comportamento  della  convenuta
 si configurera' in un modo o nell'altro a seconda della ricostruzione
 del  processo  sanzionatorio,  della posizione dei diversi soggetti e
 dei margini di scelta e discrezionalita' che ognuno  di  essi  ha  in
 forza della legge.
    Il  sistema  sanzionatorio  previsto  dalla  legge n. 146/1990 nei
 confronti  di  chi  violi  le  norme  sulla  proclamazione  e   sullo
 svolgimento  degli  scioperi appare al giudicante in contrasto con le
 norme costituzionali per i motivi che seguono.
                              M O T I V I
    Il contesto normativo si presenta rigido.
    Per  un  verso  paiono  esclusi,  dopo  la  sentenza  della  Corte
 costituzionale n. 276/1993, margini interpretativi sulla natura dello
 sciopero del 22 settembre 1992 e sulla necessita' del preavviso.
    Per  altro verso vi e' la necessita' di valutare, sotto il profilo
 dell'antisindacabilita', il comportamento di un datore di lavoro  che
 ha  operato,  e  rivendica  di  aver operato, in relazione al sistema
 sanzionatorio di cui alla legge n. 146/1990 che da cio'  trae  motivo
 per  affermare  radicalmente  la  non  censurabilita' del suo operato
 sotto il profilo dell'antisindacabilita'  e  comunque  per  escludere
 ogni profilo soggettivo di antisindacalita'.
    La  difficolta'  sta  nel fatto che, ove si riconosca al datore di
 lavoro un potere di valutazione e scelta all'interno di questo  iter,
 si    intravvede    certo   qualche   possibilita'   di   valutazione
 dell'antisincadacalita' (per es. quando il  datore  ha  investito  la
 commissione? ha informato le oo.ss. di aver investito la commissione?
 quanto  tempo  dopo  la decisione ha ritenuto di dare esecuzione alla
 sanzione?), ma ci si imbatte ben presto nelle previsioni della  legge
 n.  146/1990,  che  effettivamente  conferisce  poteri,  anche se non
 indica termini, modalita' e  quanto  altro  possa  dare  una  traccia
 procedimentale  a  chi  esercita  quei  poteri  (e a chi ne valuta la
 correttezza).
    Ove invece si  accolga  la  tesi  in  questa  sede  fatta  propria
 dall'A.E.M.,  secondo  la quale il comportamento del datore di lavoro
 e'  totalmente  assorbito  (senza  margini  di  valutazione)  da   un
 procedimento  sanzionatorio  pubblicistico, non si puo' non porsi una
 serie di interrogativi sulla conformita' di questo procedimento  alle
 norme   fondamentali   dell'ordinamento,  specie  costituzionali,  in
 materia di poteri sanzionatori.
    La questione si pone in questi termini.
    L'art.  4  della  legge  n.  146/1990  prevede   un   sistema   di
 "conseguenze"  per  il  caso che siano state violate dai lavoratori o
 dalle organizzazioni sindacali le  norme  della  legge  stessa.  Tale
 sistema  ha  natura  sanzionatoria,  come  risulta  evidente  ove  si
 consideri il linguaggio usato (e' usata esplicitamente  l'espressione
 "sanzioni") e la struttura logico giuridica della previsione.
    E'  necessario  pertanto che lo si valuti in relazione ai principi
 fondamentali in materia, principi che, secondo  l'insegnamento  della
 migliore  dottrina e della stessa Corte costituzionale, devono essere
 rispettati in tutti i casi  sia  esercitato  un  potere,  pubblico  o
 privato,  idoneo  a  incidere nella sfera giuridica di altri soggetti
 quale conseguenza di un dato comportamento,  "sanzionatorio"  in  una
 parola.
    Il  procedimento di cui all'art. 4 in questione, in relazione alle
 modalita' di funzionamento della commissione (art.  12)  si  presenta
 singolare  sotto  vari  profili di cui i piu' evidenti appaiono i due
 seguenti:
      a) non e' chiaro chi sia il titolare del  potere  sanzionatorio.
 L'art.  4  usa  una  forma impersonale, costituita dal verbo in forma
 passiva (i lavoratori  "sono  soggetti",  le  oo.ss.  "sono  sospese"
 oppure  "sono  escluse"),  e  non  indica  "chi"  sia il soggetto che
 sospende o esclude o altro ancora. Dal contesto generale della  legge
 si  puo'  ricavare  che,  almeno  quando  sia stata investita, sia la
 commissione di garanzia ad  accertare  il  fatto.  Rimane  non  detto
 esplicitamente chi sia il soggetto che irroga la sanzione. Il che non
 e'  poco  ove si consideri che si tratta di un soggetto che ha poteri
 discrezionali  nella  graduazione  di  sanzioni  che  devono   essere
 "proporzionate"  (primo  comma)  o  che  riguardano  un  "periodo non
 inferiore a .." (secondo comma).
    L'interpretazione corrente individua questo soggetto nel datore di
 lavoro.
    In questo modo se si risolvono alcuni dubbi, per il  caso  in  cui
 sia  destinatario  della  sanzione  un  dipendente  (per  il quale va
 applicato l'art. 7  dello  statuto),  si  lascia  comunque  un  vuoto
 rilevantissimo   per   il   caso   in   cui  il  sanzionato  sia  una
 organizzazione sindacale: qual e' (se ve ne e' uno) in questo secondo
 caso il procedimento di irrogazione della sanzione?  e'  possibile  e
 legittimo,  in  relazione  all'art.  3  della  Costituzione,  che una
 organizzazione sindacale  sia  titolare  di  garanzie  procedimentali
 nulle  o  inferiori  rispetto a quelle del singolo lavoratore, che ha
 nel proprio indiscutibile patrimonio l'art. 7 cit.?;
       b) in secondo luogo il procedimento davanti alla commissione di
 garanzia.
    La legge non prevede che i pareri e le decisioni della commissione
 siano  presi  con  la garanzia del contraddittorio. La commissione in
 concreto non risulta aver adottato un proprio regolamento interno che
 lo preveda (e se ne puo' trarre una conferma dal fatto che non lo  ha
 attuato nel caso in esame).
    Di  conseguenza  una  organizzazione  sindacale  puo'  scoprire  a
 distanza di tempo che e' stata "accertata" una sua  violazione  senza
 aver  mai  saputo che la commissione era stata investita, quale fatto
 le fosse  addebitato  e  senza  aver  avuto  alcuna  possibilita'  di
 interloquire.  Puo'  accadere  quindi  che  riceva  notizia  soltanto
 dall'altra parte provata,  che  si  e'  rivolta  "privatamente"  alla
 commissione di garanzia.
    Inquadrata  la  questione in questi termini e' ad avviso di questo
 giudice evidente la contrarieta' del  sistema  sanzionatorio  di  cui
 alla  legge  n.  146/1990,  e in particolare degli artt. 4 e 12, alle
 norme costituzionali di cui agli artt. 3 e 24, secondo comma  (e  39,
 per  i  possibili  effetti  che puo' avere sulla liberta' di azione e
 organizzazione sindacale).
    Su questi argomenti e' inevitabile il riferimento alla sentenza n.
 204/1982 della Corte costituzionale, soprattutto  a  quel  passo  nel
 quale  (traendo  spunto  dall'art.  7,  secondo  e terzo comma, dello
 statuto dei lavoratori) parla di quel "ben noto sviluppo a  un  tempo
 sociopolitico  e  giuridico  formale  che  ha indotto ad esigere come
 essenziale presupposto delle sanzioni disciplinari lo svolgersi di un
 procedimento, di quella  forma  cioe'  di  produzione  dell'atto  che
 rinviene  il  suo  marchio  distintivo  nel rispetto della regola del
 contraddittorio: audiatur - lo si ripete - et altera  pars.  Rispetto
 che tanto piu' e' dovuto per quanto competente a irrogare la sanzione
 e'  (non gia', come avviene nel proccesso giurisdizionale, il giudice
 per tradizione e per legge super partes, ma) una pars".
    Questo giudice non ha altro da aggiungere  ad  affermazioni  cosi'
 chiare e nette, se non che la distinzione tra "parte" e "giudicante",
 sempre importantisima, e' di estrema delicatezza nel caso della legge
 sulla regolamentazione dello sciopero.
    Tale   legge   infatti   conferisce   alcuni  poteri  (di  rilievo
 pubblicistico) al datore di lavoro, quale  interprete  e  agente  dei
 diritti  degli utenti. In questo modo la legge, con l'obiettivo della
 "salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente  tutelati"
 (dalla  rubrica),  inevitabilmente  altera  pero'  la  parita' di due
 soggetti privati in conflitto, come sono per  definizione  datori  di
 lavoro e organizzazioni sindacali quando si giunge allo sciopero. Uno
 dei  due  infatti  finisce  con  il cumulare poteri pubblici e poteri
 privati: una commistione mai augurabile, nella quale non si puo'  mai
 escludere  che  dietro  atteggiamenti  ultrarigorosi  di  tutela  dei
 diritti degli utenti si celi, magari inconsapevole, un intento di far
 pesare l'investitura pubblica a proprio vantaggio nel  conflitto  con
 l'altra parte privata (sindacato). Tutto cio' per dire come la delega
 che  secondo  una  ricostruzione  la  legge  da'  al datore di lavoro
 nell'ambito della legge n. 146/1990  debba  essere  considerata  come
 qualcosa  di  eccezionale,  che  va  contenuta in limiti strettamente
 necessari, in quanto, oltre un certo limite, e' potenzialmente lesiva
 di diritti anch'essi tutelati costituzionalmente.